Che il complesso e variegato mondo dell’arte contemporanea in Italia fosse sorretto da una quantità di lavoratrici e lavoratori sottopagati, non riconosciuti e in balia di situazioni precarie era già piuttosto noto, per lo meno a chi viveva e vive tutt’ora situazioni del genere ma ora, forse, le cose stanno cambiando. Perchè con lo scatenarsi della pandemia le condizioni lavorative si sono aggravate per tutti e ancora di più per chi è senza tutele e senza alcun riconoscimento, così i lavoratori dell’arte contemporanea si sono uniti e hanno dato vita ad AWI (Art Workers Italia). Li abbiamo intervistati per capire meglio chi sono, cosa fanno e cosa vogliono ottenere.
– Cos’è AWI e da chi è composta?
AWI (Art Workers Italia) è un gruppo informale, autonomo e apartitico, di lavoratrici e lavoratori delle arti contemporanee, formatosi su base partecipativa nel contesto dell’attuale crisi dovuta alla pandemia di Covid-19. Il gruppo riunisce professionalità eterogenee, accomunate da problematiche, come la sospensione e/o la perdita di numerosi impieghi e progetti durante il lockdown, e dalla volontà reale di farvi fronte. AWI nasce dunque dalla necessità di dare voce a molteplici urgenze e prospettive, attraverso modalità di ricerca collaborative e autoformative, che mirano a una radicale messa in discussione e rifondazione del sistema dell’arte contemporanea e delle strutture su cui questo si regge. Il gruppo lavora per delineare e attuare strumenti etici, politici, giuridici e contrattuali che portino, attraverso l’adozione di misure di tutela e sostegno concreto, al riconoscimento condiviso del valore professionale, socio-economico e culturale di questo settore.
– Da chi e com’è nata l’idea di riunire tutti i lavoratori del mondo dell’arte?
L’idea è nata a marzo da un gruppo di lavoratrici e lavoratori del mondo dell’arte che, in questo momento di ulteriore incertezza, hanno sentito l’esigenza di confrontarsi con altri professionisti sulle problematiche emerse e di riflettere assieme su quelle già esistenti. Il primo passo è stato creare un gruppo facebook dove potersi scambiare idee ma anche appelli e dichiarazioni di intenti provenienti da altri gruppi e realtà che iniziavano ad esporsi tramite social per poter dare voce alle proprie richieste. Da lì si è andato strutturando un percorso collettivo, basato sulla condivisione di informazioni così come sulla ricerca di possibili soluzioni.
Le condizioni politiche ed economiche degli ultimi mesi hanno reso assolutamente necessario un ripensamento collettivo delle logiche che contraddistinguono il sistema dell’arte contemporanea. La crisi di fatto non si è limitata ad avere ovvie e immediate ripercussioni sul settore artistico e culturale, ma ha evidenziato la vulnerabilità intrinseca delle configurazioni contrattuali a cui è sottoposto chi opera in questo ambito. Rapporti di lavoro intermittenti, occasionali, il più delle volte sommersi sono stati sino ad oggi motivo di esclusione da qualsiasi forma di ammortizzatore sociale, oltre che dai meccanismi di tutela previsti dal governo nel decreto “Cura Italia”, come la cassa integrazione in deroga o il bonus una tantum erogato dall’INPS. In questo scenario si è sviluppata la necessità di fare qualcosa per delineare contesti lavorativi egualitari e inclusivi, che vadano a sostituirsi alle logiche individualiste e di (auto)sfruttamento che hanno dominato il settore in tutti questi anni. A tale scopo, attraverso pratiche di ricerca e scrittura collettiva, AWI ha elaborato un manifesto – pubblicato significativamente il 1° maggio scorso – in cui sono esposti obiettivi a breve e lungo termine come il riconoscimento delle specificità delle professioni che operano nell’arte contemporanea, la regolamentazione dei rapporti di lavoro, la redistribuzione delle risorse, l’istituzione di forme di sostegno economico di base, nonché l’avvio e il consolidamento di attività formative per le professioniste e i professionisti del settore con l’obiettivo di valorizzare il ruolo della ricerca e dell’educazione all’arte contemporanea. Si tratta di uno sforzo importante ma più che mai necessario. Ci teniamo a ribadire che il gruppo è aperto e invita gli interessati a seguire e a partecipare, in base ai propri interessi e alle proprie disponibilità, alle attività di AWI.
