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Emanuele Severino. Il dolore, il rimedio. Il testo integrale e inedito

Emanuele Severino Emanuele Severino
Emanuele Severino
Emanuele Severino

Lo scultore Massimo Mazzone ricorda il suo rapporto di amicizia con il grande filosofo appena scomparso a 91 anni. Con il testo completo e inedito di una conferenza romana di Severino del 1993

Scrivere del Maestro soprattutto ora che ci ha lasciati non è semplice… L’eredità che lascia a noi agli estimatori, agli allievi e ai suoi familiari e al mondo è immensa. Avevo conosciuto Emanuele Severino contattandolo al telefono dopo una ricerca fatta con la SIP, parliamo dell’inizio degli anni ’90. Finalmente scovo il Maestro, e lui mi da un appuntamento per la mattina seguente, con grande naturalezza, appuntamento a uno sconosciuto… Immaginate oggi? Partii con un treno notturno Roma -Venezia, non so neanche se esiste ancora, andai a Dorsoduro, mentre aspettavo Lui seguii una lezione del’ottimo Galimberti, poi finalmente arriva Lui… Emanuele Severino, l’unico filosofo vero del XX secolo, che fortuna, in una epoca di commentatori di filosofie altrui… e padre di uno scultore…per me, scultore, felicità assoluta!
Ci presentiamo con grandissima empatia e ci accordiamo per una conferenza sul tema Oggetto e concetto: l’esistenza. Il dolore, il rimedio, da tenersi a breve a Roma in un Centro Sociale Occupato. Andò molto bene! Linguaggio piano per profani, ma sempre profondissimo per gli adepti, fu un grande successo.

Emanuele Severino e Massimo Mazzone a passegio (foto piero de grossi)
Emanuele Severino e Massimo Mazzone a passeggio (foto piero de grossi)

Da allora ci siamo tenuti in contatto costante, con una fitta corrispondenza di lettere sull’abbaglio, sulla cecità per troppa luce (un giorno magari pubblicherò questa corrispondenza), “vedendo” – in una gara immaginaria – chi trovava più citazioni sulla cecità per troppa luce: Rilke, Hölderlin, e altri. Diventammo amici. Amici con 37 anni di distanza generazionale, ma la sua generosità colmava ogni lacuna.
Ma quello che voglio offrire ai lettori non è il classico “coccodrillo”, bensì la VIVA VOCE del Maestro, ripubblicando qui, oggi, il suo testo per quella conferenza “Oggetto e concetto: l’esistenza. Il dolore, il rimedio”, del 1993, pressoché inedito, visto che uscì solo parzialmente lo stesso giorno su L’Unità. Dare voce ai Poeti agli artisti ai filosofi è dare voce all’umanità intera!ù

Massimo Mazzone, Introduzione alla conferenza di Emanuele Severino “Oggetto e concetto: l’esistenza. Il dolore, il rimedio”, Centro Sociale Occupato La Maggiolina, marzo 1993

Il tema della “distruzione”, della perdita e del rischio, affiorano di frequente in queste pagine. Questo è frutto delle analisi sul nichilismo dell’Occidente di Emanuele Severino che costituiscono un riferimento costante per molti degli autori invitati alla rassegna da noi promossa.
“Pro-meteo è, appunto, Pro-mētheús, il pre-vidente (pro-mathes). Così i Greci almeno sentono questo nome non greco. A partire dalla pena a cui è legato, egli possiede il «sapere»- máthos -, (le forme metheus e mathes sono legate a mathánō, «so») – che prevede il Tutto e gli consente di «sopportare» (phérein Prom; v. 105) la sorte. Di máthos parla la seconda strofe dell’Inno (v.167). Stando su (epi) tutte le cose. Stando su (epí), tutte le cose, l’epi-stathmomenos, non si lascia imprigionare dai singoli casi della vita e dalle singole parti del Tutto, ma sporge al di sopra di ognuno di essi e guardando stabilmente il Tutto li prevede tutti. L’epi-stathmomenos, è Pro- mētheús : epi ═ pro. E viceversa, il vero prevedere richiede la stabilità della visione”.
