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Le vite goliardiche degli oggetti secondo Zazzaro Otto

FixItAgainTony, Tapisserie de Mirafiori, 2017, detail, courtesy Zazzaro Otto FixItAgainTony, Tapisserie de Mirafiori, 2017, detail, courtesy Zazzaro Otto
FixItAgainTony, Tapisserie de Mirafiori, 2017, detail, courtesy Zazzaro Otto
FixItAgainTony, Tapisserie de Mirafiori, 2017, detail, courtesy Zazzaro Otto

Noi bimbi raccoglievamo i paracaduti nei campi e vendevamo la stoffa nei mercati…era resistente… dopo il ‘43 ha iniziato a cadere qualcosa di diverso…

Tra le peculiarità più bizzarre che la nostra specie può vantare nell’universo spicca l’attitudine alla costruzione di attrezzi di ogni sorta. Dai satelliti alle pantofole, non possiamo fare a meno di circondarci di oggetti. I nostri manufatti non si limitano però alla loro funzione materica. Ognuno è contemporaneamente strumento, giocattolo, arma e opera d’arte. Unica eredità che ci è concesso lasciare, contengono prima di tutto la testimonianza dell’ambiente estemporaneo che li ha creati, che li ha usati.

In un contemporaneo che cerca l’utilitarismo pragmatico del capitale rimbombano i versi Dei sepolcri, ci ricordano quanto l’esistenza sia inconcepibile senza la memoria della materia. Dietro al tangibile c’è l’informazione, la memoria, e come un cane che piscia su i suoi alberi preferiti, ne mettiamo un po’ in ogni oggetto che usiamo.

Fantic & Crusades, 2018, installation view, courtesy Zazzaro Otto
Fantic & Crusades, 2018, installation view, courtesy Zazzaro Otto

Come descrivere le informazioni che trasmette una grande opera d’arte? Le mura di una prigione, l’oro di una reliquia. Memoria allo stato solido, vecchia quanto l’uomo.

Ogni processo che trasforma la materia in manufatto è culturale, ciò che si sta forgiando è la semiotica del suo utilizzo.

A Zazzaro Otto piacciono gli oggetti. La sua produzione si potrebbe vedere come un puntiglioso lavoro curatoriale nel quale il feticismo provato per il manufatto spinge a costruire opere con materiali già raffinati dalla storia.

Usando la satira al posto della colla, l’artista assembla critiche che puntano alle contraddizioni che hanno segnato l’Europa dal secolo passato. Krieg in Prenzlauerberg (guerra in Prenzlauerberg, quartiere di Berlino) parla delle tante facce della Germania contemporanea, che l’artista ha conosciuto nei suoi anni passati nella capitale tedesca. La bici cargo, presa come esempio tangibile della vocazione verde di questo quartiere, sembra rappresentare l’imbellimento gentrificato di una zona prima underground. La bicicletta è ricoperta di attrezzatura militare: la Germania ha un ruolo predominante nell’esportazione di armi. Questo aspetto, che male si accosta alla vocazione ambientalista, sembra riempire il “verde tedesco” della bici di significati ambivalenti, che superano le specificità della nazione. In un’etica applicata a compartimenti stagni è concesso essere contraddittori. Nella complessità del contemporaneo, ogni riforma si perde nei vicoli del capitalismo, lasciandoci il sapore amaro di un’occasione mezza conquistata.

KRIEG IN PRENZLAUERBERG, 2013, installation view, courtesy Zazzaro Otto
KRIEG IN PRENZLAUERBERG, 2013, installation view, courtesy Zazzaro Otto

Zazzaro Otto sembra nato per lavorare con quel meccanismo culturale che elabora gli errori collettivi, o forse è stato addestrato dalla Berlino del ventunesimo secolo. Con Fantic & Crusades torna in terra italica, alla ricerca di quell’imbarbarimento delle province che rende inarrestabile la scia di populismo feroce che preoccupa la parte più acculturata del paese. Il maschio provinciale viene dipinto come un crociato alla conquista della sua stessa terra, nella quale gli esotici nemici che la sua ideologia gli dice di combattere sembrano solo volersi rifare una vita. Ma il credo è testardo quanto il cavaliere che continua la crociata contro quei mulini a vento che gli rubano il lavoro. Le opere hanno la leggerezza di una presa in giro ma sanno quali corde toccare. Nella produzione di questo artista, parallela a ogni opera, esiste la passione per gli oggetti di cui si parlava. Ogni elemento che compone un lavoro ha una storia che ne rafforza la semiotica, come gli autentici residuati bellici che ricoprono Krieg in Prenzlauerberg, o la tela originale della seconda guerra mondiale, caduta illo tempore come paracadute in Belgio e riutilizzata dall’artista per creare la mostra Nylon, a family business dove, grazie alla peculiare storia familiare, grazie al nonno, si racconta della quotidianità di quella guerra. La generazione di chi sta scrivendo questo articolo è stata cresciuta da quei nonni che hanno vissuto la guerra da bambini; a noi tutti, durante l’infanzia, è stata raccontata l’infanzia in guerra. Storie spensierate tra le miserie del tempo, ricordi innocenti. Dai racconti emerge la resilienza alla storia, cioè come, nonostante tutto, la creatività sia più grande del nonostante. Nello specifico, il nonno dello Zazzaro Otto si è affacciato alla giovinezza interessandosi agli strani ritrovamenti che accadevano tra i campi del suo paese: paracaduti con scritte inglesi abbandonati nei campi da soldati dileguati. Ci volle poco a capire quanto fosse pregiata la seta di cui erano composti. Fu così che in un’economia bombardata si trovavano, vendute a poco nei mercati, camicie e calzini di seta, fabbricati dai ritrovamenti della guerra, dai suoi scarti.

