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Provocare sdrammatizzando. Intervista a Harry Greb


Per chi non lo sapesse, Harry Greb è un leggendario boxeur americano degli anni ’20, noto per la sua potenza e aggressività. Un atleta fortissimo, quasi imbattuto con oltre 290 incontri. Una carriera fulminea quanto breve a causa di un grave infortunio all’occhio e alla morte precoce in sala operatoria, a soli 32 anni, durante un’operazione chirurgica per sistemare i problemi respiratori causati in vari incidenti d’auto e dai danni subiti sul ring.

Dietro questo pseudonimo protegge la sua vita privata un ragazzo romano di poco più di 40 anni, nato e cresciuto nel grande quartiere popolare di Monte Sacro a nord est di Roma, zona multietnica e creativa, sempre aperta a varie influenze culturali, scelta come residenza da Ennio Flaiano, Peppino de Filippo e da Rino Gaetano.

Una città nella città, autentica ed intensa, fucina di tendenze di moda, dove è necessario imparare a difendersi; una scuola di vita le cui dinamiche rimangono indelebili sulla pelle di chi la abita. Frequentare la scuola di boxe può aiutare a superare il carattere chiuso e timido e a confrontarsi nel mondo al “combattimento quotidiano”. Un supporto fisico e psicologico necessario per essere meno schivo ed avere più sicurezza nel rapporto con gli altri.

Perché la scelta di questo nome?
Harry Greb è per me la figura più romantica, misteriosa e intrigante di quello che considero lo sport più bello, difficile e appassionante in assoluto, il pugilato. Sport che ho fatto per tanti anni e che mi ha forgiato e fatto maturare caratterialmente e anche fisicamente. È stato un pugile degli anni ‘20, campione del mondo dei pesi medi dal ‘23 al ‘26.

Un uomo praticamente d’acciaio, quasi imbattibile per velocità, tenacia e coraggio; capace di battere più di una volta avversari di 2 categorie di peso superiori. È stato l’unico a sconfiggere il grande Gene Tunney, campione dei massimi che spodestò la leggenda Jake Dempsey. Non aveva paura di sfide all’apparenza proibitive e non si perdeva troppo in chiacchiere. Insomma una figura epica, mi appassiona la sua storia.

Ho scelto lui come pseudonimo perché ci somigliamo, lui combatteva spessissimo, io disegno tantissimo e ‘attacchino’ altrettanto spesso, alla faccia di chi mi vorrebbe meno attivo. Ma io faccio sempre quello che mi dice il mio istinto.
Di lui non si hanno immagini di match, tutto ciò che sappiamo viene tramandato dai grandi giornalisti, dagli storici di questo sport e soprattutto dall’ammirazione e dalle dichiarazioni dei suoi avversari, questo lo rende per me ancora più vero. Spero di rendergli omaggio scegliendo il suo nome a protezione del mio.

A livello nazionale sei conosciuto per le recenti opere apparse sui muri delle strade di Roma, con ampio risvolto mediatico sui quotidiani e risonanza sui social. Rappresenti personaggi famosi con eventi tratti della cronaca: come scegli i soggetti trattati nelle tue opere e come li traduci in arte?
I soggetti non li scelgo, in realtà è il momento. Quando succede qualcosa che mi tocca particolarmente riesco a tradurlo in immagini e creo una scena che dia un messaggio. L’importante è che l’idea sia valida e ci sia un messaggio dietro.

Urban art come messaggio sociale. Sembra ci si aspetti una tua considerazione per ogni evento mondiale, quasi come il segno di un oracolo o un elzeviro contemporaneo di critica sociale. Se questo è vero, che effetto fa? Ti responsabilizza?
Io non vorrei questa responsabilità e non vorrei più importanza di quella che ho. Io disegno ed esprimo un pensiero, lancio solo dei messaggi che spero vengano recepiti nel modo giusto, spero di non offendere mai nessuno…, però finisce lì, quando c’è qualcosa da dire la dico, non credo di avere tutta questa importanza.