“Sono in grado di sopportare tutto perché ho previsto tutto, e siccome ho previsto tutto posso sopportare tutto”. La verità dunque, come dispositivo che prevede, che anticipa il futuro, la verità che salva. Dunque Prometeo incatenato sopporta il suo destino perché egli è Pro-methéus, ossia egli possiede il sapere del pre-vidente (pro-mathés); egli possiede il sapere e la stabilità della visione di chi è sopra tutte le cose e non si lascia sorprendere dai singoli accidenti della vita…
“Oggetto e Concetto: l’Esistenza”. Parole grosse, tanto per cominciare… Cominciare ad indagare con materiale di prima mano, diffidando di traduzioni e commenti, indagare cercando un contatto diretto e personale coi testi come con gli autori con gli oggetti come con i concetti, ed essere o esistere, in un margine scettico ed allo stesso tempo estetico, configura forse, la sola possibile differenza tra una passi corretta e una impropria.
Indagare l’attualità del pensiero Antico e di quello Moderno, stabilire un pensare libero dai condizionamenti dell’attualità, libero pensiero opposto al pop, alle declinazioni transavanguardistiche, populistiche e postmoderne tanto in voga, al post strutturalismo ed al post marxismo, declinazioni così liberali a parole e così fasciste nella prassi, declinazioni che si pongono infatti come il “pensiero unico” della nostra epoca; questa nostra epoca che ignora Leopardi, ignora Campana, disconosce il tema Benniano della fine della storia ma impara a memoria Lyotard e Derrida, fraintendendoli spesso, che cerca una forma di materialismo senza approfondire Democrito o Spinoza; ed è appunto il nostro desiderio, quello di svincolarsi dalle pastoie del post, in questo ciclo di incontri tra Arte, Poesia, Scienza, Filosofia…. Un desiderio che vuole offrire qui, in un Centro Sociale, in modo gratuito, anti-autoritario, libertario e molto orizzontale, la possibilità a tutti quanti interessati, di interloquire, di esprimersi di chiedere, di fare tutto quanto si renda necessario per dialogare e, magari comprendere, o sviluppare un pensiero critico e certamente autonomo.
Sono certo che l’eterogeneità del pubblico, non impedirà al nostro ospite di approfondire le sue tesi. Il tema è la Fede, forse… Il tema forse è il nichilismo dell’Occidente, questo apparato economico-militar-industriale che mette a dura prova il concetto stesso di democrazia.
Il filo conduttore dell’intervento, è questo sguardo greco sul Nulla, questo sguardo tragico, questa mutazione epocale che ha condotto il “Rimedio”, nato come prima opposizione al “Dolore”, a farsi apparato; e “l’apparato scientifico-tecnologico”, ha esteso nel tempo il suo dominio a tutto il sapere e ad ogni aspetto della nostra vita, cosicché, fattosi sistema, è divenuto esso stesso lo specchio dove il nichilismo occidentale si riflette.
Questo delirio d’onnipotenza, questa persuasione profondamente introiettata e allo stesso tempo immediatamente rimossa, che sottende ogni fede, ma anche ogni persuasione, ogni opinione, ogni gusto, ossia che le cose vengano dal Nulla si affaccino all’Essere per tornare al Nulla, questa fede nella disponibilità delle cose a lasciarsi annichilire, fonda oggi lo strapotere “dell’apparato scientifico-tecnologico”.
Sullo sfondo, Parmenide, Eschilo e Prometeo, Marx ma anche la Chiesa Cattolica, la morte della filosofia ma anche le estreme propaggini di Aristotele e Platone, Pascal ma anche Kirkegaard ed Hegel, ed in primo piano, il pensiero cristallino di Emanuele Severino.

