Gustave Caillebotte, il pittore dal taglio fotografico che nelle sue opere crea istantanee della vita parigina di fine Ottocento, fu anche amico e mecenate degli Impressionisti. Ecco la sua storia
Può darsi che il primo a non credere nelle sue capacità artistiche fosse proprio lui, Gustave Caillebotte. Perché solo così forse si può spiegare il fatto che quando non riuscì più a tenere insieme le gelosie, le diverse anime e i capricci del suo gruppo di impressionisti, decise di mollare tutto dall’oggi al domani e ritirarsi in campagna dedicandosi al giardinaggio.
Eppure Caillebotte, riscoperto solo nel secolo scorso, prima a Parigi e poi 25 anni dopo, nel 1976, a New York, non è stato un pittore qualunque, ma uno dei più moderni e innovativi che ha finito per lasciare una sua impronta nella storia dell’arte, essendo stato uno dei primi a capire che la fotografia era il miglior mezzo per documentare la vita di tutti i giorni.
Siamo verso la fine dell’Ottocento, nel decennio degli Anni 70, e lui decise allora di dare ai suoi dipinti un taglio spiccatamente fotografico, privo di quell’esplosione di colori che caratterizzava la scuola dei suoi amici. I personaggi ci appaiono in movimento, ritratti nella loro piena naturalezza, senza filtri e senza pose, e anche quando fissa l’immagine immobile di un uomo affacciato su un balcone sopra le vie di Parigi, lo riprende anonimo, voltato di schiena, come in uno scatto colto alle sue spalle d’improvviso. Caillebotte, in realtà, non fu mai pienamente impressionista, perché il suo stile, come sottolinea il critico d’arte Federico Giannini, «coniugava anche elementi di accademismo e realismo assieme a quelli, appunto, dell’impressionismo».
Solo che Gustave Caillebotte si portò dietro per tutta la vita l’etichetta di rampollo benestante di una ricca e potente famiglia, e questo particolare non indifferente fece sì che molti lo considerassero non come un professionista, ma come un dilettante che si applicava sulle sue opere quasi per togliersi uno sfizio.
Suo padre, Martial, era un imprenditore tessile di grande successo, erede a sua volta di un impero industriale, e lui nacque, nel 1848, in una lussuosa dimora in rue Faubourg Saint Denis, nel centro aristocratico di Parigi, trascorrendo buona parte della sua fanciullezza nella sontuosa tenuta di famiglia di Yerres, a Sud della capitale.
Al Café Guerbois
Fece regolari studi ed era destinato a una molto borghese carriera giuridica, quando conobbe il pittore Giuseppe De Nittis e cambiò radicalmente i suoi interessi. Assieme a lui, a Edgar Degas e a Edouard Manet, cominciò a frequentare il Café Guerbois, al numero 11 di viale Batignolles, oggi Avenue de Clichy, a Parigi, instaurando solidi rapporti con quel gruppo di artisti che avrebbero di lì a poco dato origine al movimento impressionista. Gustave partecipò assiduamente ai loro vari appuntamenti, diventando il paladino di quella corrente, organizzando quasi tutte le loro mostre – una delle quali porta addirittura il suo nome perché reperì da solo i finanziamenti e i quadri necessari alla rassegna -, ma realizzando anche opere importanti come «Il Ponte dell’Europa» e la «Strada di Parigi in un giorno di pioggia».
La collezione di 68 opere di Caillebotte
A differenza dei suoi colleghi, lui però non aveva bisogno di vendere i lavori che creava. Aiutò invece economicamente gli amici più in difficoltà, come Claude Monet, che era sempre senza soldi, e a cui pagava regolarmente l’affitto dell’appartamento in rue Saint Lazare, nel centro di Parigi, o comprando i loro quadri, per sostenerli. Alla fine mise insieme una collezione di 68 opere che comprendevano 19 tele di Camille Pissarro, 14 di Claude Monet, 10 di Pierre Auguste Renoir, 9 di Alfred Sisley, 7 di Edgar Degas, 5 di Paul Cezanne e 4 di Edouard Manet.
