Fino a novembre 2020 l’iniziativa 2 passeggeri, firmata dall’artista Fabrizio Busi e a cura di Chiara Gatti, porta la poesia nella stazione di Porta Garibaldi a Milano. Vittorio Sereni e Antonia Pozzi, due poeti che condivisero la giovinezza nella Milano anni ’30, i protagonisti di questa poetica installazione.
All’ultimo tumulto dei binari
hai la tua pace, dove la città
in un volo di ponti e di viali
si getta alla campagna
e chi passa non sa
di te come tu non sai
degli echi delle cacce che ti sfiorano.
Pace forse è davvero la tua
e gli occhi che noi richiudemmo
per sempre ora riaperti
stupiscono
che ancora per noi
tu muoia un poco ogni anno
in questo giorno.
3 dicembre, Vittorio Sereni
Il 3 dicembre 1938 Antonia Pozzi, poetessa di soli 26 anni, moriva suicida. L’avevano trovata il giorno prima immersa nel bianco della neve caduta ai lati di un canale intorno all’abbazia di Chiaravalle. Fuori la città diveniva lentamente campagna, dentro un barattolo di barbiturici la conducevano lentamente alla morte. Era ancora in vita al momento del ritrovamento, ma non sopravvisse al suo gesto estremo.
Il 5 dicembre del 1940 Vittorio Sereni scrive di lei all’amico comune Giancarlo Vigorelli, citando una poesia «dedicata, nelle intenzioni e non dichiaratamente, all’Antonia». 14 versi che riportano a quel mattino di freddo dicembre e testimoniano il legame d’intesa, personale e professionale, che univa i due letterati milanesi. Lei di nascita, lui d’adozione, si conobbero durante le lezioni di Antonio Banfi e furono protagonisti di un circolo intellettuale – tra cui spiccavano anche Giulio Preti, Remo Cantoni, Alberto Mondadori, Enzo Paci e Luciano Anceschi – che si distinse negli anni ’30 che fecero da inquieta anticamera al secondo conflitto mondiale. Gli studi, le passioni, gli amori, le delusioni, l’arte, la letteratura, la città: questo ed altro condivisero Sereni e Pozzi, che più di tutto però condivisero un insolito allineamento emotivo. Lo si deduce, per esempio, in una lettera che Pozzi scrisse durante un viaggio in treno a Sereni il 16 agosto del 1935: «Il tuo tormento era proprio questo, il senso di non saper vivere, di aver nelle vene un sangue fittizio e degli arabeschi davanti agli occhi invece che delle figure reali».
Milano, la poesia, un certo malessere esistenziale, il treno. Queste le suggestioni che legano i due poeti e che hanno ispirato l’opera di Fabrizio Dusi. L’artista, solito a utilizzare e parole come espressione artistica, ha installato quattro frammenti di poesie di Sereni e Pozzi ponendoli a dialogo tra i corridoi del Passante ferroviario di Milano Porta Garibaldi.
Iniziativa interessante soprattutto se la pensiamo inserita in un contesto anomalo come la stazione, dove tutti si muovono di fretta. La poesia, al contrario, richiede lettura e rilettura, esige il tempo per affondare in essa, per comprenderla appieno. Allora si crea un una frattura tra la pressione degli impegni che ti vorrebbero il più velocemente possibile fuori dalla stazione e l’occhio che indugia sulle parole poetiche, il cuore che non riesce rinunciare al desiderio di scaldarsi.
Partecipa, inoltre, un certo senso di spaesamento nel vedere comparire, senza nulla che le annunci o le contestualizzi, questi improvvisi componimenti. All’inizio si dubita quasi dei propri occhi, successivamente l’incredulità per la scoperta diventa sorpresa nel constatare la coraggiosa scelta di proporre – in un’epoca dove la poesia non vive certo il suo picco di popolarità – un dialogo tra due poeti che purtroppo faticano oggi ad uscire dal circolo degli appassionati più preparati.
Non resta allora che godersi questo inaspettato bagliore di poesia nel grigio asettico di Garibaldi, una spinta generosa nelle nostre confuse mattine da pendolari, nelle nostre vite talvolta troppo grette e rapide per accogliere un sentimento impegnativo come quello poetico.
Lasciamo vincere l’occhio, lasciamo vincere il cuore: fermiamoci.