 

Emanuele Severino
Emanuele Severino

Emanuele Severino, “Oggetto e concetto: l’esistenza. Il dolore, il rimedio”, Centro Sociale Occupato La Maggiolina, marzo 1993

Vorrei subito dire che le due parole del titolo sembrano banali e scontate perché tutti noi sappiamo che cosa è “il dolore ed il rimedio”. Io proverò a fare qualche considerazione su questo tema tenendo presente quello che diceva il dott. Mazzone e cioè che il pubblico è composito e quindi non so fino a che punto sarò capace di farmi capire.
Io credo che dopo che ci si parla le incomprensioni tendano a svanire, però il tempo è anche poco e trovare un tono che vada bene per tutti può essere forse un poco difficile.
Sono due parole semplici ma tremende, il dolore ed il rimedio; perché, oggi, quando ci riferiamo al dolore e al rimedio ci riferiamo alle forme che la scienza moderna e la tecnica moderna ci offrono per combattere il dolore; uso la parola dolore nel senso più ampio quindi includendo anche il timore del dolore.
Temiamo il dolore, ci angosciamo per il dolore, temiamo la prosecuzione del dolore.
Oggi per lo più, l’atteggiamento, dico per lo più in relazione a quanto per lo più fa la gente, di chi combatte il dolore rivolgendosi alla grazia di Dio, o alla rassegnazione interiore, o – e questo è ancora inusitato oggi – all’aiuto dei potenti: tutto questo oggi per noi non ha più alcun significato; quando noi dobbiamo combattere il dolore ci riferiamo agli strumenti che la scienza e la tecnica ci danno.
Questo vuol dire che la comprensione del dolore tipica il riferimento a ciò che è scienza e a ciò che è tecnica. Quando ci riferiamo a questi termini, scienza e tecnica, innanzi tutto pensiamo alla punta di diamante della scienza moderna, le scienze fisico-matematiche; ma non semplicemente alle scienze fisico-matematiche, perché tutti noi capiamo subito che una pura ricerca fisico-matematica non vive librata nell’aria. Essa ha bisogno di strutture, di situazioni, di uomini educati alla ricerca scientifica e, quindi, la ricerca costituita da questo zoccolo duro delle scienze fisico-matematiche vi potremmo aggiungere le scienze chimico-biologiche ecc. Questo zoccolo duro è riferito ad una struttura sociale, ad una organizzazione scolastica, ad una organizzazione urbanistica, un sistema giuridico. Senza le strutture che nella società consentono la ricerca che ho qualificato prima con l’espressione zoccolo duro, cioè la ricerca vera e propria di tipo fisico-matematico senza questo insieme di strutture, quindi, di tipo finanziario, educativo, bancario, militare, sociale e senza questo insieme di strutture la ricerca scientifica non decolla.
In genere chiamo questo insieme di strutture con questa espressione che mi pare adatta, chiamo questo insieme di strutture che circondano e rendono possibile la ricerca scientifica in senso stretto: l’apparato scientifico tecnologico. La parola italiana “apparato” che viene dal latino “ad paratus”, vuol dire “preparato a, preparato per” e cioè è l’insieme degli strumenti predisposti per raggiungere certi scopi.
