#Venezia77: Miss Marx, il nuovo film di Susanna Nicchiarelli racconta la storia di Eleanor Marx, in un parallelismo tra la lotta al capitale e quella al patriarcato. Al cinema dal 17 settembre
Dopo aver vinto nel 2017 il Premio Orizzonti per il miglior film con Nico, 1988, Susanna Nicchiarelli torna alla Mostra del Cinema di Venezia con Miss Marx, in Concorso per il Leone D’Oro. Protagonista di questo suo nuovo biopic che protende verso il dramma, oscillando vertiginosamente tra la storia e la filosofia, è la figlia di Karl Marx, Eleanor – per gli amici Tussy.
Facendo sfoggio di raffinati costumi e ricercate scenografie, la regista sceglie di raccontare la storia di una donna forte e combattiva che, alla morte del padre, prende in mano le sorti del partito socialista, battendosi fino all’ultimo per il trionfo dei suoi ideali – tra cui l’abolizione del lavoro minorile, il miglioramento delle condizioni dei lavoratori e la promozione del suffragio universale. Ma se, come disse Virginia Woolf, dietro a un grande uomo si nasconde sempre una grande donna, dietro a una grande donna giace molto frequentemente un omuncolo privo di valore.
Follemente innamorata dell’intellettuale – commediografo, fedifrago e spendaccione – Edward Aveling, Eleanor si ritrova intrappolata in una relazione tossica e limitante. “Tu non mi ami, hai solo trovato piacevole essere innamorato di me” gli dice un giorno, seduta accanto a lui su una panchina. È lì che lo svilisce, lo paragona a suo padre, lo accusa di averla trattata come una bambolina, di essere esistita solo per esibirsi per lui. Ma poi il pubblico applaude: stavano recitando. Il testo era un estratto di Casa di Bambola di Ibsen. Eppure sembrava così reale.
Ora, è vero che la freddezza della sceneggiatura pone un muro di fronte alla protagonista, rendendone difficile l’immedesimazione. Ed è anche vero che la grintosa colonna sonora punk rock accostata al dramma romantico in costume rimanda un po’ troppo alla filmografia di Sofia Coppola. Nemmeno si può poi negare il retrogusto dolciastro e al contempo amarognolo da fiction di RAI 1 (una di quelle da prima serata, per fortuna). Eppure la l’nterpretazione di Romola Garai (Angel – la vita, il romanzo, Sufffragette) restituisce dignità al personaggio, in special modo quando rompe la quarta parete interloquendo direttamente con lo spettatore che si trova inaspettatamente a pendere dalle sue labbra, affascinato. Perché Eleanor Marx è stata indubbiamente un’icona del suo tempo, ma contemporanea più che mai.
Paladina dei più deboli, Eleanor fu una delle prime a schierarsi a gran voce in difesa dei diritti dei lavoratori e delle donne, due categorie che nel film della Nicchiarelli vengono spesso accostate in maniera esplicita, sottolineando un paragone spaventosamente realistico. Entrambe oppresse e degradate, entrambe vittime dell’organizzazione tirannica degli uomini e, nonostante i progressi nella lenta marcia verso la conquista dei diritti, ancora moralmente dipendenti da loro. Tutte constatazioni a cui Eleanor giunge nel momento in cui realizza di essere stata sedotta e abbindolata per anni da colui che credeva essere l’uomo della sua vita.
Così, prima dell’epilogo (tragico, ovviamente), la donna si abbandona all’oppio e finisce a danzare per tutta la casa, cantando a squarciagola. Il suo amante, tuttavia, non si scompone: giace addormentato sulla poltrona del salotto, senza accorgersi della rivoluzione messa in atto da Eleanor tra le stanze della casa, come non aveva mai realmente colto quella che per tutta la vita le era arsa dentro. La lotta al capitalismo che si unisce alla lotta contro il patriarcato ma che forse, in realtà, è sempre stata la stessa cosa. D’altronde cosa esiste di più maschile al mondo del capitale stesso?