#Venezia77. Emma Dante in Concorso con Le Sorelle Macaluso, la dolcezza senza tempo di un film sulla brutale imprevedibilità della vita. Al cinema dal 10 settembre
Ci sono dei legami familiari che ti crollano addosso come macigni non appena nasci e da quel momento ti perseguitano per sempre, impedendoti di respirare. Vorresti sbarazzartene, tenerli lontani, ma ogni volta che ci provi realizzi che ti stai in realtà liberando di una parte di te.
Emma Dante adatta per il grande schermo una sua pièce teatrale di successo, la spoglia di qualche personaggio, le monta attorno una scenografia, la fa danzare sulle note di Battiato e della Nannini. Poi assieme spiccano il volo verso il Lido di Venezia, dove il film è in concorso per il Leone d’Oro alla 77ª Mostra Internazionale del Cinema. Era il 2013 quando la regista – una delle più celebri e apprezzate drammaturghe del nostro paese – esordì al festival con la sua prima opera cinematografica, Via Castellana Bandiera, per cui Elena Cotta fu premiata con la Coppa Volpi alla migliore interpretazione femminile. Sette anni dopo, il suo ritorno. E non poteva andare meglio di così.
C’è da dirlo: nulla accade nei 94 minuti de Le Sorelle Macaluso, se non la morte. Ma il dolore non è mai stato così dolce. Diviso in tre atti come tre sono le età della vita, Emma Dante ci offre il privilegio di insinuarci tra le stanze di una casa vista mare e di sbirciarvi dall’interno mentre il tempo scorre, le crepe sui muri si trasformano in dolori profondi, i corpi si sformano come vecchi materassi e la pelle del viso si sgretola in un mucchietto di calcinacci.
C’è Maria, che è la più grande e sogna di diventare una ballerina. Pinuccia invece ha occhi solo per i ragazzi ed è in costante conflitto con Lia, la più ribelle e aggressiva. Poi Katia, che sarà l’unica a diventare madre, e infine Antonella, la più piccola, la tenerezza e l’innocenza. Nessun genitore in vista, nessun uomo se non qualche effimera e fugace comparsa. Solo loro, un piccolo grande matriarcato in salotto.
«Il concetto di sorellanza suscita in me tante cose – ha dichiarato la regista – Mi fa tornare bambina, mi fa pensare che le donne possono essere solidali, felici se una donna ha successo. Mi fa pensare a delle guerriere che insieme lottando raggiungono risultati».
L’adolescenza delle sorelle Macaluso è sfrenata, colorata e vigorosa, uno spirito ferocemente giovanile che si riflette nella potenza narrativa del primo atto. Il mare, gli schizzi, Sognare Sognare di Gerardina Trovato in sottofondo mentre tutte assieme ballano sulla spiaggia dopo essersi intrufolate senza pagare il biglietto. Poi Maria si assenta per far visita al suo amore, Pinuccia si allontana a fare un bagno al largo e Lia, Katia e Antonella rimangono in acqua a giocare: la tragedia è dietro l’angolo.
L’affettuosa carezza iniziale si tramuta in uno schiaffo che ci catapulta direttamente nella loro età adulta, riunite per cena nella casa di sempre – che comincia a cadere a pezzi – ma i rancori aleggiano nell’aria assieme ai fantasmi che ne infestano le stanze: le ragazze sono diventate donne, schiacciate dal senso di colpa hanno abbandonato ogni speranza e ogni ambizione, ormai fragili scheletri di ciò che non sarebbero dovute essere.
Il secondo atto è il cuore del film, esplode come una bomba che non sembra lasciare supersiti, né sullo schermo né in sala: lo spettatore, prima disarmato, ora è annientato. La performance delle attrici è impeccabile. Il teatro che diventa cinema e ritorna teatro, poi, un’esperienza mozzafiato.
Il terzo atto conclude la storia di queste donne con la solennità di un rito religioso. In poco più di un’ora e mezza, il sunto di cinque vite nella loro universale imprevedibilità. Le sofferenze più laceranti raccontate con la delicatezza di un abbraccio, un velo di rossetto rosso sopra un paio di labbra cadaveriche. Perché è questo che succede mentre esistiamo: amiamo e moriamo, a poco a poco, fino all’ultimo giorno.