La Ragazza d’Autunno, il trauma della guerra non finisce mai. Dal 9 gennaio al cinema il nuovo film di Kantemir Balagov
La Ragazza d’Autunno è il secondo film del regista russo Kantemir Balagov, che nel 2017 aveva esordito a Cannes con il bellissimo Tesnota (da noi arrivato in sala nel corso del 2019). Tornato con questa sua seconda opera a Cannes, nella sezione Un Certain Regard, il regista (classe 1991!) si è aggiudicato il Premio FIPRESCI e il premio per la miglior regia.
1945, Leningrado. La Seconda guerra mondiale ha devastato la città, demolendone gli edifici e riducendone gli abitanti a brandelli, fisicamente e mentalmente. Anche se l’assedio – uno dei più duri della storia – è finito, la vita e la morte continuano la loro battaglia in ciò che rimane della città. La guerra rompe la morale comune, sovverte i valori consolidati, stravolge le menti e i sentimenti delle persone.
Due giovani donne, Iya e Masha, cercano di affrontare la vita dopo la distruzione e i traumi del conflitto, ma dare un senso alle loro vite tra le rovine non sarà facile.
I personaggi del film riflettono su sé stessi la tragica situazione in cui versa la città in cui si muovono, sono straziati da una guerra spaventosa, vivono in una città che ha resistito, sfidando un orrendo assedio. Menomati dalle ferite psicologiche inferte dalla guerra, ritornare alle consuetudini di una vita normale richiederà loro tempo. Le sue protagoniste non solo sono sopravvissute alla guerra, ma vi hanno partecipato.
Balagov ha confessato di essersi ispirato a La guerra non ha un volto di donna del Premio Nobel Svetlana Alexievich. Nella sua messa in scena avvertiamo, in maniera palpabile, le conseguenze della guerra nello spazio dove ha luogo l’azione (quasi che sembra di poter sfiorare i protagonisti e le pareti degli squallidi ambienti in cui si muovono), nonché nella palette colore e, in special modo, nei volti dei personaggi. La guerra è finita, non si vede se non sui volti e sui corpi dei protagonisti, martoriati, svuotati, segnati indelebilmente. Le persone diventano così simulacri di una conflitto terminato ma indimenticabile, ne diventano l’estensione.
La pellicola affronta così la guerra vissuta come tragedia personale e dà voce allo stress post traumatico che ne consegue. Una delle protagoniste vede nella nascita di un figlio una possibile cura per il proprio trauma, crede che se darà alla luce un bambino potrà tornare tutto alla normalità, ma il piano messo in atto è sull’orlo del delirio. Quelle che le due donne devono affrontare sono ferite indicibili (letteralmente). Ne consegue un rapporto squilibrato (letteralmente), di gelosie, insicurezze, violenze psicologiche e ricatti.
La ragazza d’autunno è un dramma profondo, intimo e crudo. Messo in scena con grandissimo rigore: dai toni rossi e blu di Tesnota si passa a quelli di una palette verde e gialla, sgargiante e fredda al contempo. La parte più cruda, emotiva e intensa (crudele), è la prima, poi la storia prosegue in maniera abbastanza placida – ma sempre tesa – come a ricreare la dinamica delle emozioni delle protagoniste che si ritrovano catapultate nella quotidianità dopo essere sopravvissute agli orrori e ai traumi di una Guerra mondiale. Il formalismo e l’alto tasso estetico del film non mettono mai in secondo piano l’aspetto più cruento e emozionale del racconto, anzi, i due aspetti trovano reciproca forza e coerenza registica, consacrando Balagov come regista maturo e di grandissimo talento. Questa sua opera seconda forse non raggiunge le vette del suo debutto, ma si conferma come un esempio riuscitissimo di grande poesia per immagini, con una vivida urgenza di denuncia sui meccanismi e sulle conseguenze della violenza.