Se noi oggi diciamo che vogliamo difenderci dal dolore dobbiamo fare riferimento a questa struttura estremamente complessa e che quindi è un sistema di sottosistemi che è sì in senso primario scienza, ma non solo. Quell’insieme di strutture, dicevo, che vanno via via, progressivamente adeguando i criteri secondo cui esse sono costituite, vanno adeguando questi criteri alla razionalità scientifica. Intendo dire, l’apparato politico, giuridico, economico, sanitario, urbanistico, finanziario, militare, ecc. non hanno un tipo di organizzazione statico ma progressivamente vanno adeguando il proprio tipo di razionalità a ciò che è la razionalità scientifica nel senso vero e proprio. Per questo l’espressione “apparato scientifico tecnologico” anche sé include questi elementi apparentemente estranei, è in marcia verso una forma in cui tutti questi che abbiamo chiamato sottosistemi tendono a stare al passo con la forma di sapere, quello che ho chiamato razionalità di tipo scientifico-tecnologico. Questo è l’apparato, la struttura, cui la gente le masse, l’uomo contemporaneo si rivolgono per difendersi dal dolore. Quando parliamo di scienza, penso che tutti sappiamo che la scienza è potente cioè ha la potenza di affrontare e combattere il dolore; è potente perché è previdente, qui uso la parola previdente nel senso del participio di prevedere, la scienza è potente perché è previsione, perché riesce a prevedere. Anche questa per noi è un’ovvietà, noi tutti sappiamo che la scienza è razionale perché ha la capacità di prevedere gli eventi e sulla base della previsione combattere ciò che riteniamo inaccettabile e quindi, innanzitutto, il dolore.
Ecco invece, un’osservazione meno scontata è questa altra: e cioè che l’uomo occidentale sin dall’inizio della sua storia combatte il dolore con la previsione. Questo è un punto, un tratto di discorso meno noto, anzi, direi poco noto che però getta luce nella situazione in cui noi oggi ci troviamo. Perché al di sotto dell’apparente banalità il tema: ‘il dolore ed il rimedio’ vuol dire anche che senso hanno i rimedi che oggi ci si propongono contro ciò che riteniamo inaccettabile nella vita quotidiana. Sono molti quelli che ci propongono di salvare l’uomo, di difendere l’uomo, di aiutare l’uomo, cioè di preparare i rimedi contro i disagi dell’uomo. Allora il tema non è di poco conto, perché se diciamo che dobbiamo arretrare alle origini della nostra civiltà per capire qual è il senso dei rimedi che oggi i cosiddetti uomini di buona volontà si accingono a predisporre per salvare l’uomo… Allora vuol dire che il problema del rimedio non è così a portata di mano come sembra quando ci si dice che basta avere buona volontà perché i problemi si risolvano; che basta la retta coscienza; che basta l’etica; che basta moralizzare la politica perché i problemi si risolvano. Oggi c’è la tendenza considerare la buona volontà come il tocca sana di tutti i problemi, se non che chi ha appena una qualche conoscenza del Vangelo sa che una volta un giovane ricco si avvicinò a Gesù e gli chiese: “cosa devo fare per salvarmi?” e Gesù gli disse: “ da tutto quello hai ai poveri” ed il testo evangelico dice che il giovane si allontanò rattristato.
Perché il giovane si allontana rattristato? Perché la cosa più difficile Gesù non gliela detta. La cosa più difficile per chi è ricco è: “ cosa devo fare per mantenere presso di me la ricchezza e non darla a gli altri?”. Questo è il problema… Cioè la buona volontà è facilmente sollecitabile o sollecitata.”Si, dai le tue ricchezze agli altri, abbi buona volontà…”, ma il difficile comincia a questo punto: “che cosa devo fare per essere un uomo di buona volontà?…”.