– Come mai ci è voluto un shock economico e crisi sanitaria per riuscire a far convergere le forze e far nascere AWI? Non è che prima la situazione degli art workers fosse così rosea.
In questo Paese chi lavora nel settore artistico e culturale vive una condizione peculiare: ad altissimi livelli di competenza e professionalità corrispondono compensi ai limiti della soglia di povertà, sia in ambito privato che – ed è forse ancor più allarmante – in quello pubblico. Questo paradosso deriva da un lato dalla mancanza di riconoscimento del valore sociale, culturale ma soprattutto economico del settore, e dall’altro dal consolidamento e dalla diffusione sempre più capillare di forme di “retribuzione” alternative al compenso in denaro, legate alla visibilità, all’incremento dei contatti e alla reputazione in vista di un futuro (ma incerto) posizionamento. Tutto questo va poi contestualizzato in un sistema che vede muoversi da un lato grandi capitali per una cerchia relativamente ristretta di professionisti, e per lo più all’interno di logiche di mercato, e dall’altro un consistente numero di operatori cui toccano le briciole di una realtà che nemmeno la crisi del 2008 ha scalfito. Ne consegue l’affermazione di un sistema elitario ed escludente, che implicitamente incoraggia regimi di auto-sfruttamento, promuove dinamiche di competizione non favorevoli a un ambiente lavorativo sano e rispettoso delle competenze e delle esperienze. La crisi dovuta alla pandemia di Covid-19 ha esacerbato le criticità di un sistema così strutturato, producendone addirittura di nuove. Ad esempio, moltissime realtà artistiche e culturali hanno dovuto ricorrere alla realizzazione di contenuti digitali, per i quali manca totalmente una regolamentazione dei compensi. Proprio per questo AWI si è posta obiettivi di breve – più strettamente connessi all’emergenza sanitaria – e lungo termine. In fondo i momenti di profonda crisi sono i più adatti a promuovere un sostanziale ripensamento critico dello status quo, in un’ottica di ripartenza che non può avvenire senza tenere conto delle esigenze specifiche delle professionalità coinvolte.
– Le professionalità del mondo dell’arte sono molte, complicate da inquadrare e spesso neanche formalmente riconosciute. Come pensate di coordinare e gestire questo dedalo di figure lavorative e di particolarità?
Nonostante le differenze che intercorrono tra un tipo di lavoro e l’altro, le problematiche sono spesso comuni proprio perché derivano da un mancato riconoscimento del lavoro necessario per tenere in piedi il sistema dell’arte contemporanea. Il fatto che sia un sistema poco noto – e su questo si vedano le misure del Governo attuate in questi mesi – è un problema che ci lega tutti. L’incomprensione scaturita dal riferimento di Conte agli “artisti che ci fanno emozionare e ridere”, non è che espressione dell’invisibilità di una filiera in realtà ben radicata, ma non riconosciuta se non da chi frequenta attivamente questo sistema. In senso concreto, moltissime professioni non hanno alcun inquadramento o riconoscimento giuridico, ed è proprio per questo che fra gli obiettivi di AWI vi è l’elaborazione di una Carta delle professioni dell’arte contemporanea sul modello della Carta nazionale delle professioni museali nonché, per i lavoratori autonomi, la creazione di nuovi codici ATECO o la riformulazione di quelli già esistenti, allo scopo di renderli più adeguati alle varie professionalità e di aprire alla possibilità di beneficiare di importanti tutele previdenziali come l’indennità di disoccupazione, i permessi per malattia, la maternità e i congedi parentali. AWI nasce proprio per raccogliere e accordare una molteplicità di istanze, ciascuna con le proprie criticità e aspettative, agendo come un organismo in grado di connettere una costellazione di individui e associazioni e di rappresentarne le esigenze nella sfera pubblica. Da questo consegue la scelta di costituire un gruppo senza alcuna struttura gerarchica: il lavoro è suddiviso in una serie di tavoli cui partecipano diverse professionalità dandosi compiti precisi e collaborando in maniera paritetica. I contenuti e le attività non hanno carattere autoriale ma sono il risultato di un impegno collettivo, che tende a mettere in luce i bisogni di tutti. La sinergia fra professionalità e spunti diversi è il presupposto fondamentale se si vuole immaginare e realizzare uno scenario che sia concretamente più inclusivo, equo e rispettoso delle specifiche competenze ed esigenze delle lavoratrici e dei lavoratori dell’arte contemporanea.
– C’è stato un incredibile eco dalla pubblicazione del manifesto di AWI, vi aspettavate un riscontro del genere? Oltre a riscontro mediatico, avete ricevuto altri tipi di feedback a livello istituzionale?