Le tue opere sono di grande impatto e di grande efficacia. La loro durata è fulminea e molto limitata perché subito rimosse.
Non so le mie opere abbiano grande impatto ed efficacia. Forse perché nasco come pubblicitario di formazione scolastica e da sempre disegno abbigliamento, due cose che devono per forza colpire l’attenzione della gente. Le mie opere vengono spesso rimosse, a volte da ammiratori del genere, altre volte dalle autorità perché trattano temi scomodi. Non ho paura di trattare alcune tematiche se ritengo sia giusto. Credo di farlo sempre con ironia, sagacia e rispetto, non ho mai oltraggiato nessuno, anche se qualcuno ha pensato bene di denunciarmi.

Qual è il messaggio che vuoi dare? Che contenuto sociale hai? E’ un lavoro di denuncia?
Il messaggio che mando è spesso scomodo ma esprimo ciò che ritengo giusto; non so se questo sia di denuncia però desidero fortemente più giustizia sociale, questo si, è una mia grande aspirazione.

Usi il linguaggio dell’ironia, a volte pescando dalla filmografia, per sdrammatizzare il concetto che però è sempre spiazzante.
Mi piace provocare sdrammatizzando. Essere ironici credo sia il modo migliore per far pensare, si riflette sorridendo.


Quale tecnica utilizzi?
Parto da un’idea che elaboro, sviluppo e creo al computer, per diversi giorni o per poche ore, per giungere alla raffigurazione ideale che stampo su carta, dopodiché inizia la fase più delicata cioè mettere il lavoro in strada, nel posto giusto al momento giusto, con l’utilizzo della colla. Come un manifesto politico, affisso di notte con colla e secchiello. Non sono grandi formati ma spesso li faccio a misura reale, d’uomo.

Con che criterio scegli i posti dove esporre le tue opere? Perché proprio lì?
In realtà è la situazione che si crea, che determina la scelta del posto. Quando succede un fatto che ritengo rilevante e doveroso da rappresentare, che sia di politica, di costume o di cronaca, la scelta del posto è una conseguenza. Fa parte del messaggio stesso. È tutto collegato.
Io penso che la cosa più importante sia l’idea in assoluto, sempre. Il posto e i tempi sono fondamentali perché danno forza al significato che voglio dare.

Hai qualcuno che ti ha ispirato, come hai cominciato? Chi ti ha influenzato?
Credo che ognuno sia influenzato dalla propria esperienza, dalle idee, dalle sensazioni che vive nel quotidiano, io ho iniziato con soggetti di pop art facendo anche qualche mostra autofinanziandomi…, poi ho voluto vedere cosa sarebbe successo se avessi messo in strada i miei lavori e devo dire che non mi aspettavo tanti consensi.
Semplicemente mi piacciono le cose giuste. Io odio l’ingiustizia, odio l’arroganza, il potere. La gente va gestita meglio, va trattata bene. Le persone sono importanti, bisognerebbe evitare di farle vivere sempre in modo così difficoltoso. Ci vorrebbe più sicurezza ed equità, più giustizia sociale. Non sta a me affrontare queste tematiche, io posso farlo con i miei disegni ma chi decide sono altre persone.

Perché questo stile, che motivazioni hai?
E’ uno stile immediato vicino alla gente, viene colto subito.

Con quale altro artista ti senti o sei in contatto o con chi vorresti esserlo? Ti confronti con qualcuno oppure lavori sempre solo?
In realtà non conosco nessun altro artista personalmente. Mi piace il lavoro di Laika perché ne apprezzo l’impegno sociale; ma non la conosco personalmente. Credo che Roma sia fonte di ispirazione per molti artisti e forse le influenze che ne derivano sono le stesse però non credo ci sia una organizzazione in questo senso. Perlomeno io faccio tutto da solo e confesso di essere al di fuori di certi schemi, probabilmente perché è da poco che ho iniziato a mettere i miei lavori su strada. Tante cose le sto scoprendo ora, alcune dinamiche mi sfuggivano…
Credo comunque che ognuno dovrebbe fare il suo senza stare a guardare gli altri, esprimere un’idea che sia valida e abbia un messaggio. C’è chi lo sa fare meglio e chi ha meno da dire, però magari ha un gran tecnica. Alla fine è sempre lo spettatore, è la gente che determina l’efficacia e la riuscita di un opera messa su strada. Ci deve sempre essere l’idea dietro ad ogni lavoro.

