Dracula torna a vivere nuovamente grazie alla BBC e a Netflix, alti e bassi nella riattualizzazione di un mito senza tempo
Dracula non muore mai. L’anno nuovo della serialità si apre con l’attesissimo Dracula 2020 (ri)scritto da Mark Gatiss e Steven Moffat per BBC in partnership con Netflix. La miniserie in tre episodi è andata in onda sulla BBC l’1, il 2 e il 3 gannaio in prima serata e dal 4 gennaio è disponibile nel catalogo Netflix in tutto il mondo. Gatiss e Moffat, per chi non lo sapesse, sono le menti dietro a quello Sherlock della BBC che ha rilanciato nella contemporaneità il mito del detective più longevo al mondo (vampiresco anche lui, a modo suo) e reso famoso (e amato) in tutto il mondo Benedict Cumberbatch (The Imitation Game, Doctor Strange).
La riscrittura del personaggio di Conan Doyle è stata al contempo radicale e ossequiosa, raccogliendo gli entusiasmi degli spettatori che ne accolgono ogni nuovo episodio come un evento. La curiosità per questo nuovo Dracula, annunciato ufficialmente un paio di anni fa, era quindi alle stelle. Il personaggio del conte vampiro, cristallizzato nell’immaginario comune grazie all’opera di Bram Stoker, ha trovato su grande e piccolo schermo infinite incarnazioni, molte riuscite (Murnau, Herzog e Coppola i soliti che si cita per fare bella figura) e molte altre meno, ma il suo resta un fascino sempre verde (e mutaforma) che non stanca mai. Quello del vampiro macchiavellico ma schiavo della passione e dei propri istinti è per la fiction la quadratura del cerchio: un anti-eroe che agisce per amore, unendo le pulsioni viscerali dell’horror al fascino ambiguo – sessuale, ingannevole e mortale – della femme fatale del noir.
Cosa si sono inventati quindi Gatiss e Moffat per dare nuova linfa (new blood, nel claim che ha annunciato la messa in onda della miniserie) a un personaggio che ne ha già viste di tutte i colori? A dare volto e corpo al Conte transilvano è stato chiamato Claes Bang (l’attore danese protagonista della Palma d’Oro The Square) e su di lui è stato cucito un Dracula dall’iconografia classica (capelli neri impomatati, abito elegante e mantello al seguito) ma dal carattere da moderno affabulatore, sornione e sardonico. L’horror va così a braccetto all’umorismo (macabro, ovviamente). Non di rado questo Dracula perfido ma spiritoso ricorda il Lucifer di Tom Ellis, protagonista dell’omonima serie TV lanciata da FOX ma “salvata” dalla chiusura (dopo tre stagioni) proprio da Netflix. Quello di Lucifer, demonio dall’accento british con modi di fare da damerino spaccone e lascivo, è un personaggio geniale, mattatore assoluto di un guilty pleasure fatto e finito (ovvero di una serie, diciamo, di basso profilo).
Questo Dracula invece, proprio come Sherlock, si preannunciava come un prodotto radicale, di alto profilo. La messa in scena lascia intendere, per lo meno all’apparenza, un gran dispiego di capitale, ma qui e là alcuni dettagli sembrano far prevalere l’impressione che la BBC abbia finito anche i soldi per le parrucche. L’atmosfera alterna momenti riusciti ad altri dall’aspetto troppo sfacciatamente costumy (da mascherata, insomma). Vien da pensare che sia un problema di gusto, più che di budget: è il tocco Netflix.
L’aspetto più interessante – che fa passare in secondo piano la questione estetica, per così dire – è quello della sceneggiatura. Come si sono mossi Gatiss e Moffat all’interno dell’universo creato da Bram Stoker? Partendo con molta calma, prendendola larga. Il primo episodio sembra seguire a grandi passi, almeno nella prima parte, gli sviluppi e i toni del romanzo, accompagnandoci nel viaggio di Jonathan Harker alla volta del castello di Dracula. Un incipit ormai notorio grazie soprattutto al film di Coppola (che ha fatto al cinema quello che Stoker ha fatto in letteratura, letteralmente). Ma fin da subito alcune piccole, ma fondamentali, discrepanze ci danni degli indizi: Jonathan Harker racconta la sua disavventura durante un vero e proprio interrogatorio, una riscrittura bolle in pentola.
Sull’horror aleggia un alone sherlockiano, l’ombra del giallo e del mistero si fa strada attraverso una struttura che abilmente alterna flashback e “palazzi mentali”, caratteristiche che hanno reso inconfondibile lo stile dei due autori. Scena dopo scena scompongono il racconto tradizionale per portare lo spettatore in un universo completamente rinnovato. Di più non si può dire, per non rovinare il plot twist che a fine del secondo episodio ribalta tutta le carte in tavola, portando Dracula esattamente dove, è evidente, Gatiss e Moffat avrebbero voluto fosse fin da subito. La miniserie BBC così prende fiato e guadagna interesse (ritmo, adrenalina, carattere e – la famosa – nuova linfa) proprio nel convergere verso la sua conclusione.
Conferme sul fatto che ci sarà un seguito ancora non ce ne sono, ma visto l’impressione generale che lasciano questi tre episodi – ovvero quelli di essere una lunga e complessa introduzione a una storia ancora tutta da raccontare – pensare che la vita del Conte Dracula sia già proiettata verso nuove stagioni non pare affatto un azzardo.