Il nuovo Campus dell’ateneo milanese Luigi Bocconi si “veste” d’arte attraverso l’opera di Letizia Cariello Gate#0Bocconi. Ne abbiamo parlato con l’artista
Nell’epoca del distanziamento fisico, grazie al collega e amico Marco Tagliafierro, abbiamo raggiunto l’artista Letizia Cariello in maniera virtuale. Sono nate diverse riflessioni condivise, come quelle sui concetti di “Arte” e “Materia”, che l’artista definisce in maniera puntuale secondo il proprio modus operandi.
“Intendo per arte l’energia vitale della materia. Ciò che le conferisce mutazione continua e movimento. La stabilità per me è la stabilitas benedettina, cioè il permanere fedeli a una postura, ovvero a una promessa e la promessa per me è il ricercare e il rileggere e il rimettermi di fronte all’opera. Le opere sono creature vive, cioè materia animata dall’arte. Ma la postura non è immobilismo è, al contrario, equilibrio di forze, come nella statuaria greca; la sicurezza di una asserzione consiste nella orchestrazione di forze contrapposte. Si tratta della geometria sacra. La forza fa risplendere la materia. Per farmi capire meglio, io chiamerei ogni lavoro “azione” non limiterei ad alcune categorie di espressione questo termine. Per materia intendo ciò che consiste a frequenza più bassa“.
A partire da tali riflessioni si apre lo scenario sul nuovo progetto Gate#0Bocconi, nato nel 2020, la cui visione si concentra in maniera peculiare sull’interazione tra differenti fattori e deriva da un invito giunto da BAG, Bocconi Art Gallery, attraverso Severino Salvemini, per il desiderio di “materializzare un nuovo Gate per la galleria dell’ateneo”. Gate#0Bocconi, inoltre, era pronto prima di Musica delle sfere celesti, l’opera realizzata per Cascina I.D.E.A. di Nicoletta Rusconi Art Project, ed è nato successivamente a Seven Gates per la Galleria Fumagalli e dopo l’opera che Massimo Minini le ha chiesto di materializzare live ad Artissima 2019. Un progetto che, come un fil rouge ha seguito strade trasversali per ricomporre, poi, due figure emblematiche ed ancora da scoprire.
“Dopo il sopralluogo, è diventato evidente che il Gate che Bocconi mi commissionava avrebbe trovato il suo spazio migliore nel – difficilissimo! – nuovo edificio in via di conclusione in via Sarfatti. Solo pareti curve, un’architettura che si presenta come una scultura enorme, uno spazio destinato a un fluire continuo di persone, iniziative, incontri. Ho visualizzato praticamente subito una apertura doppia su una grande parete curva proprio davanti a una grande aula di fronte all’aula Ferrero. Ho pensato a un Gate post manierista, ibrido, fra una porta cinquecentesca di città e una grande finestra”.
“L’ho voluto doppio perché il doppio è uno dei temi più affascinanti e responsabilizzanti che siano ancora capaci di picchiare sulla spalla degli uomini del nostro tempo. È la scelta, è la possibilità, è la consapevolezza della molteplicità del reale, è la relazione con l’altro, è la fallibilità di qualsiasi direzione intrapresa con l’obbiettivo dell’assolutezza. Ho costruito l’opera mentre il Covid-19 cresceva a Milano, in uno stato di semi-incoscienza e di incredulità collettiva, io sono andata avanti a lavorare ogni giorno 8 ore almeno, in una grande nuova costruzione e sempre più sola…“.
Così Letizia Cariello inizia il suo racconto su Gate#0Bocconi e tento di immaginare come il suo lavoro sia avanzato in un momento così peculiare di questo strano 2020. Un lavoro sullo spazio di un luogo in fieri, aperto e chiuso al contempo, in cui pars costruens e pars destruens sembravano avanzare sullo stesso binario, in una sorta di limbo sospeso in cui il futuro aveva sembianze sfuocate.
È ancora la Cariello a raccontare il suo procedere, certamente fuori da comune: “In principio ho ricevuto un badge e un calendario che sembrava più una gimcana che un programma di lavoro: trattandosi di un lavoro site specific che avrei materializzato davanti all’aula più grande della sede SDA, con spazio antistante già destinato ad eventi, avrei potuto lavorare quel giorno da quell’ora a quell’altra e poi un altro no perché ci sarebbe stato un evento e così via…man mano però che si avvicinava la data di inizio del mio lavoro, peggioravano le notizie sulla diffusione della pandemia, anche se non era ancora chiaro lo scenario”.
