Gli effetti della Brexit iniziano ad impattare anche sul mercato dell’arte. Così, con collezionisti e galleristi in ansia, l’egemonia che Londra ha mantenuto fino ad ora nel vecchio continente sembra entrare in crisi.
Londra sta(va) all’odierno mercato europeo dell’arte come l’Olanda del 1600 stava al commercio marittimo. L’imperfetto inizia infatti ad insinuarsi in un dominio che dal presente si appresta probabilmente a scivolare nel passato. Se la capitale inglese è stata fino a questo momento centro nevralgico – anche mondiale, insieme a Hong Kong e New York – di tutta l’arte che entrava in Europa per poi diramarsi nel continente, l’imminente compiersi del progetto secessionista del Regno Unito potrebbe minare questa egemonia.
Il 31 ottobre porta insieme a Brexit il rischio concreto che in un attimo svaniscano le agevolazioni fiscali che hanno contribuito a mantenere Londra polo centrale del mercato dell’arte. Così una certa fretta, insieme ad un sempre meno sottile nervosismo, accompagnano le opere che si muovono fuori città prima che i dazi facciano salire i costi d’esportazione. Anche in senso inverso il traffico è intenso: i galleristi impegnati ad organizzare mostre da novembre in poi vorrebbero evitare l’aumento delle tasse d’importazione anticipando le esposizioni in programma.
Ma cosa cambierà effettivamente? Presto per dirlo, ma l’incertezza c’è e sembra crescere costantemente: le aste di Sotheby’s e Christie’s, in calo rispettivamente del 10% e del 22% nel primo semestre del 2019 rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, sono un segnale importante del clima di sfiducia che ha contaminato il grigio cielo londinese. Professionale, discreto ed economico – e perciò anche redditizio – il mercato che orbita intorno a Londra, con il tasso d’importazione più basso per le opere d’arte in Unione Europea: solo il 5%. Per questo passare dal Regno Unito è – o forse era – il metodo migliore per immettere una nuova opera sul mercato nel vecchio continente; per questo, minacciata questa convenienza, tutti gli operatori del settore stanno cercando di muoversi prima che sia troppo tardi.
Lo spettro del No Deal e di un’uscita traumatica dall’Ue potrebbe impattare, oltre che sull’economia britannica, anche sul mercato dell’arte. Ma non solo. Vista l’importanza che Londra riveste nel sistema mondiale le ripercussioni potrebbero essere globali: nel 2019 il cosiddetto «top end» del mercato (le opere sopra i 50 milioni di euro) si è già sensibilmente raffreddato. E l’ansia non sta solo nei numeri. Il Corriere della Sera riporta infatti la vicenda di un anonimo collezionista del quartiere londinese di Mayfair, che ha già trasferito le sue opere in Francia. Implementare entro ottobre una soluzione alternativa che sospenda, almeno momentaneamente, dazi e iva, sembra impraticabile. Il tutto mentre a Londra si prepara Frieze, l’evento fieristico per eccellenza in città. Si prospetta un’edizione drammaticamente densa.