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Aste, dalla sala fisica allo spazio virtuale. Quando il rito diventa irrituale

La rivoluzione si è compiuta. Le aste si sono spostate dal luogo fisico della sala allo spazio virtuale della rete. Siamo forse di fronte alla morte della sala d’aste tradizionale?

Asta: “vendita pubblica al miglior offerente, sin. incanto”. Questo nella sua nuda definizione da vocabolario è il significato di ‘asta’, in sintesi concorrono ben pochi elementi per la realizzazione di una vendita all’asta: la necessità che sia pubblica e che avvenga al miglior offerente, per rialzi dunque. Ma l’asta è anche un rito, che da sempre si svolge in sale più o meno affollate alla presenza di un pubblico di collezionisti, più o meno attenti e partecipi.

Ho iniziato a battere aste nel 1997 presso la Christie’s di Roma. Il salone principale di Palazzo Massimo Lancellotti a piazza Navona si riempiva all’inverosimile per quelle occasioni, due gli appuntamenti annuali attesi dai collezionisti come giornate da celebrare in onore dell’Arte, declinata in tutte le sue forme. Sale piene, che potevano contenere fino a 100-150 persone sedute e altre decine in piedi, tutte attente a “celebrare” il rito collettivo della vendita all’asta, seguendo le mosse calcolate dell’officiante, il banditore.

Al suo fianco i colleghi attenti a segnalare le offerte dei clienti in sala, qualora sfuggissero all’occhio attento del banditore; ma anche a registrare gli underbidders, ovvero quei clienti che si erano fermati una battuta prima dell’aggiudicazione e che, in taluni casi, potevano ri-aggiudicarsi i lotti che avevano perduto.

Una sinfonia di gesti, di sguardi, di segni d’intesa tra il banditore e i colleghi, ma anche tra i clienti più affezionati che potevano comunicare con pochi cenni e ammiccamenti le loro offerte, sicuri di essere intercettati dallo sguardo vigile del banditore, dominante sulla platea dall’alto del suo rostro.

Un rituale che negli anni si è progressivamente affievolito, perché le sale sono ormai popolate da curiosi o da addetti ai lavori e sempre meno da collezionisti, ormai gelosamente celati dietro gli anonimi telefonisti delle case d’asta. L’occhio del banditore ha ormai spostato il suo focus dalla sala, centrale davanti a lui, ai margini della stessa, dove siedono i telefonisti collegati in tempo reale con i principali collezionisti. E da qualche anno, a fianco dei telefonisti, trovano spazio una pletora di pc collegati alle varie piattaforme online che consentono, a chiunque nel mondo, di offrire in tempo reale stando comodamente seduti dal divano di casa propria.

Le aste si sono dunque spostate dal luogo fisico della sala, dove convenivano fino a pochi anni fa i collezionisti o i loro emissari per gareggiare fino all’ultimo rilancio, in un non luogo: lo spazio virtuale della rete, che presuppone comunque gli spazi reali da dove operano i vari collezionisti.

I collegamenti telefonici da un lato e quelli on line dall’altro hanno determinato un radicale svuotamento di senso nella ritualità della sala: la vera competizione si svolge ormai fuori dallo spazio fisico della sala d’aste, migrata entro uno spazio fisico sempre reale ma remoto, ovvero le case e gli uffici dei collezionisti collegati con la casa d’aste.

L’assenza di questo luogo fisico dove la vendita pubblica si svolgeva, con tutti i suoi rituali “in presenza”, ha determinato anche una mutazione necessaria delle modalità organizzative delle vendite. Tutto il personale di una casa d’aste è ormai coinvolto nel garantire a clienti distanti di partecipare alla vendita, ricreando per loro l’atmosfera della sala ma in modo filtrato, virtuale.

Il paradosso per eccesso di una sala ormai svuotata della sua funzione di “contenitore di collezionisti” ovviamente è una forzatura, perché ancora in sala le offerte si raccolgono e i clienti partecipano; ma il baricentro si è inevitabilmente spostato altrove, fuori da quelle mura, presso collezionisti che spesso non hanno mai vissuto l’esperienza della sala di un tempo. Sono i neofiti a voler ancora frequentare la sala, quelli che diffidano della casa d’aste per principio e che dunque vogliono vedere coi loro occhi “cosa succede mentre si batte un lotto”. Ma una volta fatta questa esperienza, state sicuri che all’occasione successiva chiederanno anche loro di partecipare in remoto.

