Viewing room, archivio digitale, social media, disintermediazione, virtual opening show, customizzazione del servizio
Chiuso fino a data da destinarsi. Lockdown e distanziamento sociale hanno colpito tutte le attività basate sullo scambio interpersonale, non da ultime le gallerie. Al panico generale delle prime settimane sta ora subentrando l’ansia di trovare nuove soluzioni che garantiscano di sopravvivere fino alla fine della tempesta. Si corre ai ripari aggiornando i siti e le pagine social, creando nuovi contenuti con cui intrattenere gli utenti e pensando a come riuscire a vendere nonostante una crisi tanto inaspettata quanto inesorabile.
In un periodo governato dall’incertezza, l’unica cosa che appare chiara è che il mercato dell’arte uscirà da tutto questo radicalmente trasformato. La pandemia ha colpito fin nelle fondamenta paradigmi dati per consolidati, mettendo i galleristi davanti all’insufficienza dei mezzi a loro disposizione per far fronte alla situazione. È richiesto un totale cambio di prospettiva da parte di tutti gli attori in gioco, dal mercante al collezionista, i cui ruoli subiranno ridefinizioni radicali. Ed è proprio per questo che non si può pensare che le risorse messe in campo ora siano un ponte di legno utile solo a superare la tempesta per poi essere distrutto. Ora più che mai bisogna “far di necessità virtù” e gettare solide basi per non ritrovarsi esclusi da un scenario completamente trasfigurato.
Alzare il telefono e chiamare. In alternativa, il mezzo da utilizzare è uno solo, uguale per tutti: internet, ormai l’unica vetrina tramite cui la galleria può dar notizia di sé al mondo esterno.
C’è già chi sta sfruttando al massimo le potenzialità offerte dal virtuale. Il 23 aprile la Lisson Gallery lancerà sul proprio sito una piattaforma che, grazie alla realtà aumentata, permetterà di scegliere un’opera e collocarla all’interno della propria abitazione, per poter vedere che effetto fa prima di acquistarla. Segue a ruota Massimo de Carlo, che ha appena lanciato il proprio VSpace con tanto di “virtual opening show” by John Armleder e Rob Pruitt. Una realtà completamente immersiva, specie se indossate dei visori ottici.
Ma è noto che la sconfinata immensità del web possa essere un’arma a doppio taglio. Se da una parte l’assenza di limiti fisici è indubbiamente lo strumento ideale per aumentare quantitativamente l’offerta proposta, bisogna fare i conti con uno stuolo di concorrenti pronti a riempire il pubblico con le loro proposte. Prima di prendere qualsiasi decisione è quindi fondamentale aver presente i propri punti di forza puntando sul loro sviluppo qualitativo piuttosto che imboccare un numero eccessivo di strade. Si sa, il troppo stroppia.
Viewing room, archivio digitale e disintermediazione
Ad arrancare più di tutti saranno probabilmente quelli che fino ad ora non hanno prestato particolare attenzione alla propria offerta digitale, considerandola effimera rispetto al rapporto vis-à-vis tra cliente e gallerista. A cambiare è dunque il concetto stesso di fare affari, che, almeno per il momento, non potrà passare attraverso fiere affollate ed eventi aperti al pubblico.
Difficile trasportare online l’intero processo di compravendita, ma non impossibile, come dimostrano dei celebri “case study”. Gagosian -18 sedi fisiche in giro per il mondo- ha lanciato la sua viewing room digitale già nel 2018, come già l’anno prima aveva fatto David Zwirner, il quale, proprio a seguito del successo riscontrato nelle vendite online in questo periodo, ha espresso l’intenzione di ridurre la propria partecipazione alle fiere anche una volta passata la pandemia. E detto da un mercante che ogni anno prende parte a circa una ventina di manifestazioni in giro per il mondo dovrebbe far riflettere.
Va ovviamente tenuto presente che nomi come David Zwirner, Hauser & Wirth, Marlborough e via dicendo, pur rappresentando solo una piccola fetta del mercato, bastano di per sé come indice di garanzia per il cliente, cosa che rende più semplice farsi guidare in un’acquisto senza vedere di persona l’opera. Ma fama a parte, le strategie messe in campo da queste gallerie sono qualcosa da cui tutti dovrebbero trarre spunto.
Prima ancora di parlare di contenuti interattivi, la base da cui partire è sicuramente un archivio digitalizzato degli artisti della galleria e delle principali opere disponibili. Una cosa che appare scontata ma che in molti casi ancora manca, impedendo agli utenti di farsi un’idea sull’effettiva offerta disponibile. Foto in alta definizione che permettano di avere un visione chiara dell’opera e dei suoi dettagli sono fondamentali per avere credibilità agli occhi di un collezionista ed eventualmente passare allo step successivo, cioè la vendita diretta tramite il proprio sito.
Qui la situazione inizia a complicarsi sotto vari punti di vista. In primis, la questione del prezzo. Sbandierare il listino non è una via solitamente praticata, ma alcune gallerie hanno scelto di imboccare questa strada -tra le altre, Pace e, per l’ennesima volta, Zwirner– forse come segno di buona fede e trasparenza verso i propri clienti. Sicuramente avere già un’idea del range di spesa aiuta ad accorciare i tempi che normalmente intercorrono tra la richiesta di informazioni e l’acquisto in sé.