La primavera 2020 è stata segnata da una generale incertezza, in cui ogni giorno segnava il passo verso l’ignoto; “non si sapeva niente, non si capiva niente. Io lavoravo al piano -1 senza cambiare il mio ritmo, attorniata dagli addetti alle pulizie che disinfettavano e in uno spazio sempre più disabitato, con improvvisa disponibilità di tempo e di orari, nell’illusione condivisa con la città che presto avremmo ripreso i programmi. Lo spazio era mio. Tutto mio. Sempre più mio. […] La città entrava giorno per giorno nella dimensione che poi abbiamo visto. […] A opera finita e inaugurazione ancora non cancellata, saluto il lavoro pensando che lo avrebbero fotografato ma mi porto dietro delle immagini finali oltre a quelle quotidiane per averlo con me”.
Quel che leggiamo lo ritroviamo nelle immagini che la Cariello ci propone, in cui il senso di spazio vuoto e sospeso appare tangibile. Probabilmente si tratta di un effetto corale, poiché è l’artista stessa ad aver detto “non so dire se la dimensione di sospensione che ha accompagnato la costruzione dell’opera sia poi traspirata nella sua presenza finale. So per certo che un senso di realtà forte era rappresentato per me dalla forza del piantare i chiodi (chiodi per ferrare i cavalli) e dalla tessitura e dalla verità di un lavoro fisico importante che ha un metodo certo, costellato da una serie infinita e continua di incognite rappresentate dalle decisioni sulle traiettorie del filo. Trovavo una chiara onestà nel vedere aprirsi delle porte doppie in un muro curvo, in un luogo di certezze, mentre io abito l’incertezza e la terra di nessuno per condizione esistenziale. Eppure lasciando quella stanza l’ultimo giorno (eravamo rimasti solo il portiere ed io) ho capito che nelle giornate anche fisicamente impegnative che hanno preceduto il compiersi del lavoro, avevo aperto un polmone in quella parete, proprio mentre fuori la gente faticava a respirare”.
Respirare, guardare, restare, fuggire. Una via di fuga, una via d’uscita Gate#0Bocconi oppure un’opera dinanzi alla quale sperimentare l’azione di percepire la sosta della riflessione? In verità si tratta di entrambe le cose, poiché è nell’intersezione tra spazio e materia – e loro percezione – che l’arte di Letizia Cariello insiste.
Ed ecco che quando le chiediamo quale sia la persistenza nel legame tra spazio e materia, tra universo mondano e universo delle idee, sì da generare una commistione in cui realtà e metafisica dialogano con soluzione di continuità, la sua risposta non lascia dubbi: “Spazio e materia, universo mondano e universo delle idee, come pure realtà e metafisica, non costituiscono i poli di un’antitesi né due condizioni nettamente distinte nel mio lavoro. Ciò che conta per me è, al contrario, disvelare a me (nel corso del manifestarsi del lavoro) e agli altri come stanno veramente le cose, ovvero ricucire una continuità che è stata in modo antinaturalistico moralistico e a volte infido arbitrariamente interrotta. […] Lungi dal voler aggiungere ai troppi diktat di cui sembra che il contemporaneo non voglia fare a meno, anche questo (che poi sarebbe inutile), il mio lavoro consiste nel ricostruire questi passaggi, questa continuità, un mutamento che è trasmutazione ed include anche, per esempio, il gesto del disegno (la base del mio lavoro) e la dimensione del tempo come si esprime nei miei calendari. I Gates si chiamano così perché sono passaggi, porte, attraversamenti e la procedura con cui si costruisce l’opera comincia quando io disegno una ‘ur-finestra’, cioè la finestra ideale, l’archetipo di quella finestra lì, di quello stile come si palesa dopo averne viste decine e decine. Disegno sul lucido con tutto il braccio, con tutto il corpo e con un bastone su cui ho attaccato una matita con lo scotch di carta. È una procedura diversa perché la finestra sottintende così il corpo e lo spazio. Ho capito che così disegnava Borromini e così hanno disegnato gli architetti che, scavando nel loro spirito, lasciavano, per sommo esercizio, muovere e farsi muovere dal braccio nella ricerca di uno spazio. Me ne sono accorta disegnando Μετάταφυσικά e per me è una dichiarazione di amore che attraverso la materia raggiungo. È una direzione di azione. Il frontone del tempio di Egina, è Fidia. È il legame con l’antico Egitto ed io mi sento radicata in questa pianta. Un rametto di quel grande albero”.
Gate#0Bocconi sarà presentato ufficialmente al pubblico in una data non ancora definita, ma questo è una sorta di invito per una attesa fiduciosa nelle risposte che solo l’Arte sa offrire.
Azzurra Immediato