Tra le numerose attività di questa Fase due che hanno potuto finalmente riaprire al pubblico ci sono anche i musei. Non tutti hanno potuto e/o voluto farlo dal primo giorno di via libera (lo scorso 18 maggio): le restrizioni e le nuove regole d’accesso impediscono un ritorno alla normalità. Ogni istituzione si è dovuta così adattare ai necessari parametri governativi per garantire una fruizione sicura dei propri spazi e delle proprie opere. Ma non è solo il distanziamento sociale la sfida dei nostri musei, molti altri aspetti dovranno essere ripensati, ricalibrati, cambiati. Ne abbiamo parlato con Cristiana Perrella, direttrice del Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato
– Com’è stato finalmente riaprire il museo al pubblico? Prime impressioni e feedback dalla ripartenza.
Siamo ripartiti il 21 maggio con emozione e grande entusiasmo, potendo offrire ai visitatori un museo sicuro, accogliente e aperto a tutti. L’ingresso sarà gratuito per tutta l’estate, con un’offerta molto varia: da The Missing Planet, la grande mostra sull’arte post-sovietica dalla nostra collezione e altre raccolte internazionali, alla videoinstallazione di Adrian Paci Interregnum, alla prima personale in Italia del fotografo e poeta cinese Ren Hang (unica mostra a pagamento ma con biglietto ridotto a 7 euro), fino a Kenè, sulla bellissima esperienza del laboratorio di fotografia per ragazzi di strada realizzato a Bamako dal fotografo Mohamed Keita e al progetto dei servizi educativi Extra Flags, che presenta le bandiere d’artista che abbiamo realizzato durante il lockdown come base di un laboratorio creativo per bambini e famiglie, a cui abbiamo dedicato due grandi sale del museo, in modo che si possa lavorare senza problemi, nel pieno rispetto delle norme di sicurezza. Volevamo dare –essendo nella possibilità di farlo- un segnale di ottimismo e di vitalità e mi sembra che sia stato colto in pieno: il pubblico è stato numeroso dal primo giorno (91 ingressi) ed è cresciuto costantemente. Molto vivaci sono anche le interazioni sui social.
– Come si può ripensare l’idea di accessibilità? Come cambierà il rapporto tra museo e fruitore? Come sono organizzate le “nuove” visite nel suo museo? Come saranno rimodulati gli spazi e il percorso espositivo?
Il Centro Pecci è un museo dai grandi spazi, con percorsi molto fluidi e direzionati: l’adozione delle nuove misure di sicurezza non cambia molto le modalità della visita né la sua piacevolezza. Abbiamo il termoscan all’entrata, l’uscita separata, numerosi punti in cui è possibile igienizzarsi le mani, la segnalazione della distanza da tenere dove si potrebbero creare delle file, un numero massimo di 60 persone che possono essere presenti contemporaneamente nelle sale (con una densità molto più rarefatta del dovuto), e la climatizzazione impostata senza il ricircolo d’aria (con consumi molto più alti!) ma, a parte questo, non abbiamo dovuto cambiare altro. Spero che il pubblico percepisca che siamo un luogo sicuro, dove venire senza preoccupazioni e godere di un’esperienza estetica ma anche sociale: con il museo hanno riaperto anche il ristorante e il bar, entrambi dotati di spazi esterni, e da fine giugno partirà il nostro programma Pecci Summer. Quest’anno, nel teatro all’aperto- in cui i posti da 950 saranno ridotti a 300- presenteremo non solo concerti come di consueto, ma anche cinema, talk e performance. Immaginiamo il museo come una piazza della città, dove venire spesso perché c’è sempre qualcosa di nuovo e di interessante da fare, un luogo dove si sta bene, familiare soprattutto per il pubblico di prossimità e stimolante per tutti.
– Meno numeri, più valore. Meno quantità, più qualità. Radicalizzazione sul territorio e rapporto con la comunità di cui fanno parte. Come sarà il nuovo museo d’arte (sia in senso lato che in senso stretto della sua istituzione)?
Molte delle parole chiave che ci vengono ora imposte dall’analisi della crisi orientavano già la nostra azione. Da quando ho iniziato il mio mandato al Centro Pecci, due anni fa, ho scelto di lavorare in direzione di un museo che sia un generatore di domande, di idee, di relazioni, di dialogo, piuttosto che un “palazzo delle esposizioni”, un luogo di scambio con la comunità artistica e con i cittadini, stimolante, inclusivo, radicato nel suo territorio ma anche aperto al mondo e in grado di parlare al sistema. Credo che per avere una voce nel dibattito internazionale oggi ci sia bisogno di esprimere una posizione individuata, un contesto culturale specifico e di aprirlo al confronto. Puntare non ai grandi numeri ma piuttosto alle grandi idee. A un ruolo culturale –e sociale- piuttosto che turistico. Un obiettivo che oggi, alla luce dei cambiamenti imposti dalla pandemia, è condiviso da molti ma che per noi è stato valido anche prima. Dare al museo queste linee guida non è stata una scelta facile ma si è rivelata, alla prova della crisi, razionale e sostenibile. Tra l’altro noi siamo fuori dai flussi del turismo di massa, in una posizione che potremmo definire periferica anche rispetto alla città di Prato: chi viene da noi lo fa perché è fidelizzato oppure interessato specificamente a ciò che possiamo offrire e di solito mette in programma di dedicare del tempo alla visita, non di farla in gran fretta. Attrarre questo pubblico attento, nazionale e internazionale, piuttosto che una moltitudine distratta, vuol dire anche potergli proporre altri itinerari sul territorio. Vicino al Pecci, a Villa Celle, c’è la straordinaria collezione d’arte ambientale di Giuliano Gori, a Prato delle vere e proprie gemme come il Duomo e il Museo Diocesano, Palazzo Pretorio, il Museo del Tessuto. Credo spetti a tutti noi anche aiutare le persone a recuperare un’idea meno nevrotica dei rapporto con i luoghi, invitare anche i visitatori occasionali a un coinvolgimento maggiore, a un’esperienza più lenta e profonda.
