Dopo due mesi dalla morte di Ulay, Marina Abramovic dedica un intenso ricordo al loro intenso rapporto: “Penso alla totale libertà che abbiamo avuto. Alcuni degli anni più felici della mia vita”
In ricordo di Ulay (1943-2020)
Poco dopo la morte di Ulay (pseudonimo di Frank Uwe Laysiepen) dello scorso 2 marzo, Marina Abramovic aveva condiviso sulla sua pagina Facebook un breve pensiero dedicato al suo ex partner di oltre dodici anni di intensa vita privata e artistica. C’è chi ha pensato fosse un po’ freddo, quasi di circostanza.
Per quale motivo Marina Abramovic, che del rapporto con Ulay aveva fatto una live performance perenne, anche dopo la separazione (come nell’iconico incontro al Moma di New York), chiudeva una storia così complessa e travolgente con poche e (ammettiamolo) scontate parole?
Per il momento non è dato saperlo. Per una volta, le emozioni sono rimaste private. Come si dice, è calato il sipario. E il dolore questa volta, è rimasto invisibile al pubblico. Forse Marina aveva bisogno di elaborare intimamente un lutto importante come quello di un compagno con il quale ha condiviso il percorso più importante della sua vita.
Non è un caso che, dopo due mesi di silenzio, l’artista abbia sentito la necessità di condividere su Artforum un suo affettuoso ricordo della travolgente storia d’amore e professionale con Ulay.
“Ulay, il mio ex partner in amore e nell’arte, è morto quest’anno e ho perso un caro amico. Era un artista e un essere umano eccezionale”
Inizia così il ricordo di Marina in memoria di Ulay. Dal primo colpo di fulmine nel 1975 ad Amserdam, fino all’addio nel 1988, quando si incontrarono a metà strada sulla Grande Muraglia, dopo un cammino verso l’altro di tre mesi.
Vita nomade, totale libertà
Nel racconto, l’artista non passa in rassegna tutte le performance oltre i limiti fisici e mentali condivise con l’ex compagno. Pone invece l’accento soprattutto sugli esordi della loro avventura, non nascondendo una certa nostalgia, nel ricordare il loro girovagare per l’Europa con un vecchio furgone Citroën (ex cellulare della Polizia olandese) e il loro cane Alba. Una vita nomade per molti anni, senza acqua corrente, senza riscaldamento, vivendo del poco che riuscivano a guadagnare dalle loro performance:
“Nel ricordare quegli anni, penso alla totale libertà che abbiamo avuto. Sono stati alcuni degli anni più felici della mia vita”, scrive l’Abramovic nel suo memoriale per Ulay.
Il manifesto di Art Vital
E proprio in ricordo di quei formidabili anni, l’artista condivide anche il manifesto che aveva scritto allora con Ulay, intitolato “Art Vital“:
Nessuna dimora fissa
Movimento permanente
Contatto diretto
Relazione locale
Autoselezione
Superare i limiti
Assunzione dei rischi
Nessuna prova
Nessuna fine prefissata
Nessuna replica
Estesa vulnerabilità
Esposizione al caso
Reazioni primarie
Del nostro lavoro rimarrò orgogliosa per tutto il tempo in cui vivrò
Nel descrivere la loro vicenda personale, Marina non nasconde la difficoltà di un rapporto “combustivo” tra due personalità così cariche di energia come le loro:
“Tuttavia, in qualche modo, siamo riusciti a sfruttare quell’energia e usarla nella nostra vita e nel nostro lavoro, lavoro di cui rimarrò orgogliosa per tutto il tempo in cui vivrò.
Energia maschile e femminile unite in un unico elemento che avevano chiamato “Quell’Io”.
Quello che univa i due, ricorda Marina, era soprattutto il rapporto con la verità. Senza compromessi, per quanto scomoda a volte possa apparire.
“Ulay era un artista genuino. Si dedicava completamente alla sua arte e alle persone a lui vicine. Abbiamo avuto la nostra parte di scontri nel corso degli anni, ma tutto ciò che rimane oggi è amore e gratitudine”.