Chris Facey in azione Union Square, a New York City, assieme a centinaia di persone che animavano le proteste per l’uccisione a Minneapolis di George Floyd
“Quando ho la mia macchina fotografica addosso, mi rendo conto del perché sono presente a queste manifestazioni di protesta”. E allora scatta le sue fotografie, Chris Facey: è quello il suo contributo alla causa che muove i manifestanti. L’ha fatto nei giorni scorsi, a Union Square, a New York City, assieme a centinaia di persone che animavano le proteste per l’uccisione a Minneapolis di George Floyd, sopraffatto dalla violenza di un poliziotto. Quelle foto poi sono arrivate al New Yorker, che le ha pubblicate corredandole dei suoi racconti.
Lui è un fotografo documentarista con ambizioni creative, studente della School of Visual Arts: racconta che su quella piazza newyorkese “la polizia ha usato biciclette per formare una barricata, nella speranza di mantenere la protesta isolata in un angolo”. Ma poi “la situazione è sfuggita di mano”, racconta Facey, “ho assistito a poliziotti che spingevano i manifestanti e li colpivano con le biciclette, immobilizzandoli per le braccia“.
Più di settanta persone sono state arrestate. Secondo la polizia, diversi ufficiali sono rimasti feriti: e il giorno successivo si è svolto un nuovo ciclo di manifestazioni e arresti, a Foley Square e al Barclays Center, a Brooklyn.
Facey, che ha documentato altre proteste in passato, racconta che spesso cerca di anticipare le scene prima che accadano. Un’abitudine assunta non solo attraverso il suo lavoro di fotografo documentarista, ma anche attraverso la sua esperienza di uomo di colore in presenza di agenti di polizia. Si muove lentamente, preoccupandosi che la sua attrezzatura non possa essere scambiata per un’arma. “Alcuni altri manifestanti non capivano l’importanza del mio ruolo”, ricorda Facey, “e mi urlavano: sei qui per scattare foto o sei qui per la causa?“.
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