In quegli anni volle anche scrivere in anticipo il testamento, che contemplava un lascito della sua collezione artistica al governo francese. Con un appunto, però, che si rivelò preveggente alla sua morte, perchè ci furono molte resistenze da parte di alcuni membri dell’Accademia delle Belle Arti, che protestavano contro l’ingresso delle opere impressioniste nei musei statali:
«Io dono allo Stato i dipinti che possiedo. Tuttavia, siccome voglio che questo dono sia accettato nella misura in cui le opere non finiscano in una soffitta o in un museo di provincia, ma prima al Luxembourg e poi al Louvre, è necessario che trascorra un po’ di tempo prima che questa clausola venga eseguita, e cioé fino al momento in cui non dico che il pubblico capirà queste opere, ma almeno le accetterà».
E difatti la sua collezione fu presa solo dopo qualche anno, non senza esitazioni, ed ora è esposta al Musèe d’Orsay. Tra le numerose opere che lasciò al governo francese neppure una era stata dipinta da lui. Anche questo contribuì indiscutibilmente a caratterizzarne l’immagine come quella di un mecenate e di un facoltoso collezionista.
La sua filantropia e generosità hanno contribuito a mettere in ombra la sua opera pittorica. E che lui stesso avesse di sé soprattutto questa idea lo si potrebbe dedurre anche dal fatto che dopo il 1882, visti vani suoi sforzi di tenere unito il gruppo impressionista che cominciava a smarrire la sua spinta propulsiva, decise di abbandonare la pittura, ritirandosi in campagna, dove morì, ancora giovane, nel 1894.
La carriere pittorica
Per lungo tempo restò nella memoria come il mecenate che aveva aiutato quel gruppo di pittori impressionisti. Solo nel 1951 la Galerie Wildesntein di Parigi allestì finalmente una piccola retrospettiva di alcuni dei suoi lavori. Ma bisognò aspettare altri 25 anni prima che il suo nome cominciasse a circolare nel mondo. La svolta avvenne quando lo storico d’arte statunitense Kirk Varnedoe curò nel 1976 una importante monografica sull’artista al Museun of Fine Arts di Houston.
L’anno dopo quella rassegna arrivò al Brooklyn Museum di New York, segnandone il successo, che poi venne definitivamente consacrato quando, nel 1986, la Galleria d’Arte di San Francisco organizzò un’esposizione dal titolo «La nuova pittura: l’impressionismo dal 1874 al 1886», mettendo le sue opere allo stesso livello degli altri artisti. In quella rassegna ci sono 12 tele di Caillebotte, che si differenziano da tutte le altre, anche perché in mezzo a quelle nature morte, ai paesaggi e agli interni, nei suoi lavori emerge invece come tema dominante la figura dell’uomo, nella raffigurazione di una virilità a volte provocatoria, considerando i canoni dell’epoca.
Le opere di Caillebotte, istantanee della vita parigina di fine Ottocento
Gli operai inginocchiati in maniera quasi servile ne «I lamatori di parquet» contrastano solo apparentemente con i «canottieri che remano sul Yerres», e il primo piano dei muscoli delle braccia protesi nello sforzo di spingere i remi, o «I bagnanti».
Il giovane nudo de «L’homme au bain se frictionnant», colto come in una fotografia che ne contempla freddamente i tratti virili, riassume in fondo l’occhio incuriosito dell’artista. Ma al di là di questo, quello che più ci colpisce delle sue tele è lo sguardo che ci consegna sulla Belle Epoque.
I suoi dipinti, anche quelli intimisti, sono vere istantanee sulla vita parigina di fine Ottocento, addensata di una malinconia particolare che emerge dagli ambienti in cui viene ritratta, come se dal suo privilegiato osservatorio di ricco borghese ci raccontasse la trasfigurazione di un mondo che correva verso il precipizio. C’è qualcosa di decadente. Ma anche di vero. Sono le piccole lacrime nascoste in una fotografia.