Sola al mio matrimonio, dal 5 marzo al cinema l’avventura di una donna alla ricerca della propria indipendenza
Al centro di Sola al mio matrimonio troviamo il percorso audace di una giovane donna determinata a cambiare il corso della sua vita: protagonista del film è Pamela (Alina Serban), giovane Rom insolente, spontanea e piena di ironia, che decide di lasciare il piccolo villaggio in cui vive con la nonna e la figlia per partire alla volta del Belgio. Con sé porta soltanto un bagaglio, poche parole di francese e l’infinita speranza di poter cambiare la sua vita e quella della sua bambina. Un viaggio alla ricerca dell’indipendenza.
Seguendo Pamela nel suo viaggio, la regista Marta Bergman mette in scena un’opera d’esordio sincera e dai toni agrodolci, delineando così un ritratto emozionante, vibrante di energia.
«Pamela sogna, si proietta in qualcosa di più grande, in un altrove – spiega la regista Marta Bergman – È ciò che la distingue dalle altre ragazze del villaggio. Tracciando il suo percorso, scopre l’amore che nutre per sua figlia e trova in sé stessa le risorse per allevarla da sola. Volevo un personaggio che lo spettatore amasse per la sua audacia, la sua gioia di vivere e il suo desiderio di imparare».
Sola al mio matrimonio è la storia di una giovane donna che sogna di partire e cambiare il suo destino, un film che prende la sua forza e la sua verità dal reale. La pellicola difatti è la naturale continuazione dei documentari realizzati da Marta Bergman in Romania prima del suo debutto nella fiction. Alla fine di “Clejani stories…”, girato nel villaggio del gruppo musicale Taraf des Haidouks, una ragazza gitana prepara la valigia sotto lo sguardo indifferente dei genitori per andare in Germania. La storia del film si inscrive alla perfezione nel contesto contemporaneo. L’Occidente e i suoi miraggi di una vita da sogno; nel villaggio di Pamela in ogni casupola c’è un’antenna parabolica aperta sul mondo. Le informazioni televisive che testimoniano della crisi economica del mondo occidentale e delle espulsioni dei migranti non cambiano la loro percezione. Sola al mio matrimonio si configura anche come un vero e proprio omaggio alla cultura Rom, una vera ricchezza dell’Europa: a livello della messa in scena, delle lingue parlate nel film (romeno, francese, romanì), dell’immagine (Jonathan Ricquebourg), del montaggio (Frédéric Fichefet) e della musica (Vlaicu Golcea).
In questa storia di formazione, come nei film di Jean Renoir, ognuno è mosso da ragioni profonde e personali, il film racconta di una generosità sottile e dona a ogni personaggio la possibilità di trovare il proprio percorso e di crescere, ribaltando ogni etichetta.