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FixItAgainTony, Tapisserie de Mirafiori, 2017, installation view, courtesy Zazzaro Otto

La seta dei paracaduti americani veniva comprata in Giappone, che dopo Pearl Harbour non avrebbe più commerciato con gli Alleati fino alla fine della guerra. Dopo qualche anno di seta, iniziarono a piovere paracaduti di nylon, decisamente più scomodi da indossare, ma con qualità altrettanto utili in altri ambiti. Le vicende del nonno raccontano molto dell’attaccamento dell’artista verso le storie degli oggetti, soprattutto la particolare passione per quelli bellici, visti non come oggetti di morte ma come elementi della creatività popolare. L’artista sembra voler vedere questi contenitori di storia con gli occhi del nonno ragazzo (di tutta quella generazione) che con la spensieratezza del sopravvivere ha digerito la crudeltà che gli è piovuta addosso, trasformando le armi in strumenti. Nylon, a family business è pensata per rimettere in scena quella resilienza; usando la stoffa del paracadute originale Zazzaro Otto ricostruisce le coperture industriali che il nonno iniziò a fare quando caddero paracaduti in nylon, mentre fondava la sua azienda pluridecennale, per raccontare come una famiglia, una generazione, sia stata in grado di rialzarsi con un boom talmente forte da sostenerci ancora oggi.

Perdono ci riporta al contemporaneo e alla attitudine dell’artista per le contraddizioni. L’improbabile meccanico personale delle Harley Davidson di Saddam Hussein è il protagonista dell’opera. Fu lui il primo a accanirsi contro la statua del dittatore dopo la caduta del regime, quella che fu poi strappata da un cingolato americano. Perdono di Caterina Caselli fa da colonna sonora mentre il meccanico, a distanza di anni, racconta di essersi pentito del suo gesto plateale. Quando Saddam fu ucciso, spuntarono nel paese altri dieci ‘Saddam’, complicando una nazione già investita da una guerra impari. Di tutte le vittorie che la politica ama raccontare ai media, qualcuno sta già pagando il prezzo. L’opera risulta destabilizzante, un found footage pensato per ribaltare la conoscenza del contemporaneo, di un occidente sempre più consapevole delle sue colpe mediorientali.

Perdono, 2016, frame, courtesy Zazzaro Otto
Perdono, 2016, frame, courtesy Zazzaro Otto

Perdono sarà esposta presso ES WÄRE NICHT PASSIERT…, personale dell’artista al Kunsthaus Dahlem di Berlino, insieme a Fix it again Toni, opera dai sapori più europei, che quanto Nylon, a family business racconta le specificità di un territorio italiano, quello piemontese. A riprova delle capacità storiche dell’artista, l’opera scaturisce da una rivisitazione moderna dell’arazzo di Bayeux, monumentale epopea illustrata della vita di Guglielmo il Conquistatore, dalla quale l’artista prende la tecnica di produzione e l’estetica. Fix it again Toni racconta l’epopea della FIAT, facendo un punto sulla sua storia e riconoscendone, al pari di Guglielmo il Bastardo, l’imprescindibile peso storico. L’arazzo rivisitato è stato cucito sui sedili del popolarissimo Fiat Ducato del 1983, icona della medio/piccola imprenditoria italiana. Pensato, come il resto delle opere dell’artista, per essere site-specific, trova il suo pieno senso semiotico esposto nelle colline intorno a Torino, dove appare familiare ai visitatori. Tanto la produzione quanto la vita di Zazzaro Otto sono portavoce del motore sociale che ha reso grande l’Italia. Sembra che l’artista voglia rivolgersi ai suoi simili: il piccolo imprenditore, la schiera di fieri liberi professionisti che include, per intero, anche i lavoratori dell’arte. Esposta, indispensabile e pronta all’estinzione sembra ricordarci un Novecento ormai finito, ma l’artista ha una soluzione per rialzarsi dalla polvere: la resilienza di quel ragazzo che, per sconfiggere la guerra, trasformò paracaduti nemici in vestiti da vendere e che, insieme ai coetanei, si rialzò da una crisi ben più grave della nostra.

Questo contenuto è stato realizzato da Carlo Gambirasio per Forme Uniche.

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