Dalla prossima mostra della Pierre and Joëlle Clément Collection alla passione per l’arte e l’editoria di Jean-Marie Reynier, un curatore artista fuori dagli schemi
Ciao Jean Marie, bienvenue al Motel Nicolella…
Spero sia di tuo gradimento la stanza. Il tempo a fine agosto, alle volte, regala qualche acquazzone, ma da francese ormai svizzero d’adozione ci sarai abituato. Allora dicevamo, per chi non ti conoscesse… sei un istrionico artista, editore e anche pubblicitario che vive à Perroy tra Ginevra e Losanna, e ci si conosce ormai da qualche anno, da quel paio di birre bevute di fretta alla stazione parlando del Gombrich.
A Zugo è in arrivo una mostra particolarmente interessante… la organizza la Pierre and Joëlle Clément Collection alla Kunsthaus, realtà con cui collabori da alcuni anni. Masterpieces dal 1986 al 2008. Raccontaci di che si tratta.
La collaborazione con Pierre e Joëlle Clément è di lunga data. Iniziò quando arrivai in Svizzera francese a 18 anni per lavorare come stampatore e incisore. Joëlle aveva una piccola galleria d’arte a Vevey e decise di espormi. In seguito è nata un amicizia e hanno iniziato a farmi scoprire la loro passione per la pittura degli aborigeni d’Australia. Sono appassionatissimi, due personaggi incredibili. Naturalmente ho cominciato a interessarmi al soggetto, che 18 anni fa non era ancora così conosciuto. Due o tre letture chiave (consiglio vivamente Chatwin, le vie dei canti, per iniziare) e la cosa ha preso. Nel 2011 Joëlle ha deciso di chiudere la galleria e mi hanno incaricato di dare forma alla loro collezione privata. Il mio primo riflesso è stato quello di farne un libro. Scripta manent. Ci sono voluti due anni, collaborando con i migliori artigiani svizzeri, dalla fotolitografia alla grafica, dalla stampa alla legatura il libro è nato nel 2013. Il mio obiettivo era quello di togliere ogni colonizzazione al soggetto, di impedire che una parte o l’intera collezione fosse esposta in un museo etnografico. Nel 2019 finalmente la collezione sarà interamente esposta in un museo pubblico dedicato all’arte contemporanea, uno dei migliori in Svizzera. Sono gente serissima alla Kunsthaus di Zugo, da Signer a Dieter Roth, mica bruscolini.
Non è usuale avere un punto di vista sulla pittura australiana che esuli dal pensiero coloniale o post-coloniale, tanti collezionisti hanno sfruttato l’onda commerciale e hanno sfruttato gli artisti stessi. Cosa che non è assolutamente successa con Pierre e Joëlle.
Per entrare sinceramente nel soggetto non bisogna pensare all’arte contemporanea occidentale (e vi giuro che di tanto in tanto fa veramente del bene non pensarci), ma piuttosto pensare alla buona e sana letteratura che da Dante a Joyce passando da Calvino ci porta a camminare per sentieri e foreste immaginarie e ci fa perdere ogni riferimento. È una delle piste che stiamo esplorando ancora e ancora… si può seguire il profilo instagram @collectionclement
Con Andréanne Oberson ha dato vita al «Collectif Indigène», che cos’è?
Il «Collectif Indigène» è nato nel 2009 con la mia ormai ex compagna. Abbiamo lavorato a 4 mani fino al 2016 quando ci siamo separati. È stata un’esperienza artistica bella tosta, al tempo stesso abbiamo cancellato gli stili personali per dare corpo a uno stile comune. Collage, neon, sculture in vetro, dipinti… tanto lavoro che ci ha portato fino ad esporre a Môtier Art en Plein Air, manifestazione quinquennale d’arte in Svizzera Francese, in compagnia di giganti come John Armleder e Ben Vautier… L’opera in questione «la traversée des chats volants» è rimasta sul posto, scambiata in cambio di due bottiglie di assenzio (quello che è ancora illegale, non quello in commercio). Sul nostro sito internet www.collectif-indigene.ch non è visibile perché non lo aggiorniamo da anni, ma sulla pagina Facebook sì… La vita è fatta così, dopo aver lavorato e vissuto insieme (e fondato anche una casa editrice «les editions du petit O») non abbiamo perseverato in seguito alla separazione. Cose che capitano. Ciò che è difficile in questi casi penso sia ritrovare un vocabolario proprio che esuli dall’esperienza comune, un lavoro complesso ma che negli ultimi tre anni sta dando i suoi frutti. Senza mai rinnegare il passato. L’esperienza più utile in questo senso è stata quella di aprire con Ondine Jung (artista e grafico) un’agenzia di comunicazione (@agenceduliondor). Il linguaggio pubblicitario è geniale, se hai fatto arte contemporanea per 20 anni non puoi sbagliarti nella comunicazione, viene fluida e a differenza dell’arte i clienti ti pagano davvero (si lo so, questa è un po’ da puttana ma ci sta).
Per quanto tempo sarà visitabile la mostra a Zugo?
La mostra «MY MOTHER COUNTRY – PAINTINGS OF THE ABORIGINES» aprirà il 29 settembre (siete tutti invitati) e chiuderà il 12 gennaio 2020. In concomitanza con la collezione Clément verranno esposte per la prima volta una ventina di tele di EMILY KAME KNGWARREYE di un importante collezionista australiana. Emily è un po’ il papa della pittura aborigena. Sarà impressionante. Esposizione abilmente orchestrata dal Direttore del museo Matthias Haldemann.
Perché merita una visita secondo te?
Bisogna respirare. Lasciarsi il tempo di respirare. Questo implica uscire da tanti stilemi che stanno necrofagocitando il mondo dell’arte. Un giro a Zugo merita già di per sé, la torta al Kirsch è un capolavoro e contro ogni preconcetto la Svizzera tedesca ha una capacità d’accoglienza quasi simile a quella italiana. Si mangia da dio inoltre. Poi bisogna assolutamente nutrire il nostro immaginario, e non possiamo farlo solo con i nostri schemi. Dobbiamo liberarcene un po’ e andare a vedere quello che succede altrove, “negli altrove”. L’esposizione è molto importante per me, non ci sarà altro che pittura, nessun giudizio e nessun pensiero coloniale. Solo pittura e letteratura dipinta. Il treno da Milano ci mette tre ore.
Che cosa bevi? Sai qui al Motel chiudiamo sempre al bar, è un’abitudine…
Conosci la mia passione per l’orto. Ho portato i pomodori come promesso. Un bloody mary fatto in casa ci sta tutto anche a colazione. Però offro io che l’ultima volta a ArtBasel hai pagato tu.