Che musica ascolti?
Ascolto diversi tipi di musica, dipende dai momenti, ascolto diversi generi, mi piace la musica di qualità e non amo le cose commerciali tipo i tormentoni estivi. Ascolto sempre De André che considero il più grande, De Gregori che adoro ma anche Rino Gaetano e il primo Venditti. Ho un debole per i cantautori.
Anche la musica internazionale di livello ha un fascino particolare su di me, ma sarebbero troppi per poter elencare tutto ciò che amo ascoltare. Considero i Pink Floyd, Led Zeppelin, Bob Dylan, John Lennon il top in assoluto. Ascolto spesso i Cure, Pixies, Smashing Pumpkins, Pearl Jam, Nirvana, Rage Against The Machine, ACDC, Ben Harper, Ramones, Jimi Hendrix, Clash, Lou Reed e Rolling Stones, Bob Marley, Springsteen… troppi per poterli ricordare tutti. Poi mi piace da sempre il rap, quello vero, Tupac Shakur, Biggie, Public Enemy, Run DMC, A Tribe Called Quest… ed altri.
Una curiosità, il disco che ho ascoltato di più è “Mellon Collie and Infinite Sadness” degli Smashing Pumpkins mentre l’artista di cui ho visto più concerti è Ben Harper, la raccolta “Live from Mars” è un altro disco che a dir poco ho consumato.
Mi piace scoprire nuovi interpreti indipendenti rispetto a quello che propongono le radio e le grosse etichette discografiche.

Guardi molti film? Ce n’é qualcuno che hai stravisto tante volte?
Ho visto e vedo tuttora molti film. Direi che sono un appassionato di cinema.
Ci sono tanti film che rivedo spesso o di cui conservo una copia in dvd (prima collezionavo VHS). I generi, come per la musica, variano a seconda dei momenti. Passo dai gangster movie, ai western, alle commedie Hollywoodiane del passato che adoro. Uno dei miei film preferiti è “Indovina chi viene a cena” di Stanley Kramer con due dei miei attori preferiti Katharine Hepburn e Spencer Tracy. L’avrò visto decine di volte come pure “Qualcuno volò sul nido del cuculo“ di Milos Forman da cui ho ‘pescato’ la mia opera “L’abbraccio” messo allo Spallanzani.
“Toro scatenato” e “Lassù qualcuno mi ama” due biografie rispettivamente dei pesi medi Jake LaMotta e Rocky Graziano sono altri due film della mia “collezione”, parlano d’altronde di pugilato la mia vera passione.
Adoro e colleziono anche film di Hitchcock e Woody Allen… Dei film italiani mi piacciono molto le commedie del passato, Il Neorealismo di De Sica e Rossellini ma anche i film di Totò. I miei film preferiti però sono quasi sempre di Monicelli: ”La grande guerra” credo che sia tra i film italiani più belli di sempre.
La mia attrice preferita è sicuramente Anna Magnani. Insomma direi che il cinema influenzi molto il mio bagaglio e credo che questo venga fuori nei miei lavori.

Riesci a vivere di questo lavoro?
In realtà no. Ce la faccio perché vivo di altre cose, sono un creativo e disegno in diversi ambiti, soprattutto nel campo dell’abbigliamento. Questo non è un lavoro remunerativo ma sto cercando di vendere le stampe in edizione limitata stampate su carta ecologica particolare che di fatto sono pezzi unici perché li finisco dipingendoli a mano e quindi sono uno diverso dall’altro. Spero che possano arrivare un po’ a tutti.

Che futuro desidereresti per il tuo lavoro?
Non ci ho mai pensato, in realtà vorrei poter vivere di questo e poter dire sempre la mia, mi piacerebbe lo facessero tanti altri artisti, invece di fare cose magari fine a se stesse. Ma più che desiderare auspico che io possa continuare a disegnare fino alla vecchiaia per regalare momenti di riflessione ironizzandoci sopra e creare scene che lascino un messaggio.

 

harrygrebdesign.com

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