Le ultime righe de La cognizione del dolore di Carlo Emilio Gadda sembrano vibrare della stessa atmosfera di tre dipinti di tre artisti italiani: Boccioni, Morbelli e Previati. Qui una suggestione di come si potrebbero incontrare.
Arte visiva e letteratura hanno in comune l’esattezza e la bellezza. L’esattezza e la bellezza di definire il mondo, di guardarlo in modo nuovo e scoprirne così una sfumatura inedita. Una forma di conoscenza, in fondo, quella artistica, sotto il cui abbraccio possiamo far rientrare entrambe le espressioni tecniche sopracitate. Tanto che, talvolta, si ha la sensazione che le due dimensioni si compenetrino e scambino suggestioni, scivolando di tanto in tanto l’una nel reame dell’altra, mettendo il luce come il loro fine, seppure raggiunto con mezzi differenti, sia sostanzialmente lo stesso. Definire le cose, scoprire il mondo, aprire possibilità.
Per questo può essere dolce, raccogliendo un suggerimento leopardiano, naufragare nel sentimento sinestetico dove l’oceano dei sensi rimescola le sue correnti e ci restituisce un mare nuovo. In particolare, potremmo pensare a quelle improvvise coincidenze semantiche che conducono un’immagine pittorica e un’immagina letteraria, se non a sovrapporsi, quantomeno ad affiancarsi. E così percepiamo quel sentimento, scaturito da una o dall’altra fonte, ridondare a sua volta nell’una o nell’altra, rinforzando il suo potere evocativo in quel riverbero unico. Al di là delle circostanze dove l’immagine si fa diretta espressione del testo, affiancandolo o ricalcandolo, oppure quelle dove la componente scritta descrive precisamente l’avvenimento artistico, appaiono maggiormente affascinanti le occasioni in cui letteratura e arte vibrano di corrispondenze segrete. Si tratta di specifiche coincidenze, spesso soggettive, dove testo e immagine condividono un’eguale atmosfera, un medesimo tono emotivo, una cromia fraterna.
Anche se in modo imprevedibile e dipendente dalla sensibilità del soggetto, di questi rapporti se ne verificano molti. Ancora di più quando a farsi carico della parte testuale c’è uno scrittore abile ed evocativo. A titolo esemplificativo di questo prolifico scambio immaginativo, vogliamo proporre l’ultima parte – o presunta tale, dal momento che il romanzo non è mai stato ufficialmente concluso – de La cognizione del dolore di Carlo Emilio Gadda. Tralasciando lo sviluppo della trama, è meglio dirigerci per i nostri scopi direttamente al suo epilogo, dove una vecchia signora, dopo essere stata colpita a morte, sta per concludere la sua ultima notte di vita, in agonia. Gadda racconta le sue ultime ore, i suoi ultimi minuti, in attesa che la notte declini e sopraggiunga l’alba.
Lasciamola tranquilla disse il dottore, andate, uscite. Nella stanchezza senza soccorso in cui il povero volto si dovette raccogliere tumefatto, come in un estremo recupero della sua dignità, parve a tutti di leggere la parola terribile della morte e la sovrana coscienza dell’impossibilità di dire: -Io-.
La madre di Boccioni, dipinto nel 1910, sembra riflettere l’estremo tentativo della donna descritta da Gadda di recuperare la dignità – che nel momento della morte va disperdendosi nelle pezze, nelle vesti sfatte, nella membra esauste, nel volto stravolto – nel disintegrarsi proto-cubista del corpo, nel moltiplicarsi delle prospettive e dei frammenti che la compongono. La madre del pittore non sta certo morendo al momento del ritratto, ma la sua posa seduta, in attesa solitaria, coincide con la necessità della donna nel testo di ritrovare se stessa, il proprio io, in un tentativo di estrema drammaticità.
L’ausilio dell’arte medica, lenimento e pezzuole, dissimulò in parte l’orrore. Si udiva il residuo d’acqua ed alcool delle pezzuole strizzate, ricadere gocciolando in una bacinella ed alle stecche della persiana già l’alba.
In questo caso non c’è corrispondenza contenutistica – al di là della luce che filtra dall’esterno – ma è invece presente (almeno per chi scrive) la stessa palpabile sensazione di abbandono, di tristezza, di solitaria disperazione. Come Gadda nasconde un’immagine visiva (il residuo d’acqua e alcool delle pezzuole strizzate) sotto un’evocazione uditiva (si udiva), allo stresso modo Angelo Morbelli racchiude in questo fermo immagine natalizio, finemente allestito, la disperazione che i soggetti provano durante tutto l’anno; la quale si traduce in un perpetuo silenzio, solo saltuariamente interrotto: proprio come una goccia che increspa la superficie malinconica di una bacinella.
Il gallo improvvisamente la suscitò dai monti lontani perentorio ed ignaro come ogni volta. La invitava ad accedere e ad elencare i gelsi, nella solitudine della campagna apparita.
Non ci sono i gelsi, ma i campi coltivati. Ad ogni modo il divisionismo di Previati riproduce in modo straordinariamente efficace il rapido incedere dell’alba evocato da Gadda, che come un rapido elenco passa in rassegna le forme di vita della campagna, che al sua passaggio appare e prende vita. Lo stile pittorico dell’opera suscita l’immensa distanza dei “monti lontani” e la velocità con cui il nuovo giorno, in groppa alla luce, percorre distanze incalcolabili per raggiungere ogni luogo della terra. Anche laddove la vita sta lasciando spazio alla morte.