Pino Pinelli torna a Milano. La galleria A arte Invernizzi inaugura giovedì 20 febbraio 2020 alle ore 18.30 una mostra personale (fino al 6 maggio) del maestro della pittura analitica, e non solo. Il progetto, ideato in relazione allo spazio espositivo della galleria, presenta opere che mettono in luce il desiderio di sperimentare materie e supporti e la peculiare scelta di riduzione cromatica che sin dagli anni Settanta ne hanno guidato la ricerca.
Le “Pitture” (1987) esposte nella prima e nella seconda sala del piano superiore guidano il visitatore all’interno di un percorso dal ritmo definito e tuttavia aperto, in cui la pittura emerge come un’entità libera dai vincoli del supporto della tela. Questi lavori sono la naturale evoluzione di una ricerca iniziata a partire dagli anni Settanta; infatti già nei monocromi realizzati tra il 1973 e il 1975 – alcuni dei quali esposti al piano superiore della galleria – Pinelli trasgredisce l’aspettativa sull’omogeneità della superficie dipinta e nebulizza il colore stendendolo sulla tela con l’areografo. In questi lavori lo spazio occupato dalla pittura si espande dal centro dell’opera sino a sovrapporsi interamente alla superficie, che diviene il campo reale dell’azione e non è più solo il “luogo” della rappresentazione. Il processo di messa in crisi del supporto tradizionale porta, nella seconda metà degli anni Settanta, a una vera e propria frantumazione e frammentazione dell’unitarietà della tela. Pinelli inizia a creare delle nuove forme-supporto rivestite con tessuto dipinto in cui il colore diviene corpo, presenza fisica e reale immersa nello spazio.
Nelle sue “Pitture” il rapporto tra gli elementi e l’ambiente circostante acquisisce il valore di un’indagine sia spaziale che percettiva, come emerge nei lavori esposti al piano inferiore della galleria. Ogni frammento crea una diversa dinamicità rispetto alla superficie toccata e, nel proprio insieme, l’opera costruisce tracciati, percorsi e andamenti allusivi. Come scrive Giorgio Verzotti “la pittura diviene indice di spazialità, diventa funzione di un’indagine spaziale che dinamizza le superfici toccate dall’intervento, che costruisce percorsi, andamenti, indica direzioni, allude a margini e confini e dunque a virtuali scompaginazioni e riassestamenti ambientali. […] Ad un al-di-là solo evocato però corrisponde un qui-e-ora altamente enfatizzato nella sua presenza al senso. Ciò si manifesta fin dall’inizio, col creare una pittura che scambia alcune delle sue caratteristiche decisive con la scultura. Nata da un fare concreto (pensare è fare e fare è pensare, è un po’ il motto dell’artista) l’opera dipinta viene sospesa nella dimensione ambigua del bassorilievo, sulla soglia fra due identità canoniche. E d’altra parte l’apertura allo spazio non avviene, non può avvenire, solo sulla dimensione del piano. La pittura ha un corpo plastico, attestato dall’atto costruttivo su cui si fonda, che si offre alla percezione”.