Nasce dall’incrocio di tre diversi punti di vista curatoriali sull’arte contemporanea la mostra “Untitled, 2020. Tre sguardi sull’arte di oggi”, che segna la ripartenza culturale dell’estate veneziana e sarà visitabile fino al 13 dicembre di quest’anno.
Ideata e curata da Caroline Bourgeois, conservatrice presso la Pinault Collection, dall’artista e storica dell’arte Muna El Fituri e dall’artista Thomas Houseago – legati da una relazione personale e professionale di lunga data – la mostra si propone il difficile compito di rappresentare le grandi tematiche ricorrenti dell’arte contemporanea, assieme alla genesi e lo sviluppo del processo creativo – obiettivo quest’ultimo che rende la presenza dei due artisti all’interno squadra curatoriale di fondamentale importanza.
Concepita appositamente per gli spazi di Punta della Dogana, la mostra collettiva riunisce i lavori di oltre 60 artisti, nati tra il 1840 (come nel caso di Auguste Rodin) e il 1995; non mancano tuttavia incursioni di sculture e manufatti antichi di culture extraoccidentali provenienti dalla Collezione Ligabue. Tra le opere, la maggior parte delle quali provenienti dalla Pinault Collection, o da musei internazionali e collezioni private, alcune sono state create appositamente per l’esposizione, come quelle di Saul Fletcher, Kasia Fudakowski, Ellen Gallagher, Lauren Halsey ed Henry Taylor.
L’esposizione nasce da una pratica di dialogo e condivisione, dichiarano i curatori: “abbiamo lavorato come fossimo un’unica persona, come se le nostre menti e i nostri istinti si fossero fusi”. Per Untitled, 2020 è stato scelto come epicentro artistico e culturale Los Angeles, con la partecipazione di un alto numero di artisti i cui destini si intrecciano in diverse maniere con quelli della città californiana, in cui anche El Fituri e Houseago (le cui opere sono altresì rappresentate in mostra) vivono e lavorano. Decisione chiara fin da subito per i tre curatori è stata quella di “evitare le scelte più ovvie sulla scultura moderna e la pittura”, e la voglia, di conseguenza, di prendersi “un rischio artistico, e presentare al pubblico un approccio all’arte contemporanea più delicato e sensoriale, un’esperienza corporea”. Altra decisione programmatica, la volontà di dare spazio e voce a due minoranze storicamente poco rappresentate da musei ed esposizioni: le artiste donne – “pioniere sotto i più diversi aspetti, anche attraverso circostanze che le hanno viste spesso svantaggiate rispetto agli artisti uomini” – e agli artisti afroamericani, per l’importanza e l’estrema attualità dei temi veicolati dai loro lavori.
Sesso, morte, lutto, elementi naturali, emergenza climatica, ma anche attivismo, utopia, e le origini della pittura: attraverso un percorso espositivo che si articola in 18 sale, il visitatore sfila tra le interpretazioni che gli artisti visuali hanno saputo dare riguardo alcune delle macro tematiche che accomunano l’umanità intera e alle grandi questioni presenti nell’arte e nella cultura contemporanea.
Perno e focolare della mostra è l’installazione site-specific allestita nel Cubo dell’architetto Tadao Ando, nel cuore di Punta della Dogana, ricostruzione di uno studio d’artista, costruito su immagine di quello di Thomas Houseago. “Volevamo far sì che sentissero dentro di sé lo spirito di un artista” commentano i curatori: “qui i visitatori possono comodamente leggere, ascoltare musica e vedere le immagini preparatorie della mostra”. Concepito come spazio interattivo, l’atelier – spazio creativo e di riflessione – invita i visitatori a prendersi una pausa e a entrare in contatto con il luogo in cui nasce l’ispirazione, culla dell’atto artistico.
Da non perdere:
- Le opere di Lynn Foulkes. Disturbanti, ciniche, a tratti macabre, le tele dell’artista di Los Angeles sono un’aperta critica alla cultura americana dominante. Inserendosi nel grande solco della pittura figurativa statunitense, nei lavori di Foulkes (popolati da personaggi della cultura di massa, ma anche da armi e volti sfigurati) si aprono finestre su scenari dark delle metropoli americane contemporanee. La Pop art nelle sue derive più cupe.
- Arthur Jafa, “Love is the message, the message is death” (2016). La video installazione, composta da video scaricati da Youtube, narra in maniera sconnessa ma immersiva la storia del razzismo e della repressione di cui è storicamente vittima la comunità afroamericana, con la colonna sonora di “Ultralight Beam”, di Kanye West.
- “Roxys”, di Edward Kienholz (1960-61). Presentata come “la primissima installazione artistica”, è la ricostruzione a dimensioni naturali di uno spaccato del bordello di lusso più famoso di Los Angeles, il Roxys. Con i suoi riferimenti alla guerra del Vietnam, alla violenza contro il genere femminile e al razzismo, vuole mettere apertamente in discussione le derive della società americana dell’epoca.
- “Ian and me”, David Hockney (1983), la serie di sei disegni erotici del maestro inglese a matita su carta, leggeri e luminosi. Per la sala tematica dedicata al sesso, le opere, realizzate a partire da modelli ma anche da immagini provenienti da fotografie e vecchi disegni, rappresentano dei rapporti amorosi omosessuali, Già negli anni ‘60 l’artista aveva dimostrato vicinanza e supporto alle cause omosessuali, illustrando una serie di poesie di Konstantinos Kavafis.