A Palazzo Pitti, Firenze, per un mese (28 maggio-28 giugno 2020), è in esposizione l’opera di Giovanna Garzoni. Grande pittrice seicentesca che se a suo tempo ha lottato per la propria libertà – come Artemisia Gentileschi, che probabilmente incontrò – ora si batte affinché la sua arte venga riscoperta.
Non era bella, ma intelligente, volitiva, intraprendente. Giovanna Garzoni (Ascoli Piceno 1600-Roma 1670) è un’altra grande pittrice del passato che, come Artemisia Gentileschi, aveva lottato per la sua libertà. Libertà di studio, lavoro, movimento. E, come la rivoluzionaria collega, che quasi certamente aveva conosciuto, percorse l’Europa, dall’Italia alla Francia all’Inghilterra, per fare esperienza, conoscere nuove forme di pittura, specialmente la nordica, molto in linea con la sua. Per questo, dopo due anni di matrimonio, contratto giovanissima, aveva disfatto tutto, con la scusa di un voto di castità, e si era dedicata alla sua passione, la pittura, la miniatura, il disegno.
Una bella mostra la celebre a Firenze: “La grandezza dell’Universo” nell’arte di Giovanna Garzoni (Palazzo Pitti, 28 maggio-28 giugno, catalogo Sillabe) con rari disegni, dipinti, oggetti rappresentati nelle sue straordinarie nature morte. Aveva iniziato a sedici anni e forse prima dedicandosi alla calligrafia, un’arte nobile. Un galeone riprodotto con un unico tratto di penna nel suo Libro de’ caratteri cancellereschi corsivi, copiato da un manuale di Jan van de Velde il Vecchio, pubblicato a Rotterdam nel 1605, la dice lunga sulla sua visione internazionale. Aveva solo una ventina d’anni ed era già molto brava.
A diciotto anni è a Firenze, alla corte di Maria Maddalena d’Austria, per impadronirsi non solo delle novità pittoriche, ma anche di quelle scientifiche sperimentate proprio allora da Galileo. Perché a lei interessava la natura, che rendeva viva e palpitante nelle sue lenticolari nature morte. Ne sono esposte di straordinarie dipinte lungo l’arco della vita, susine e gelsomini, ciliegie e garofani, mandorle e rose, pere, pesche, susine, fichi. Accompagnate da insetti, uccellini lumache, verdure. Meraviglie che solo una mano abile, gentile, poetica, poteva riprodurre o meglio ricreare in quel modo. Una mano come quella di Artemisia, esperta in altri soggetti, che proprio in quegli anni era Firenze alla corte del granduca. Si saranno conosciute le due pittrici? Certamente sì. L’Autoritratto come Apollo della Garzoni del 1616-1618 potrebbe essere stato fatto in contemporanea o ad emulazione di quello di Artemisia come suonatrice di liuto, entrambe con un elegante abito blu intenso.
La Garzoni è una ragazzina, fresca, con uno sguardo deciso, una lunga chioma arricciata, che si firma “Giovanna Garzoni F[ecit]” sullo strumento musicale e la corona d’alloro in testa, tipici di Apollo, simboli di eccellenza nelle arti, musica e poesia in particolare. Più tardi, a sessantacinque anni, sarà il pittore Carlo Maratti a ritrarla, vestita di scuro, sobria ed elegante, una traccia di rossetto sulle labbra, rughe, occhi curiosi e sapienti.
Nel mezzo, tra i due ritratti, una vita con tutte le sue tappe. Venezia negli anni Venti, dove Giovanna dipinge su pergamena e conosce il pittore miniaturista Tiberio Tinelli, che sposa nel 1622 e lascia due anni dopo. Napoli, dove si trova nel 1630 sotto la protezione del Duca di Alcalà, come la Gentileschi, in quell’anno giunta a Napoli. Le due pittrici si saranno riviste? Molto probabile, anche se non se ne sono trovate testimonianze scritte. Ma nel 1632 la Garzoni, appoggiata da Cassiano Dal Pozzo, è già a Torino, dove si ferma sino al 1637, invitata da Cristina di Borbone, moglie di Vittorio Amedeo I di Savoia. La “Madama Reale”, sorella del re Luigi XIII di Francia, le offre un impiego sicuro e possibilità di proiezione verso l’Europa, grazie alla fitta rete di contatti della diplomazia sabauda.
Ed ecco i ritratti dei regnanti e dei personaggi illustri, altro settore in cui la Garzoni eccelleva: Vittorio Amedeo I di Savoia (1587-1637) con baffetti, lungo viso, collettone di pizzo, sguardo altero, il Cardinale Richelieu del 1640-1648, Leopoldo de’ Medici con capelli a zazzera del 1646-1648 e tanti altri. A Torino la pittrice sviluppa gli studi sulla miniatura e sulla natura morta guardando anche alla lombarda Fede Galizia (morta nel 1630), e al cremonese Panfilo Nuvolone. Sempre più agguerrita, nel 1637, alla morte di Vittorio Amedeo di Savoia, lascia Torino, si reca in Francia e Inghilterra per conoscere la pittura nordica. Altra occasione per incontrare e frequentare la Gentileschi proprio in quegli ultimi anni Trenta presente a Londra.
Ma l’attività della Garzoni è ancora lunga e intensa. Altre tappe saranno a Firenze nel 1642, dove lavorerà come illustratrice per la corte confrontandosi con artisti “scientifici” come Jacopo Ligozzi e poi a Roma, dove riceverà grandi onori sino a diventare Accademica di San Luca, titolo raro per una donna. Ma lei era una lottatrice come Artemisia. Morirà tra il 10 e il 15 febbraio 1670, lasciando tutti i suoi averi all’Accademia.
La mostra:
“La grandezza dell’universo” nell’arte di giovanna garzoni
a cura di Sheila Barker
Palazzo pitti, Firenze
28 maggio – 28 giugno 2020
promossa da: ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo
gallerie degli uffizi
Circa 100 opere tra dipinti, miniature su pergamena disegni, oltre ad un grande paliotto a tema floreale di oltre 4 metri di lunghezza, accompagnate e poste in dialogo con porcellane antiche, avori e bronzi rinascimentali.