Il gallerista Massimo Minini dedica a Ettore Spalletti, suo amico e collaboratore appena scomparso, un ultimo ricordo.
Quando un grande artista, come qualsiasi altro grande uomo, viene a mancare, iniziano a rincorrersi le celebrazione di colleghi, appassionati, addetti ai lavori. Così è successo anche a Ettore Spalletti, deceduto la scorsa settimana e la cui arte, come una candela nella notte dell’oblio, ha iniziato a lampeggiare ricordandone la grandezza ottenuta.
La ricerca sul colore ne ha contraddistinto l’attività, influenzandone l’atteggiamento nei confronti dei pigmenti e della materia pittorica. Lasciata asciugare la prima stesura, l’artista ne sovrapponeva innumerevoli, abradendo inesorabilmente la precedente, in modo da far emergere la reale tonalità cromatica che aveva studiato per l’opera. Il risultato di questo accurato processo di finitura è una sorta di “pelle” che protegge e allo stesso tempo connette l’opera con il visitatore diffondendo ombre di colore e di luce.
Queste e altre considerazioni sul suo lavoro ne lasciano emergere indirettamente il carattere schivo, umile, solitario, metodico, riflessivo, tenace. Ma come immergersi maggiormente nelle pieghe di una figura così complessa? Abbiamo pensato di farlo riportando la lettera che un caro amico, nonchè suo gallerista, ha voluto dedicargli in questi giorni così tristi.
Con Ettore Spalletti se ne va un caro amico e uno degli ultimi grandi artisti di una generazione, la nostra. Guardando indietro ormai vediamo chiaramente cosa abbiamo fatto, come e perché.
Forse abbiamo fatto troppo: di tutto e il contrario di tutto. Ettore invece praticava l’immobilità e attendeva che il suo rarefatto lavoro sortisse i suoi effetti. Abbiamo avuto condizioni ottimali per produrre, inventare, cambiare le carte in tavola. Abbiamo avuto settant’anni senza guerre, accumulato ricchezze enormi, assistito a cambiamenti incredibili.
Ecco, Ettore Spalletti ha vissuto per 79 anni controtendenza, in un piccolo paese dell’Abruzzo, fuori dal mondo e ha invitato il Mondo a passare di lì, da Cappelle, da Spoltore, da dove si vede il Gran Sasso che qui chiamano la bella addormentata perché da un certo punto il profilo della montagna assume le forme di una ragazza distesa che dorme.
Ettore andava a nozze con queste favole di paese, che lui sapeva trasformare in mito. Alla fine ci metteva sempre un trattenuto sorriso di complicità con un “no?” che in realtà era un “si!”, un “no” che ti obbligava ad acconsentire. A cosa dovevamo consentire? Al Nulla, che poi è il “Tutto”, quello di Boetti, è “Entrare nell’opera” di Giovanni Anselmo, “Giovane che guarda Lorenzo Lotto” di Paolini, le “Attese” di Lucio Fontana, “Contatto” di Fabro. “Soffio” di Icaro, “Otto e mezzo” di Fellini, “Candido” di Sciascia, la scatoletta di legno di Joseph Beuys, con scritto “intuition”, la sparizione di Ettore Majorana, “Vieni via con me” di Paolo Conte, “L’infinito” di Fausto Melotti, col ricciolino lassù, il codino di Ettore Sottsass, “Le degré zèro de l’écriture” di Roland Barthes.
Un lavoro di decostruzione, di azzeramento dei linguaggi, e Spalletti è riuscito nella difficile impresa di dire di più concedendo meno: il grado zero della scrittura pittorica.
Le sue superfici poeticamente polverose come armadi con i ricordi di famiglia hanno affascinato musei, critici, collezionisti per la delicatezza delle sensazioni che da loro promanano.
Ettore è riuscito nella difficile impresa di dare voce al silenzio, o se preferite di ridurre al silenzio le voci. Una vetta raggiunta con la ripetizione continua di un idea poetica, semplice come un canto gregoriano giocato su minime impercettibili variazioni.
Spalletti è stato un grande artista della galleria e un caro amico di famiglia. Il primo se ne è andato verso altri lidi, altre gallerie, come sovente capita. Il secondo è rimasto vicino e ci sentivamo, regolarmente, con una cadenza lenta come il suo parlare, profonda come i suoi sguardi ironici (dopo affermazioni apodittiche e senza scampo), per vedere l’effetto delle sue parole sullo stupito, paziente ascoltatore.
Massimo Minini