I segni fluiscono liberamente fino a formare, coscientemente o meno, delle figure evocative dal forte respiro narrativo. Sono i Fumetti di Achille Perilli, in mostra alla Galleria Tega di Milano dal 3 febbraio al 13 marzo 2020.
Saranno i segni leggeri nello spazio bianco? Forse l’atmosfera surreale, lirica; forse ancora questa propensione silenziosa a narrare, in modo talmente discreto da suggerire appena, aprendo però inaspettati spiragli di approfondimento; o magari sono i riquadri colorati, che si manifestano improvvisi ma eppure guadagnano immediata e inevitabile collocazione al centro della scena. Qualunque sia la sua sorgente, l’arte di Achille Perilli è intrisa di poesia e non teme di condividerla con chi la osserva. Poesia che più che in altre fasi dell’artista romano si esalta nella serie dei Fumetti, sviluppatasi negli anni ’60, che dispone, sospese, deformi figure costituite da segni caotici inseriti in appositi spazi regolari, che assumono la disposizione propria dei fumetti.
Proprio su questa fase specifica di Perilli si concentra la mostra (Achille Perilli – Fumetti – 1960-1966, dal 3 febbraio al 13 marzo 2020) della Galleria Tega, Milano. Una trentina di dipinti che esaltano la potenza suggestiva dell’artista e approfondiscono le conseguenze della sua intuizione, una vera e propria conquista di un territorio inesplorato. La soluzione grafica, strutturale e contenutistica di queste serie di opere non hanno infatti precedenti nella storia e si ritagliano, anche iconograficamente, una dimensione personale e difficilmente imitabile. Il punto di partenza di questa impresa artistica non può che essere il rifiuto dell’Informale – corrente artistica dilagante al tempo – e la definizione di una nuova grafia che fosse in grado di supportare un costrutto semantico che, se non preciso, potesse essere quantomeno coerente con il messaggio che si proponeva di trasmettere.
È difficile cercare di analizzare il processo creativo, l’origine della figurazione intesa come come atto che trae da un inconscio caos un gesto, una forma o una parola e la rende pubblica “
Gastone Novelli. Testo inedito, non datato, senza titolo
L’opera con cui l’esposizione si apre, Tradotto dall’assiro, sembra proprio ricondurre l’operazione di Perilli a un esercizio di ricerca, un affondo nelle radici del gesto segnico e del significato ad esso correlato, in modo da estrapolarne l’espressività più pura e non filtrata. Grazie all’intermediazione del titolo comprendiamo come la ricerca proceda all’indietro fino a luoghi remoti nel tempo e nello spazio: il segno di Perilli marchia la materia affondando idealmente in una memoria collettiva che si sente coinvolta, ferita e stimolata nello stesso tempo. Il Fumetto è immediato, rapido e misterioso. Senza esplicitare nulla ci mette nelle condizioni di avvicinarci a tutto.
Una volta al suo interno possiamo con calma analizzarne la conformazione: ogni segno si dispone costituendo un proprio nucleo tematico, con una propria morfologia e valore significante annesso; ogni nucleo viene separato da una cornice, ora sottile ora spessa, disposta a griglia; così facendo le unità risultano impaginate come di fronte ad un fumetto e sono libere di reggersi autonomamente come di creare libere connessioni con le altre. Tutto questo appare chiaramente visibili in opere come La caccia al Guru o Lo Spazio Solido. Soprattutto nella prima si delineano due macro sezioni, come fossero appunto pagine, e diverse sottosezioni ad approfondirne le particolarità. L’istinto inevitabile diviene dunque quello di tendere i fili di una relazione, di scovare la storia, di assorbirne il contenuto. Il desiderio è così forte e lo sforzo così spontaneo che, infine, la narrazione emerge ineluttabile. Per chiarezza sua o per volontà nostra che sia.
La selezione di lavori operata da Tega ha il pregio di fare ballare l’occhio, di mantenerlo vivo con la varietà cromatica, dettata soprattutto dalle cornici interne alle tele che hanno spesso colori differenti. Allo stesso modo le figure si distinguono per una complessità e nitidezza del segno a volte marcata, quasi a definire un’immagine definita (è il caso di Ancora Più, dove due forme circolari poste alla base della figura sembrano ricondurre alla forma di un’automobile; o di Les Grands Transparents, dove tratti umanoidi si prendono la scena) a volte puramente suggerita come ne La voglia di vivere. Nel complesso queste narrazioni imperfette si configurano come favole senza logica in grado, forse più di un racconto classico, di solleticare quei residui esistenziali che, lontani da manifestarsi nell’intelletto, risiedono nascosti in qualche anfratto dell’anima.
A scandire tono ritmico ed emotivo di queste evanescenti figure in costante movimento, in perenne fuga, sono le forme incertamente geometriche e puramente cromatiche che si incasellano alla perfezione nel fluire segnico. Quadrati e rettangoli dai confini labili, tremanti, che dettano i tempi di un’azione colta in medias res. Così queste geometrie volutamente imprecise sembrano indirizzare la frequenza emotiva con cui ci approcciamo all’opera, dandoci una chiave di lettura che attraverso la cromia si traduce in disposizione sentimentale. Da questa miscela di caos e disposizione ragionata risultano composizioni armoniche e suggestive, fugaci nella loro leggerezza e imperative nell’attaccarsi al nostro immaginario.