Prosegue la pubblicazione di Mimmo Rotella. Catalogo ragionato, curato da Germano Celant ed edito da Skira. Dopo la ricerca e la documentazione della produzione relativa al periodo dal 1944 al 1961, è il momento del lasso di tempo che va dal 1962 e il 1973. Ispirato dalla Pop art americana e dal Nouveau Réalisme, l’artista sperimenta le forme artistiche del décollage, dei riporti fotografici e degli artypos.
Arte, cinema, fotografia, design, architettura, grafica, pubblicità, propaganda, poesia e musica al fine di creare un campo unitario, in cui i materiali sono trattati non come diversità, ma come variabili
Germano Celant sulla commistione delle forme artistiche nel Novecento
Dove ci eravamo interrotti? Subito dopo la soglia degli anni 60, al 1961 per la precisione. Al tempo Mimmo Rotella aveva appena aderito al Nouveau Réalisme (pur senza firmarne il manifesto), iniziando un sodalizio con il critico e teorico del movimento, Pierre Restany, e aprendosi in modo deciso all’annessione nella sua opera della componente figurativa. Qui si era interrotta la poderosa e precisa ricerca che ha portato Germano Celant – insieme al Mimmo Rotella Institute e alla Fondazione Mimmo Rotella – alla pubblicazione di Mimmo Rotella. Catalogo ragionato; edito da Skira, il monumentale volume contiene circa 1500 opere, con descrizione e documentazione annessa, e analizza l’attività dell’artista dal 1944 al 1961. Ma la storia di Rotella non si è certo conclusa qui; anzi, non è che l’inizio.
Per questa ragione è ormai di prossima uscita il secondo volume del Catalogo ragionato, il quale si concentra sui lavori realizzati tra il 1962 e il 1973. Un periodo chiave nell’esperienza dell’artista, che delinea la sua personale poetica muovendosi sul crinale del Pop art, principalmente di stampo americano, e del già citato Nouveau Réalisme. Sarà proprio la combinazione dei due movimenti a condurre Rotella all’inclusione della figura dei suoi décollage – opere risultanti da un procedimento simile al collage, con il quale l’artista assembla sulla tela porzioni di manifesti, rimossi direttamente dai muri per strada, con elementi mutuati dal ready-made dadaista – fino a quel momento caratterizzati da un contenuto Informale.
La necessità primaria di Rotella diviene dunque quella di includere la realtà all’interno della tela. Operazione in cui diviene gradualmente un tramite, adombrandosi dietro l’esuberanza di un mondo che autonomamente intendeva candidarsi ad opera d’arte. Come ben evidenziato dal volume, che riporta la produzione dell’artista in ordine cronologico mostrandone l’evoluzione, questa urgente istanza si traduce in un rinnovamento del linguaggio e dell’aspetto grafico dei suoi lavori. Politici, attori, musicisti, divi del piccolo e del grande schermo, celebrità: una schiera di personalità celebre fanno il loro ingresso sulla tela, come se avessero di loro iniziativa attraversato le quinte della creazione artistica per comparire finalmente nell’opera visiva.
Queste immagini-forza scaturite dai muri romani sono dotate, rispetto a loro stato originale, di una sovrappresenza che ne smaga il mito. Sono diventate più reali del mito che pretendevano di incarnare, più reali della realtà stessa: la star che è scoppiata è infinitamente meno star ma infinitamente più donna
Pierre Restany, Biennale di Venezia, 1964
Com’è possibile che Rotella, nell’intento di scomparire dall’opera, rinunci all’informale per annettere delle figure? L’operazione all’apparenza contro-intuitiva cela il desiderio di rinunciare al contrasto pittore-pittura che puntualmente si innesca nel momento in cui ci si affaccia ad un’arte spiccatamente cerebrale come quella informale. Al contrario, operando come agente del caso, e qui si strizza l’occhio al dadaismo, Rotella cede la scena ad una realtà incontrollabile, che passa dalla strada alla tela attraverso rimozioni, sovrapposizioni, fughe, ritorni, apparizioni, scomparse. Le icone del cultura di massa seguono percorsi complessi e imprevedibili per ritrovare, in un nuovo tipo di esposizione mediatica, la loro essenza mai conosciuta.
Parallelamente – e il catalogo ha il pregio di sottolineare la compresenza temporale delle ricerche – l’artista si apre alla sperimentazione fotografica. Sono gli anni dei riporti fotografici e degli artypos: i primi consistono nella proiezione dell’immagine, impressa sulla fotografia, sulla tela emulsionata; i secondi sono invece il risultato della manipolazione dei fogli utilizzati per la taratura delle macchine tipografiche, ottenuta sovrapponendo immagini iconografiche casuali. Lo stampo della ricerca tripartita – décollage, riporti fotografici, artypos – è dunque la medesima: partecipare al caos della contemporaneità che avanza facendosi agente di un riordinamento irregolare, ma poeticamente denso di senso.
Sempre in questo verso percepiamo nell’avvicinarsi degli anni settanta e dell’avanzare del movimento sessantottesco, una più spiccata attenzione per le riviste patinate, che nella narrazione della mitologia divistica stavano soppiantando il manifesto. Questo spostamento di interesse testimonia nuovamente il valore dell’autoreferenzialità dell’immagine fotografata, carica di informazioni e refrattatria, almeno nel caso di Rotella, a drastici interventi artistici. Sono sufficienti dei ritagli di quotidiani o settimanale e un solvente con cui libere le figure rappresentate dal peso del contesto, o talvolta insidiate loro stesse dalle sfumature (frottage) o addirittura cancellazioni (effaçages).
Il progetto di schedatura sistematica, che di certo proseguirà, ha dunque il pregio di addentrarsi in ogni specifico meccanismo dell’opera di Rotella, portando alla luce i singoli ingranaggi della sua produzione. Le componenti del suo decennale lavoro artistico prendono così posto in un ragionamento che questa volta è preciso e didascalico – in un’ironica contrapposizione con l’opera dell’artista – nel testimoniare i passi che lo hanno condotto a delineare la sua personalissima poetica.