Emanuele Severino, La filosofia contemporanea
Emanuele Severino, La filosofia contemporanea

È difficile per il giovane ricco sapere che cosa deve fare per avere la forza di dare il suo agli altri. Quindi, siamo lontani dal centro del problema se impostiamo il tentativo di soluzione in termini di buona volontà. La buona volontà, infatti, rinvia sempre le condizioni perché possa esistere la buona volontà. Così anche gli appelli che oggi si fanno per la moralizzazione della vita pubblica lasciano il tempo che trovano perché tutti, si, siamo d’accordo che bisogna essere onesti, buoni, corretti, politicamente corretti, economicamente corretti. I problemi cominciano proprio a questo punto: “che cosa bisogna fare per riuscire a realizzare tutto questo”. Dicevo dunque, che bisogna arretrare. Perché il concetto di previsione ci è molto familiare, perché concetto della scienza moderna, incomincia dalle origini dell’uomo occidentale. Adesso dico subito una frase che può sembrare paradossale: “ anche il dolore che noi oggi viviamo, non è un qualche cosa che abbiamo che è sempre esistito nella storia dell’uomo. Noi oggi abbiamo a che fare con un tipo di dolore che comincia ad un certo momento della storia dell’uomo”. Che cosa intendo dire… Le culture mediterranee che precedono la grande cultura greca. sono culture, quella cretese per esempio, ma anche quella egizia, le culture mediorientali, le culture mediterranee, sono culture che intendono l’aspetto decisivo della vita che è la morte, lo intendono come un viaggio, viaggio che conduce in un luogo da cui si può ritornare purché si conoscano le vie del ritorno. Qui sono le culture “ctonie” quelle che poi le divinità olimpiche greche incontreranno e sommergeranno. La morte è un viaggio verso un luogo da cui si ritorna. Ed è a questo tipo di morte è commisurato anche il dolore. Il dolore è l’insieme degli inconvenienti che preparano il viaggio della morte. Allora il viaggio della morte implica la possibilità del ritorno e quindi si parla, appunto, di mitologie dell’eterno ritorno. La vita è come il ciclo della natura dove le vegetazioni fioriscono, decadono, rifioriscono. Il ciclo della natura come specchio del ciclo dell’esistenza: ciò che ritorna è quello stesso che se ne andato via, si è appartato, provvisoriamente assentato e magari ha perseguitato chi rimane si che uno degli atteggiamenti di chi rimane è l’esorcismo contro i morti pericolosi e ostili. Questa è la cultura pre-greca. Con i greci accade qualcosa di straordinariamente nuovo. Noi non ce ne rendiamo conto perché viviamo all’interno di questa novità ma col pensiero incomincia ad essere portata alla luce qualcosa che non era mai stato prima pensato. Lo possiamo dire con due parole provocando molta delusione, perché? Perché le due parole sono da capo due parole che ci sono assolutamente familiari, ci circondano ormai e le trattiamo come qualche cosa di ovvio, senza accorgerci che le trattiamo come qualche cosa di ovvio perché non le mettiamo in questione, non ne intendiamo scorgere il senso dentro. Quali sono queste poche parole, brevi parole il cui significato i greci per se io credo incominciano per la prima volta a testimoniare, e diciamo così: “per la prima volta i greci pensano il nulla”. Noi usiamo continuamente la parola “nulla”, ma in tanti modi impropri: “che cosa hai?” e tu rispondi: “nulla”… “non ho nulla”, vuol dire: “non ho quello che tu credi che abbia”. Loro sanno, certamente, che una delle casistiche più frequenti della psicologia esistenziale è l’esistenza del paziente il quale dice: “sono considerato niente, in casa mi considerano niente. Anche per strada io sono considerato niente. Sono un niente!”