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Puntare allo Spazio. Intervista alla street artist Laika

Laika è una donna romana che tiene molto al proprio anonimato. Di lei non è dato sapere quasi nulla, né età né quartiere di provenienza, tranne che è single, attualmente senza legami amorosi. Di sé non vuole dire altro, tutto qui. Anche nelle conversazioni telefoniche usa un modulatore della voce per non correre il rischio di farsi identificare.

Chi sei? Perché tutto questo mistero? Perché non vuoi farti riconoscere? Sembra che hai qualcosa da nascondere…

Non ho assolutamente nulla da nascondere, anzi. Mascherarmi, rendermi impersonale, serve proprio a far vedere tutto quanto quello che penso. La maschera è un filtro attraverso il quale mi sento tranquilla nel dire e fare ciò che voglio. Non c’è nulla di importante dietro la maschera, se non la vita di una persona che fa tutt’altro tipo di lavoro e che non ha piacere a mischiare i due piani.

Laika, il nome di copertura che utilizzi come filtro dalla vita reale, fa riferimento al cagnolino russo mandato nello spazio con lo Sputnik nel 1957, primo essere vivente ad andare in orbita. Perché?

Un po’ per gioco, perché un mio caro amico mi chiamava così quando era particolarmente irritato con me, ma principalmente perché puntare allo Spazio è diventato il mio mantra: vuol dire non porsi alcun limite ma anche poter guardare le cose da lontano, dallo Spazio, che per definizione è il luogo più remoto che esista, per vederle con maggior chiarezza. La maschera è questo: ciò che mi fa uscire dal mio mondo quotidiano e mi fa osservare quel che mi circonda con più calma e obiettività. Magari non ci riesco sempre, ma l’obiettivo è questo.

Il mistero creato intorno alla tua figura può sembrare un progetto studiato a tavolino, invece hai iniziato per gioco, ci racconti come?

È iniziato tutto con dei bozzetti che avevo realizzato ormai 2-3 anni fa per delle magliette. Li ho fatti vedere a qualche amico e mi hanno detto che erano interessanti. Da quell’embrione è nato il progetto No Eyez On Me sul quale ho lavorato per diversi mesi.

Nel frattempo, per gioco, ho iniziato ad attaccare sticker in giro per Roma e ovunque andassi. Poi c’è stato il poster per Daniele De Rossi a Testaccio, fatto in un momento di sconforto per l’addio di uno dei miei idoli e che ha avuto parecchia eco. Da lì le cose sono andate avanti senza ragionarci poi troppo, giocando e realizzando le idee più o meno folli che mi venivano in mente.

Nella cerchia delle tue conoscenze chi sa di questa tua doppia vita?

I miei genitori e alcuni amici e amiche strette. Qualcuno lo sa ma non ci crede comunque perché, conoscendomi, non avrebbero mai immaginato che sarei riuscita a trovare la forza di mettermi in gioco così. Nella vita reale mi ritengo una persona piuttosto timida. Laika tira fuori aspetti di me che non conoscevo.

 

Il tuo lavoro ha una forte pregnanza politica, cosa vuoi dire? Qual è il tuo progetto?

È vero, non si può negare. Cerco di essere attenta a ciò che succede nel mondo, da ben prima di creare Laika. Nella mia vita non sempre ho trovato la forza di far valere le mie opinioni. Con la maschera invece ci riesco ma non voglio essere solo “quella impegnata”. Mi piace anche giocare sulle mie passioni più spicciole, su qualcosa che faccia ridere. Non c’è nessun progetto politico né una “linea editoriale”. Il mio progetto si chiama libertà di espressione.

Come nascono le tue idee? Qualcuno ti ha ispirato in modo particolare?

Sono affascinata, fin da giovanissima, da tutto ciò che finisce sui muri: scritte, manifesti, disegni. Col tempo ho conosciuto sempre più aspetti ed esponenti del mondo dell’arte urbana e ne sono rimasta colpita: dai mostri sacri come Banksy e Obey, ai miei concittadini Diamond, Solo, Maupal, Sten & Lex e Lucamaleonte, ma anche Jorit, Blu. Il re della carta per me è Mimmo Rotella.
Nomi, stili, temi, tecniche differenti che però creano tutti qualcosa di bello.

Per quel che riguarda il processo creativo tendo a partire dal concetto che voglio esprimere o dal tema che mi va di trattare e poi cerco di tradurlo in immagine.

Sei in contatto con altri artisti coi i quali ti confronti?

Sì, con alcuni sì, prevalentemente sui social. Nessuno mi conosce davvero. Ammetto che su questo punto Laika mi somiglia molto in quanto a timidezza. Con qualcuno ho instaurato un bel rapporto, ne sono felicissima e reputo ciò un’occasione per crescere artisticamente.