La strada che va per la maggiore tra le gallerie estere è però l’istituzione del tasto “inquire” sotto l’opera, tramite cui l’utente verrà messo in contatto con il Sales Director per essere informato sul prezzo e sulle altre condizioni (così fanno Hauser & Wirth e Lévy Gorvy). Altra strada è quella di rendere visibile la cifra di vendita previa registrazione via mail sul sito (Marlborough e David Kordansky), abile strategia per collezionare contatti a cui indirizzare la newsletter.
Quale che si la scelta sul prezzo, sembra evidente che il desiderio è quello di accorciare sempre di più i canali di vendita, puntando sulla disintermediazione e sulla gestione diretta del mercato online a discapito dell’enorme macchina fieristica in essere fino ad oggi.
Servizi aggiuntivi
Ma perché il passaggio dall’offline alla rete avvenga in modo efficiente, prima di chiedersi che strumenti attivare per continuare a vendere, un gallerista deve ragionare su cosa vuole il cliente per continuare a comprare. Fondamentale è che la galleria riesca a coinvolgere e a ricreare l’esperienza frontale anche dietro lo schermo. La maggior parte delle gallerie sceglie di farlo tramite una viewing room, una vera e propria mostra in versione digitale con una selezione scelta di opere, exhibition views e comunicato stampa. In alcuni casi il risultato è così efficiente da essere considerato uno spazio supplementare rispetto a quelli fisici.
Se la vendita online può apparire una strada abbastanza praticabile per chi si occupa di arte contemporanea, la questione si complica nel momento in cui si inizia a parlare di opere storiche. Per valutare lo stato di conservazione di un Burri sarebbero necessari strumenti ben più potenti che una semplice fotografia. Al diminuire delle informazioni acquisibili tramite gli occhi cresce la fiducia riposta nel gallerista, che non può essere garantita da nessun software ma solo dall’abilità del singolo. Ovviamente un ruolo essenziale lo giocano i contatti creati negli anni e la fiducia acquisita agli occhi dei collezionisti, ma qualche espediente in più sicuramente non guasta. C’è chi sceglie di arricchire la propria pagina web con video, articoli e rubriche dedicate. Anche se nella maggior parte dei casi a farlo sono gallerie che avevano attivato questi format già da tempo, non è mai troppo tardi per cominciare.
La tendenza a sottostimare i social media si rivela ora più controproducente che mai. Il potere di propaganda di una pagina Instagram è indubbio, specie se i contenuti prodotti sono di qualità. Matteo Lampertico, specializzato in arte antica e ‘900 italiano, ha creato per le proprie pagine social dei video di approfondimento concisi ma coinvolgenti, dedicati a singole opere o a specifici temi della storia dell’arte. Nel mare magnum di iniziative online promosse dalle istituzioni culturali dell’ultimo mese, è essenziale dar vita a contenuti originali, che riescano a catturare l’attenzione nell’utente che fa zapping tra il sito di un museo e il post di una galleria.
Hauser & Wirth, tra le altre cose, ha dato vita a “From a distance: messages from artists’ homes and studios”, una serie di brevi video girati dagli artisti all’interno delle proprie case per far nascere una connessione tra utente e galleria anche in un momento come questo.
A ben guardare non serve molto, basta tener presente un concetto fondamentale: coinvolgimento e customizzazione del servizio. Al collezionista privato della possibilità di avere un’interazione concreta col gallerista va almeno garantito un servizio personalizzato e diretto se si vuole che consideri l’acquisto.
Scenari futuri
Anche se si può dire con quasi certezza che il mercato dell’arte uscirà profondamente mutato da questa situazione, è molto difficile immaginare quale sarà la situazione effettiva. La mancanza di sicurezze impedisce, in questo come in ogni altro settore, di formulare pronostici o piani d’azioni certi.
Risulta però facile credere che, se e quando la situazione si sarà calmata, non molti avranno voglia di infilarsi sotto un capannone con centinaia di altre persone e vagare tra gli stand, anche nel caso in cui siano adottate misure di contingentamento (in ogni caso difficili da immaginare applicate alla mandria di persone che visitano le fiere). Perché la prolungata assenza di vetrine fisiche non produca danni eccessivi trovare canali di vendita alternativi è quindi una scelta obbligata. Per un mondo che, come quello dell’arte, non è esattamente famoso per un largo utilizzo della tecnologia, questa potrebbe essere l’occasione di rinnovarsi in modi inaspettati e, si spera, trarre beneficio dalla sfida che si trova ora a fronteggiare.
Forse l’unica cosa che può in parte consolare è la consapevolezza di essere tutti nella stessa barca. Che sia un incentivo ad unire le forze per trovare una soluzione condivisa su larga scala? Non tutte le gallerie sono in grado, da sole, di spendere cifre esorbitanti in innovazione tecnologica, ma se l’idea fosse quella di dar vita a un‘iniziativa condivisa tra più realtà, oltre a un’ammortizzazione dei costi potrebbe derivarne anche un grande beneficio a livello di immagine per il settore.
Non più inaugurazioni in galleria ma viewing room virtuali. È la definitiva epoca della “riproducibilità tecnica” di cui parlava Benjamin, in cui non si acquista più un’opera vista di persona ma la sua immagine digitale, subordinando il godimento della sua aura alla consegna.
Del domani non c’è certezza, anche se nessuno sembra esserne molto lieto. Ma in questo momento l’unica cosa che conta è cercare di restare a galla riducendo al minimo le perdite, tutto il resto si vedrà.