. Le forme peggiori di questa psicopatologia si traducono poi nel tentativo di evitare la propria identità, riconfermandola e identificandosi, magari , al legno del tavolo, alla colonna, al muro. “io sono un muro” cosa vuol dire? Che io come me stesso sono niente e mi identifico al muro, al tavolo, alla bottiglia, alla seggiola. Nelle grandi malattie mentali dell’uomo occidentale la parola “nulla”, “niente” ha un significato più radicale che non quello nelle espressioni comuni che usiamo quando noi diciamo: “che cosa hai tu?” e tu rispondi: “non ho nulla”. Questo è proprio l’aspetto più superficiale del significato della parola nulla. È una parola grandiosa, perché per pensarne il significato i greci hanno dovuto pensare tutto ciò che in qualche modo si presenta come positivo. Non soltanto i suoni, i colori, i desideri, ma anche il passato, il presente, la coscienza, gli dei, gli uomini, tutto ciò che in qualche modo presenta una qualche forma di positività. Tutto questo è il “non nulla”, il “nulla” è l’altro da qualsiasi forma di positività. Intendo dire che i Greci per la prima volta pensano il significato radicale del “nulla”. Il “nulla” come assoluta privazione di ogni forma positiva, come la perentorietà del “no”. Non solo “no” a questo, “no” a quel altro, ma il “no” a qualsiasi positività. Allora per la prima volta i Greci incominciano a nascere e soprattutto a morire in un modo diverso da come nascevano e morivano gli uomini prima di loro. Altro è morire con l’intenzione di compiere un viaggio da cui si ritorna che, era il concetto di morte delle popolazioni pre-greche di cui parlavamo prima; altro è morire di fronte ad un viaggio circolare, altro è morire di fronte al “nulla”. Non è una questione di parole, ma morire di fronte al “nulla” vuol dire essere, e non solo psichicamente ma anche nel risvolto fisico della convinzione psichica, in modo diverso da come è il morente nella situazione i cui il morente non sa alcunché del “nulla”. Morire di fronte al “nulla” significa avviarsi verso quella chiusura definitiva dei conti con l’esistenza che non ha alcunché a vedere con il viaggio di andata e di ritorno al quale pensano i pre-greci, cioè coloro che ancora non pensano il “Nulla” e quindi non pensano “l’Essere”. Queste due parole che sembrano… Talvolta si prendono in giro i filosofi perché parlano “dell’ essere” e del “nulla”, ma quando i filosofi incominciano a parlare del “nulla” non è che vogliono mettersi a compiere una specie di filosofia iniziata dai greci, e poi la cosa è rimasta così, non è che vogliono compiere una specie di esercitazione teorica sul significato delle parole ma sta dinanzi quello spettacolo terribile che essi per la prima volta hanno portato alla luce; i greci inventano il senso del nulla e sprigionano la bestia, perché sprigionano il terrore estremo. C’era nel Settecento chi definiva la morte la regina dei terrori e che i dolori sono i messali della morte. A questo punto, una volta che si pensa al nulla, esso non soltanto chiude l’intero arco dell’esistenza ma ogni momento della vita è una perdita in cui va nel nulla ciò che ci stava a cuore. Cosa vuol dire : “non sono più felice”, “non sono più felice”, vuol dire : “quella felicità che mi stava a cuore, sia quel che sia, un rapporto con quella persona, un benessere fisico, psichico, tutto quel che si vuole, ebbene, quella felicità che ci stava così a cuore se ne è andata via, cioè è diventata irrevocabilmente niente”. E “niente” è, appunto, ciò da cui non si torna, è il luogo da cui non si ritorna. Noi ci fidiamo troppo poco perché la più grande forme di pensiero tragico, è nata proprio con i greci. La tragedia è proprio l’occhio che l’uomo greco sbarra sullo spettacolo che egli come pensatore, come filosofo ha incominciato a svelare, come dicevo prima ha liberato la bestia, cioè ha liberato il terrore estremo del “nulla”, cioè ha liberato il dolore estremo. Se ogni perdita della felicità durante la vita è l’annientamento della felicità, la morte come compimento della vita è appunto l’annientamento della totalità della vita. Quando noi diciamo che la filosofia ha liberato la bestia e cioè ha evocato il dolore estremo costituito dalla visione della nullità delle cose, diciamo soltanto una metà del discorso. Se avessimo più tempo, si potrebbe mostrare come anche la tragedia greca non è soltanto l’occhio sbarrato