– L’utilizzo della comunicazione digitale e della condivisione di progetti online è stato cruciale, ma è parso altresì evidente che la fruizione fisica delle opere, degli ambienti, delle architetture non è in alcun modo sostituibile. Come possono essere integrati al meglio questi due livelli in modo che le specificità del digitale siano sfruttate come una ulteriore proposta museale?
Appena il museo ha chiuso, ci è sembrato essenziale continuare ad avere una voce e a poter condividere il nostro patrimonio, a farlo vivere, e lo spazio digitale era evidentemente l’unico a disposizione per farlo. Fortunatamente avevamo già uno strumento adatto, la nostra web tv nata nel 2016 con l’intenzione di configurare il Centro Pecci sempre più come un luogo di trasmissione di idee e di attivazione di dibattito al di là dei suoi confini fisici, territoriali. Negli ultimi due anni abbiamo lavorato molto a rafforzarla e professionalizzarla, avendo principalmente tre obiettivi: rendere accessibili, digitalizzandoli, i video del nostro archivio, che testimoniano la storia trentennale del museo, documentare la nostra attività attuale, in tutte le sue forme, e approfondirne i temi con interviste, backstage, ma anche con materiali girati fuori dal museo, ad esempio negli studi degli artisti. Durante la chiusura, la web tv ci ha permesso di rimanere attivi e continuare a dare ciò che abbiamo da offrire, anche se in forma diversa. Abbiamo intensificato la sua programmazione mettendo online un nuovo contenuto al giorno, che in seguito è rimasto sempre disponibile nella nostra library. Non solo contenuti dell’archivio o di documentazione dei programmi più recenti ma anche film, video d’arte e contenuti prodotti appositamente, come gli incontri in diretta con artisti e scrittori e i video realizzati da artisti come “tutorial” per la creazione di opere da parte dei bambini o le video-presentazioni degli spazi indipendenti della Toscana. Abbiamo mantenuto internet, e dunque il nostro sito, come luogo principale della nostra attività che abbiamo poi rispecchiato, comunicato, ulteriormente trasmesso attraverso i social.
Anche ora che abbiamo riaperto, il digitale rimarrà una risorsa importante, più di quanto non lo fosse prima. Il rapporto fisico con i nostri spazi sarà riservato principalmente a un pubblico di prossimità e sarà ancora lo spazio del digitale a permetterci di mantenere vivo il discorso critico, lo scambio con una comunità più vasta e internazionale, in un momento in cui la condivisione di pensiero, di contenuti, il confronto tra posizioni ed esperienze è più essenziale che mai e può generare nuovi protocolli per l’arte.
Il digitale, infine, ci ha fornito la possibilità di rimanere attivi con le scuole, grazie a una piattaforma che Microsoft ci ha messo a disposizione gratuitamente tramite l’ ‘Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali della School of Management del Politecnico di Milano. Utilizzando questo strumento abbiamo rivolto un nutrito ciclo di incontri e lezioni agli studenti delle scuole del territorio sull’arte e le professioni del contemporaneo. Ora che si può, aspettiamo che i ragazzi vengano fisicamente in visita al museo.
– Il governo sembra un essersi un po’ dimenticato delle istituzioni e dei professionisti del mondo dell’arte nonché degli artisti. L’attenzione è sempre parsa più rivolta al mondo dello spettacolo. Lei ritiene che si sia fatto abbastanza per aiutare anche il complesso e variegato panorama museale e i relativi lavoratori? Dal suo punto di vista, di cosa ci sarebbe bisogno?
Il Ministero, dopo aver subito sollecitato i musei a rimanere attivi attraverso il digitale, cosa che molti hanno fatto con grandissimo impegno, ha tardato però a prendere in considerazione i bisogni e le urgenze del nostro settore. Credo che il rapporto con i musei d’arte contemporanea, non solo con quelli statali ma anche con quelli regionali e comunali debba essere di maggiore ascolto e maggiore collaborazione, soprattutto considerando che sono un elemento fondamentale di contatto con la materia viva dell’arte, cioè gli artisti. Si è parlato di rilanciare la produzione di opere pubbliche, di un nuovo WPA. Credo che, piuttosto che centralizzare un’azione di sostegno alla produzione artistica, avrebbe senso far passare questo processo attraverso la rete dei musei, sostenendo la produzione e l’acquisizione di nuove opere, agendo per incrementare le collezioni. Più in generale, credo che sia arrivato il momento di riconoscere le professionalità del mondo dell’arte e far uscire dalla precarietà esistenziale molti dei lavoratori che ne fanno parte. Di supportare la ricerca, la produzione critica, di dinamizzare il mercato abbassando l’iva. E’ un lungo discorso che è stato affrontato recentemente anche dal Forum per l’arte contemporanea. Il lavoro di riflessione fatto da più fronti in questi mesi non va sprecato, ascoltarlo da parte del Ministero potrebbe aprire a un vero nuovo corso per l’arte italiana.
Ren Hang. Nudi
a cura di Cristiana Perrella
4 giugno – 23 agosto 2020
Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato
Viale della Repubblica 277
59100, Prato
tel. 0574 5317
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