Il riscontro mediatico è dovuto forse a un’esigenza condivisa, una necessità di maggior tutela e sostegno che in moltissimi hanno sperimentato in prima persona negli ultimi mesi. L’uso dei social risulta in questo senso strategico poichè consente di diffondere le informazioni e di registrare l’interesse di chi ha supportato le campagne mediatiche avviate. I diversi strumenti ad oggi usati (Facebook e Instagram) permettono infatti tanta visibilità solo quando c’è condivisione: un aspetto effettivamente coerente alla logica di apertura e dialogo alla base di AWI.
Il 24 aprile 2020 abbiamo inviato una lettera al Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, chiedendo l’estensione delle misure del decreto “Cura Italia” a coloro che non godono di alcun ammortizzatore; l’instaurazione di un dialogo in merito alla costituzione di un fondo per gli artisti delle arti visive; la conferma e l’adeguamento dei fondi già destinati a beneficio di progetti ed eventi previsti per il 2020/2021; il sostegno, anche tramite sgravi fiscali, degli spazi no-profit e dei luoghi di produzione quali, fra gli altri, gli studi d’artista. Ad oggi non abbiamo ricevuto alcuna risposta ma, anche in questo caso, molte persone hanno partecipato alla condivisione di stories su Instagram e di grafiche su Facebook, che abbiamo fatto circolare taggando i canali social del Ministero.
Abbiamo inoltre ricevuto numerosi inviti e espressioni di solidarietà da parte di realtà nazionali e internazionali che si occupano come AWI di tutela del lavoro nell’arte contemporanea: siamo stati chiamati a dialogare con Cultural Workers Alliance Greece, abbiamo coordinato un tavolo del Forum dell’arte contemporanea, partecipato ad ArtLab 2020, presentato AWI in università italiane ed europee.
– Quali sono i prossimi passi? Avete già delineato una scaletta per l’immediato e per un futuro più lontano?
Come anticipato prima, abbiamo una lista di obiettivi a breve termine, già esposti al ministro Franceschini nella lettera inviata a fine aprile e più strettamente correlati all’emergenza sanitaria globale e agli effetti che questa ha prodotto. Stiamo lavorando inoltre su punti programmatici di lungo periodo, che richiedono tempi maggiori di elaborazione e attuazione, volti innanzitutto a un inquadramento giuridico delle professioni dell’arte contemporanea – sulla scia di quanto è stato fatto per le professioni museali – e una regolamentazione dei rapporti di lavoro e dei contratti, al fine di poter godere di maggior tutela e ammortizzatori sociali. Auspichiamo inoltre che vengano implementate e snellite le possibilità di accesso a fondi europei per la realizzazione di progetti ed eventi, per l’acquisizione di opere e per la formazione professionale delle lavoratrici e dei lavoratori del settore; Chiediamo l’adesione del governo italiano a raccomandazioni come lo Statuto sociale degli artisti – Risoluzione del Parlamento europeo del 7 giugno 2007 sullo statuto sociale degli artisti (2006/2249(INI)) – e il loro aggiornamento sulla base delle attuali esigenze del settore. Proponiamo una ristrutturazione del sistema d’accesso a bandi e premi, al fine di renderlo più inclusivo, trasparente e congruo alle reali esigenze di produzione ed esposizione; una maggiore accessibilità a forme di mecenatismo e sponsorizzazione; un rafforzamento infine delle azioni volte alla formazione dei professionisti del settore, alla ricerca, all’innovazione e all’educazione all’arte contemporanea nel sistema d’istruzione italiano.
– Per chi è interessato a far parte di questa rete e dare il proprio contribuito cosa deve?
Si può collaborare con AWI in base alle proprie esperienze e competenze seguendo i nostri canali social, entrando nel gruppo di discussione o prendendo parte a uno dei tavoli di lavoro. C’è chi si occupa della redazione di contenuti, chi cura le strategie di comunicazione, chi lavora per individuare le possibilità esistenti in termini di inquadramento contrattuale e di previdenza sociale; chi si dedica a particolari ambiti come il no-profit, alla ricerca sulla storia della lotta per le tutele del lavoro nell’ambito dell’arte in Italia e infine all’analisi di modelli virtuosi esteri. Per maggiori informazioni o per iniziare a collaborare è possibile consultare il sito (www.artworkersitalia.it) o inviare una e-mail a awi.segreteria@gmail.com.