di fronte all’estremo dolore. Anche la tragedia greca come poi tutti i pensatori greci e su tutta la storia del pensiero filosofico, ebbene dico io, tutta la filosofia dopo aver evocato “il pericolo estremo del Nulla”, evoca per questo, l’estremo “Rimedio”. Non è facilissimo quello che mi accingo a dire, però è la spiegazione di quanto dicevo prima, a proposito del concetto scientifico di previsione. In che cosa temiamo noi il dolore? Che cosa temiamo noi del dolore… Il dolore, supponiamo, è qui che mi opprime, che cosa teme l’uomo, forse il dolore che in questo momento mi opprime? No, questo lo subisco… Temo invece la prosecuzione del dolore, spero che duri il meno possibile, e, temo la prosecuzione del dolore perché il futuro è imprevedibile… Il futuro tutto è imprevedibile, la morte è prevista ma anche imprevedibile…Quando al tempo in cui morire, era inteso come morte e rinascita, come esperienza di un tempo ciclico, la morte per il greco, era qualcosa di assai diverso…Diverso da morire di fronte al Nulla. Allora il Rimedio non può essere che la previsione. Ma in un senso molto preciso, un senso che svela, anche per quelli che non hanno mai sentito parlare di filosofia, il senso autentico che la filosofia ha tentato di essere lungo la tradizione occidentale… Spero di farmi capire con un esempio. Noi avvertiamo che la fuori c’è un pericolo ma prima di predisporre i rimedi ci domandiamo di che cosa si tratta: è scoppiato un incendio, un maremoto; il pericolo è l’acqua, il fuoco, il vento…che cos’è? Ogni predisposizione di un rimedio presuppone l’anticipazione del pericolo. Prima che il fuoco o l’acqua irrompano qua dentro, ci possiamo difendere dal pericolo imminente conoscendo ciò che non sta qua davanti e quindi pre-vedendo di cosa si tratta. Indovinare e prevedere il pericolo è la condizione di qualsiasi possibile rimedio. Questo esempio serve per dire che il dolore è insopportabile quando non ha senso, al di fuori del senso il dolore è assolutamente imprevedibile ma proprio per questo è qualcosa da cui non ci si può assolutamente difendere. Bene! La filosofia è stata questa avventura di tutte le avventure, cioè il tentativo di scoprire il vero senso del mondo.
Ma vero senso del mondo vuol dire un senso che né uomini, né dei, né sviluppo di epoche riescono a modificare. Conoscere il vero senso del mondo vuol dire che tutto ciò che potrà accadere dovrà adeguarsi a questo senso. Anche qui un esempio che, per chi ha una qualche familiarità con la cultura cristiana, può essere utile. Perché il credente, in qualche modo, si sente in salvo? Ma perché è convinto di essere alleato col significato ultimo del mondo, cioè non ci può essere nessun evento che irrompa sorprendendo dio. Non ci può essere un dio cristiano che di fronte ad un evento dica; “oh, che strano!”. No, il dio cristiano non trova nulla di strano perché ha anticipato tutto e previsto tutto. Quindi rispetto al dio cristiano, ogni possibile evento è previsto ed in quanto previsto è sopportabile quando esso si presenta come evento dannoso, come dolore. E da parte dell’uomo, essere alleato col dio cristiano vuol dire essere alleato con la previsione che anticipando tutti gli eventi li prevede tutti e li riporta al senso fondamentale del mondo. E tutti gli eventi da ultimo, sono sopportati perché, dice il credente, perché questa è la volontà di dio, questo è il disegno di dio. Ma questo concetto del dio che disegna, che prevede, questo concetto non è un’invenzione del Cristianesimo. Questo concetto è stato inventato dai greci, appunto, concetto di verità vuol dire vero senso del mondo al quale tutti i possibili eventi devono adeguarsi. Conoscere la verità assoluta può essere il grande compito che la filosofia ha tentato di realizzare. Conoscere la verità assoluta significa, infatti, ogni possibile evento sopraggiungente e quindi tracciare la dimensione all’interno della quale ogni possibile evento acquista un senso e quindi una dimensione all’interno della quale il dolore diventa sopportabile.
