Sanremo 2020, è finita così: vince Diodato con Fai Rumore, secondo Gabbani e terzo posto per i Pinguini Tattici Nucleari
Diodato piglia tutto, Premio della Critica Mia Martini e Premio Lucio Dalla e vincitore di Sanremo 2020. Gabbani al secondo posto e I Pinguini Tattici Nucleari al terzo.
Sanremo è brutto, sì sa, è sempre stato così. Lo erano anche quelli di Pippo Baudo, ma ci piace far finta che non sia così, e va benissimo. Ma è bello, a suo modo, proprio per quello. Non tanto per la gioia del kitsch (anche), ma per la bellezza del rituale, dell’appuntamento fisso, dello star lì e dire… E adesso che succede?
Questo di Amadeus in quanto a bruttezza di certo non ha fatto eccezione. Ogni tanto ci dà l’illusione (lui, il Festival) di poter essere un bel cavallo di Troia per rifilare al pubblico generalista qualcosa di bello, di diverso, di nuovo. Come l’anno scorso, con la vittoria di Mahmood, giovane ma moderno (una cosa di per sé già abbastanza insolita), con un pezzo decisamente non “sanremese” che ha avuto successo in tutto il mondo. Quest’anno invece, con le proposte musicali, siamo tornati alla solite. Poco male. Per tradizione, le canzoni che restano sono delle (piacevoli) eccezioni in un marasma di “roba” destinata a finire nell’umido per direttissima. A questo giro si salvano quelle di Diodato, Elodie, Tosca e forse Achille Lauro, ma comunque non sembrano destinate a rimanere negli albi della storia. Dai tempi di Panariello la “musica” non é mai sembrata così marginale.
Se nelle ultime due edizioni, baciate dagli ascolti, era stato il baglionismo a imperare, quest’anno Sanremo si è svolto sotto il peso delle polemiche. Ce ne sono ogni anno, vero. Anzi, sono quelle che danno un po’ di pepe a questa messa, ma a questo giro l’impressione è il Festival sia durato tre settimane invece dei canonici 5 giorni. Colpa delle polemiche, tutte paternaliste. La durata estenuante delle puntate ovviamente non ha aiutato.
Gli ascolti però, in termini di share (attorno al 54%), hanno premiato il Festival di Amadeus, quello delle donne e dell’amicizia. I 18 milioni del Pippo Baudo ’95 son ben lontani, ma 9 o 10 milioni di telespettatori che siano, Sanremo a parte, non li fa nessuno.
Amadeus è stato un ottimo padrone di casa, questo gli va riconosciuto, banale ma capace (e per la kermesse canora è la quadratura perfetta), porta sul palco Fiorello e Tiziano Ferro, i più amati dagli italiani. E questi si mettono a bisticciare (Tiziano reo di un “statte zitto” a Fiorello, parolaio permaloso per eccellenza). Tutto rientrato a suon di “fateve una risata”.
Poi bisticciano anche i cantanti, Morgan e Bugo, che abbandona il palco lasciando il Castoldi solo sul palco. Squalificati. Con loro la musica torna al centro, per tutta la settimana delle canzoni s’è parlato pochino. Il fattaccio: Morgan cambia le parole del loro brano (Sincero, tra l’altro un pezzo mica male), cantando (da quel che si è capito) le parole volate tra loro durante un battibecco.
Anche di Achille Lauro si è parlato molto (e male), ma più per i look che per il brano in gara (Me ne frego). È stato San Francesco, David Bowie, la Marchesa Casati e Elisabetta I, tutto in salsa Gucci, contro il conformismo e la mascolinità tossica. C’è chi l’ha schifato e chi lo ha amato.
Tra i giovani trionfa (!?) Leo Gassmann, con Vai bene così. Spiace, ma l’impressione è che il dimenticatoio già lo attenda impietoso.
Quel che resta è un pastiche di lungaggini estenuanti e ricatti morali (l’unico modo con cui si è in grado di parlare alla gente di temi importanti: la violenza, la malattia, etc) tra una canzonetta e l’altra a tarda notte. Consola una conferma: gli ascolti “stellari” ci dicono che i comici di Zelig e dintorni a Sanremo non servono (Fiorello e Benigni non fanno testo, quelli giocano un altro campionato). All’anno prossimo.