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Chi intende comprendere l’arte non può prescindere dalla capacità di osservare

Georg Baselitz, Avignon ade
Georg Baselitz, Avignon ade (ruotata a sinistra)

Dalla pratica scultorea alla ricerca antistante un’opera monocroma, il giudizio verso l’arte non può prescindere dall’osservazione e dall’empatia. Infatti, nonostante l’arte si mostri a tutti senza restrizioni, solo chi possiede la giusta sensibilità e disponibilità è in grado di apprezzarla appieno.

Se si vuole arrivare a gustare l’arte, non è mai sufficiente proporsi soltanto di consumare comodamente e a buon mercato il risultato di una produzione artistica; occorre partecipare a questa produzione, essere noi stessi, entro certi limiti, capaci di produrre, fare un certo spreco di fantasia, assommare o contrapporre la propria esperienza a quella dell’artista e così via

 

Bertolt Brecht

Il valore universale ed ecumenico dell’arte è un pregio che essa – insieme a tutto il sistema che al regge – dovrebbe sempre sforzarsi di mantenere. La sua sfuggevole ma incontestabile forza è infatti quella di donarsi, almeno potenzialmente, a qualsiasi soggetto desideroso di avvicinarsi ad essa. Non c’è barriera sociale, economica, educativa, religiosa, morale che può frapporsi tra il messaggio artistico e la sua larga diffusione: l’arte si rivolge a tutti gli uomini e tutti gli uomini possiedono quello che viene definito senso artistico, utile appunto a recepire l’idea veicolata.

Possiamo allo stesso modo constatare come, al pari di questa evidenza, nel complesso e mutevole insieme delle sfumature che compongono il genere umano ci siano individui con inclinazioni e interessi differenti. Questo si ripercuote, tra gli altri aspetti interessati, anche in campo artistico, portando ad una non netta divisione tra chi possiede una determinata sensibilità per maneggiare l’arte – o si applica per ottenerla – e chi al contrario la vive in modo passivo o addirittura refrattario. Dunque, se da una parte l’arte prova a donarsi incondizionatamente, dall’altra richiede a chi la recepisce un’attenzione tutt’altro che superficiale, uno sforza comprensivo che non può esaurirsi nell’assorbimento distratto del piacere estetico – pur sempre valido – che l’opera concede.

Giuseppe Sanmartino, Cristo velato

La questione appare particolarmente rilevante alla luce della crescente complessità semantica dell’arte moderna e contemporanea, vissuta dagli appassionati come criptica e asettica, misteriosa a tal punto da lasciare filtrare la possibilità che dietro quel velo avanguardista si celi una bolla di non senso. In realtà l’opera d’arte ha sempre richiesto una spiccata capacità di osservazione e le conoscenze necessarie per interpretare le considerazioni derivanti da essa, il linguaggio e il mondo contemporaneo hanno solamente portato al discussione ad un livello meno immediato. Occultando la figura, eliminandola, variando drasticamente i medium utilizzati, inasprendo la componente filosofica dell’opera, inserendola in definiva in un organismo culturale particolarmente multiforme, l’arte si è gradualmente allontanata da quella che un osservatore superficiale avrebbe definito una comprensione immediata.

L’osservazione dell’arte porta infatti a un reale godimento solo nel caso che esista un’arte dell’osservazione

 

Bertolt Brecht

A ben guardare, però, l’arte difficilmente si è mai arresa ad una sua fruizione superficiale. Nell’assuefazione – e meccanizzazione – lavorativa che contraddistingue la nostra società da ormai due secoli abbiamo forse perso di vista il processo che porta alla realizzazione di un manufatto, concentrandosi solo sul risultato finale del procedimento. Tutto ciò che viene prodotto artigianalmente non vive esclusivamente dell’apparenza che ostenta, ma anche dei procedimento, del tempo, dello studio, della pratica, dell’impegno e di tutti gli altri fattori che hanno contribuito alla sua realizzazione e che ora porta con sé nei solchi della sua struttura. Allo stesso modo un’opera d’arte non può esaurirsi nel fascino estetico che emana, ma deve necessariamente essere approfondita tanto nel messaggio che veicola tanto che nei processi che l’hanno determinata. Per questo chi sviluppa la capacità di osservare a fondo potrà meglio comprendere l’opera, per questo non tutti riescono a comprendere l’essenza artistica.

Yves Klein, Anthropométrie sans titre

Prendiamo dunque, a titolo esemplificativo, l’opera monocroma di Yves Klein. Gran parte della fase iniziale della carriera dell’artista francese si è orientata verso la ricerca della perfetta tonalità di blu, quella in grado di unificare terra e cielo e dissolvere il piano dell’orizzonte. Klein indirizzò i suoi tentativi sui binari paralleli della pratica e della filosofia. Tra il 1948 e il 1952 condusse infatti numerosi viaggi lungo l’Europa e il Giappone, prima di stabilirsi a Parigi, nell’ottica di approfondire le sue conoscenze sulle dottrine orientali e farne diretta esperienza. Tramite il judo, la meditazione, gli studi, l’artista si instradò lungo la strada della crescita spirituale e di approfondimento personale, inspessendo la propria complessità e infittendo la ricerca di sé. Questi elementi confluirono spontaneamente nel suo fare artistico fin nei più pratici e funzionali aspetti. La scoperta del blu perfetto, l’International Klein Blue (IKB, =PB29, =CI 77007) da lui brevettato, è allora il frutto di anni di lavoro, di miscele e tentativi, di reazioni chimiche e aggiustamenti estetici. Quando ci troviamo di fronte ad un suo monocromo non dovremmo vedere solamente un blu profondo e luminoso, brillante e seducente – ottenuto utilizzando solo pigmenti puri -, ma il lavoro concertato tra mente e corpo per realizzarlo. Il risultato proposto non è dunque una mera questione estetica, ma un fatto concettuale e pratico, di anima e spirito, di artigiano e artista, di terra e spirito.

Glenn Brown, The creeping flesh

Ma la stessa necessità d’osservazione delle dinamiche generative dell’opera sono presenti anche in opere d’arte considerate del tutto convenzionali. Prendiamo in considerazione, per esempio, una scultura, un busto ritraente una qualche figura umana. Esso ci apparirà più o meno aderente alla realtà, simile al soggetto che l’ha ispirato. Avremmo la tentazione di analizzare solo l’output finale, di farci intrappolare dall’ossessione del risultato, passando poi velocemente ad un altro ritratto, a constatarne realismo e capacità mimetica. Ma con quale materiale è realizzata l’opera? Pietra, legno, bronzo, marmo? Dove è stato trovato, come è stato realizzato? Per cogliere appieno la poesia di una scultura bisogna sviluppare una spiccata sensibilità per i materiali – è liscio o ruvido? Duro o malleabile? – e per l’abilità pratica di saperli lavorare, ripercorre il sentiero tracciato con lo scalpello dal ceppo iniziale fino alla resa compiuta dell’opera. Bisogna osservare a sufficienza l’opera da penetrarne i lisci connotati e immaginarla nel magma della sua massa informe, nelle eliminazioni e aggiustamenti che l’hanno formata, nelle nozioni e negli istinti che hanno guidato la mano dell’artista.

Solo due brevi esempi portano quindi alla luce come la qualità osservatoria di concedersi all’opera, insieme alla disponibilità empatica di penetrarne i meccanismi fino anche ad identificarsi con l’artista, siano prerequisiti fondamentali per una vera e sincera esperienza artistica.

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