NOTA. Chi conosce la verità, questa è la sostanza del discorso filosofico ampiamente ereditato dall’esperienza cristiana, è salvo. La conoscenza della verità, diceva Aristotele, dà la felicità. Ma perché? Perché la conoscenza della verità consente di prevedere, cioè di anticipare, ciò che al di fuori della conoscenza della verità si presenta come insopportabile, insopportabile perché imprevedibile. Questa è la grande premessa che nella cultura occidentale dice come il concetto scientifico di previsione, abbia questa grandiosa anticipazione nel concetto filosofico di verità. La verità è la previsione. Mi spiace di non avere qui il testo di Eschilo del Prometeo incatenato, dove Eschilo, dove Prometeo dice di essere in grado di sopportare tutto perché “ho previsto tutto” e siccome “ho previsto tutto posso sopportare tutto”. La verità come dispositivo che prevede, anticipa il futuro, lo possiamo chiamare “apparato”, teologico-metafisico, ossia l’apparato che precede l’apparato scientifico-tecnologico. Di mezzo che cosa c’è? C’è la morte della filosofia. Stasera non possiamo neanche tentare di capire i motivi di questa morte, ma è una morte in grande, perché quando noi oggi parliamo di fine del Marxismo, di fine del Socialismo Reale, non parliamo d’altro che della morte del penultimo grande episodio della filosofia. Il Marxismo non solo è stato una delle ultime grandi espressioni del pensiero filosofico inteso in senso tradizionale, cioè la volontà di scoprire il vero senso del mondo, non è stato solo questo ma si è incarnato in un formidabile organismo sociale che si chiamava Unione Sovietica. La fine del Socialismo Reale è il penultimo esempio del tramonto, dell’eclissi della filosofia come previsione, come rimedio ai disagi, dunque al dolore dell’uomo. Ho detto penultimo perché, prima a questo mondo, esistevano due grandi organismi che credevano nella possibilità di arginare il pericolo del divenire delle cose conoscendo la verità: uno era appunto l’Unione Sovietica, in altre parole il luogo dove si incarnatala volontà di verità nel senso che la parola verità ha avuto nel pensiero giuridico. L’altra istituzione è quella che ancora non è morta, anzi sembra che segni una sorta di riviviscenza ed è riferito alla Chiesa Cattolica. Anche la Chiesa Cattolica difende un concetto di verità,un concetto filosofico di verità, non semplicemente fideistico dove la verità è il senso vero del mondo che anticipa gli eventi e consente di sopportare il Dolore. Questo plesso gigantesco che, dunque, ha come terminali niente meno che Chiesa Cattolica e Unione Sovietica, è questo plesso gigantesco che sta andando al tramonto. Ripeto, i motivi di questo tramonto, noi qui non li possiamo toccare ma non illudiamoci di capire ciò che oggi accade nel mondo senza tentare di guardare e di capire cosa sia il tramonto della verità. Quando ad esempio si dice che nell’Unione Sovietica il Marxismo è fallito, si intende dire che il Marxismo non è stato più considerato come verità. Questo perché fino a che il Marxismo è stato considerato verità non ha mostrato segno di crisi. Quando noi parlando del Marxismo Sovietico diciamo che è andato in crisi, esso è andato in crisi perché i disagi e gli sforzi che esigeva dall’Unione Sovietica non sono più stati intesi come il prezzo da pagare per la realizzazione della società giusta ma in realtà perché non si è più creduto nella verità del Marxismo. Allora i disagi economici provocati dal Marxismo sono stati intesi come prova della falsità del Marxismo, quindi è perché non si vede più la verità del Marxismo che è venuta in primo piano l’esigenza di salvare quella frazione dell’apparato scientifico-tecnologico che era amministrata ad Est. Cioè se non si guarda a questo che abbiamo chiamato il tramonto della verità, non si capisce nulla di quanto oggi sta accadendo.

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