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Olympia. Come l’opera di Manet ha sovvertito le regole dell’arte

Édouard Manet, Olympia, 1863

Una donna nuda, schietta e glaciale, sfacciatamente messa alla mercé dello sguardo altrui. Édouard  Manet dipinse Olympia nel 1863, riconfermandosi portavoce dell’antiaccademismo.

Olympia (1863), è una delle opere più discusse e note di Édouard Manet, conservata al Musée d’Orsay di Parigi. Fin dalla sua prima esposizione in pubblico, al Salon del 1865, destò scandalo nel pubblico e nella critica, tant’è che “ci furono borghesi che volevano sfondarla con l’ombrello, tanto la trovavano indecente”. Fortunatamente, ci furono anche alcuni ammiratori, come Charles Baudelaire o Émile Zola, che prese le parti del pittore in un articolo pubblicato sulle colonne de “l’Événement illustré”.

Manet meditava all’opera già durante il viaggio in Italia del 1857, quando vide e copiò la Venere di Urbino di Tiziano. La seconda fonte iconografica fu la Maja di Francisco Goya, da cui trasse la schiettezza del personaggio. Proseguendo poi la strada intrapresa con Le déjeuner sur l’herbe, già criticato per la presenza di una donna nuda non giustificata a livello storico o mitologico e l’assenza di chiaroscuri, dipinse la sua Olympia, sfondando i convenzionalismi borghesi e riconfermandosi portavoce dell’antiaccademismo.

Nel video di Vox, i motivi per cui Manet, attraverso quest’opera, sovvertì le regole dell’arte.

 

Édouard Manet, Olympia, 1863

 

Édouard Manet, Le déjeuner sur l’herbe, 1863

 

Édouard Manet, Autoritratto, 1879

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