Un cambio di scena dettato dalla tecnologia, dalla comodità di avere tutto a portata di mano nel luogo in cui ci si trova senza dover necessariamente partecipare di persona; evitare di spostarsi per ragioni di tempo, di comodità, di concentrazione nel momento decisionale della vendita, tante ragioni concorrono a tale cambiamento.

Il risultato è quello ormai osservabile da un decennio circa: la sala celebra ogni volta se stessa, seguendo antichi rituali che non rispondono più ai tempi nuovi e alle nuove sensibilità. Come tutte le esperienze di aggregazione sociale, riveste ancora un suo ruolo fondamentale per lo scambio di opinioni tra collezionisti, di intreccio di idee, impressioni, di incontri forieri di futuri accordi. Ma sono dinamiche che vanno progressivamente spegnendosi, perché diminuendo i collezionisti presenti in sala diminuisce anche l’interesse verso il momento di comunanza, di condivisione di una comune passione.

Ad un collezionismo vissuto anche come rituale collettivo, si va sostituendo una dimensione sempre più solitaria e solipsistica del collezionista, rinchiuso nella sua raccolta sempre meno condivisa con il mondo esterno.

In tempi in cui l’isolamento sociale ci impone l’annullamento di vendite pubbliche, la soluzione sperimentata ieri in Finarte per l’asta di “Grafica e Multipli d’Autore” che si è svolta da remoto mi sembra paradigmatica dell’intero processo sin qui illustrato.

Un’asta totalmente organizzata a casa, da casa, con un banditore reale che gestisce una sala “virtuale” composta da clienti collegati al telefono e sulle piattaforme online. La sala d’aste è diventata il salotto di casa del banditore, collegato in streaming coi suoi clienti, visibile a tutti nella celebrazione del rito collettivo dell’asta. Al suo fianco due soli concelebranti, collegati coi clienti al telefono e con le piattaforme, nulla più. Tre persone in tutto in grado di gestire da remoto un’intera vendita di oltre 200 lotti per 3 ore e mezzo.

La tecnologia, essenziale e ridotta all’osso, consente tutto questo: un semplice router casalingo, linee lan e wi-fi, un cellulare per riprendere il banditore, un microfono e una piattaforma per trasmettere il tutto. La sala d’aste è diventata un luogo indefinito, dove svolgere la vendita pubblica in presenza di un pubblico reale/virtuale che offre al rilancio. Tutto qui, come da definizione.

La rivoluzione si è compiuta, il mezzo è diventato il messaggio (McLuhan docet), il contenitore si è fatto contenuto:

un’asta si può svolgere d’ora in avanti dovunque, con pochi mezzi tecnologici a disposizione, garantendo a tutti di partecipare comodamente distanti ma attivamente presenti. In un mondo globale non conta più il luogo dove si svolge la cerimonia ma solo la presenza del celebrante e di pochi assistenti, tutto rimane reale ma tutto si è smaterializzato. Il banditore non ha più davanti a sé sguardi e cenni d’intesa, solo uno schermo che rimbalza la sua immagine in milioni di devices: ogni collezionista vive la sua personale asta live, in un rapporto one to one col banditore che parla alla camera, comunica con tutti loro ma senza alcun feedback.

Non sono onestamente in grado di dire se tutto questo sia un bene o un male, non so neanche se abbia senso porsi una domanda del genere. Ieri pomeriggio ho celebrato da casa mia forse la morte della sala d’aste tradizionale, o forse al contrario ne ho celebrato la sua perenne vitalità, proprio in quanto rituale sociale irrinunciabile. Credo però che sia stato importante vivere fino in fondo la completa trasfigurazione della dimensione sociale dell’asta in un momento fortemente “individuale”, così come ieri è stato concepito. Il banditore solo, come il celebrante la Messa davanti all’altare, si offre al suo pubblico per garantire la regia dell’asta: da attore a regista, coordina le offerte dei collezionisti ma non interagisce più con loro, verbalizza in modo impersonale la pubblica vendita.

La sala d’aste come è stata finora concepita rimarrà forse solo il luogo delle celebrazioni solenni, degli eventi unici e irripetibili, nella quotidianità le tante sale domestiche diverranno tanti spazi reali per diverse tipologie di aste. Le opere andranno comunque viste, le sale d’asta serviranno come contenitori per le esposizioni, ma forse non più come luoghi del rituale della vendita.

Quella, da ieri, si potrà comodamente seguire e svolgere dal salotto del banditore al salotto del collezionista, senza soluzione di continuità. E potremmo tutti dichiarare che la casa d’aste finalmente sarà entrata nelle case dei clienti, sedendosi accanto a loro, accompagnandoli negli acquisti.

Fabio Massimo Bertolo
Banditore per Finarte Auctions

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