 

In ambito Urban sembra che tanti artisti romani siano molto impegnati socialmente. E’ vero? Secondo te perché…?

Ci sono quelli che lo sono di più e quelli che lo sono di meno, ovvio. Penso che la spiegazione sia nell’essenza stessa dell’arte di strada, che è libera e democratica e parla a tutti senza distinzioni.

Attaccare un poster, disegnare, giocare con la città sono, di per sé, azioni sociali che esprimono un messaggio profondo. Poi ognuno estrinseca questo messaggio come preferisce, secondo le proprie sensibilità, e questa è la cosa che mi piace di più, ma alla base c’è la condivisione e la riappropriazione dello spazio urbano, la volontà di essere protagonisti del paesaggio e non semplici fruitori. Roma in particolare si presta tantissimo perché è una città dei mille volti e dalle mille contraddizioni. È una miniera d’oro per chi cerca ispirazione.

Tu che tecnica usi, come scegli i luoghi di esposizione?

Stencil, paste up, collage, acrilico su tela, murales. Sto sperimentando, provo sempre cose nuove. Se mi piace e mi ci trovo a mio agio la riutilizzo, altrimenti vado avanti. Alcuni disegni che ho realizzato in passato magari adesso non mi piacciono nemmeno più ma sono serviti a farmi prendere coscienza di quello che posso o non posso fare. Sono all’inizio di un processo evolutivo.

Io non ho una formazione artistica quindi cerco di provare e farmi un’idea di tecniche e stili per capire quali mi fanno sentire più a mio agio.

Per quel che riguarda i luoghi, cerco spesso di trovare una cornice adatta al disegno. La relazione tra l’opera e il luogo dove essa viene realizzata o attaccata è molto importante. Il luogo dà forza al messaggio del disegno. Per esempio: l’Abbraccio di Regeni a Zaki non avrebbe avuto lo stesso senso se non fosse stato attacchinato davanti all’Ambasciata d’Egitto. Chiaro che non sempre è possibile una cosa del genere ma le location sono, nella maggior parte dei casi, parte integrante dell’opera.

Senti un senso di responsabilità per quello che traduci in immagini?

Sempre. Nel momento in cui si esprime un’opinione, verbalmente, per iscritto, con un disegno, bisogna capire che, per quanto in modo limitato, la nostra presa di posizione influenzerà qualcun’altro. Oggi mi sembra che troppe persone non sentano il peso della responsabilità di ciò che dicono, pensano o fanno. È un po’ quello che ho cercato di trasmettere nel Wall of Shame, uno striscione di 10 metri che ho attacchinato qualche settimana fa, composto da decine di commenti razzisti presi dai social. È un problema se tutti si vantano di dire ciò che pensano ma nessuno si vergogna di pensare ciò che dice.

Produci molte opere? Fai anche opere per un collezionismo più selettivo?

Sono convinta di produrre molto poco… Sto rimodulando un po’ la mia vita: cerco di dedicare sempre più tempo a questa attività per produrre di più e per crescere artisticamente. Ho una mia collezione personale. Di quella sono molto gelosa e per ora non la vendo. Alcuni collezionisti però mi chiedono tele su commissione: spesso apprezzo molto quando lo fanno perchè significa che vogliono davvero l’opera nella loro collezione/nel loro appartamento.
Sono contraria a svendere il mio lavoro. Nessuno dovrebbe farlo. Chi davvero vuole un pezzo unico investe. Con quei soldi ci finanzio altra arte…porto avanti il progetto.  Chi invece opta per un collezionismo più accessibile può acquistare le stampe autenticate a tiratura limitata.

Servirsi della consulenza di uno studio professionale di comunicazioni non è una contraddizione per un’artista di strada?

Laika è nata quasi per caso, dietro c’era un forte desiderio di esprimere la mia creatività e di comunicare. Sono stata accusata di essere una giornalista, di essere un prodotto commerciale preconfezionato… nulla di tutto ciò. Ho avuto un grande e inatteso riscontro mediatico con le prime opera e qualcuno mi ha notata.

Qualcuno che si è innamorato di ciò che faccio e come lo faccio. Non vengo dal mondo dell’underground e dei graffiti… tanti street artist hanno un agente o un ufficio stampa… non ci vedo nulla di male. Io ho anche la fortuna di avere dei ragazzi che mi aiutano. Il mio scopo è comunque comunicare. Se la comunicazione è migliore con qualcuno che ti aiuta, ben venga. Magari non tutti la penseranno così ma è anche questo il bello del gioco. Agli invidiosi mando sempre tanti cuoricini.

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