Kirchner, Schiele e Magritte sono solo alcuni degli artisti che si sono cimentati nella rappresentazione del nudo femminile. Un tema eterno nella storia dell’arte, che ha visto continue e singolari rivisitazioni.
Per secoli e secoli, intere generazioni di pittori si sono dedicate alla rappresentazione del nudo femminile in chiave sacra e profana, raggiungendo i più eccentrici risultati formali nel corso del Novecento, favoriti dalla nascita delle avanguardie storiche all’inizio del secolo. Le sperimentazioni tecniche e formali perseguite dagli artisti che avevano aderito con grande entusiasmo ai neonati movimenti d’avanguardia provocarono infatti un radicale rinnovamento nell’arte contemporanea, producendo effetti significativi anche nella rappresentazione iconografica del nudo femminile, che per tutto il Novecento continuerà ad essere uno dei soggetti più rappresentati in pittura assumendo connotazioni formali nuove e originali, in alcune delle quali si manifesta un interessante connubio tra nudità ed erotismo.
Già nella seconda metà dell’Ottocento, Édouard Manet e gli impressionisti avevano cominciato a ritrarre dal vivo donne nude dal fascino sensuale, perlopiù ballerine e prostitute, scandalizzando l’intera società parigina di fin de siecle. Non tanto per i nudi in sé, che non costituivano di certo una novità nelle arti figurative, ma più per il fatto che tali soggetti femminili non fossero ritratti nelle vesti di dee, ninfe o altri personaggi mitologici o religiosi, per la cui rappresentazione la tradizione figurativa occidentale giustificava la nudità dei corpi. Se a Parigi monsieur Manet fu criticato per aver raffigurato un nudo “scandaloso” in Colazione sull’erba (1863), nella puritana Inghilterra vittoriana il preraffaellita Dante Gabriel Rossetti fu accusato d’indecenza per aver ritratto una “troppo sensuale” Venus Verticordia (1864-68), nonostante è indubbio che la dea mostri ancora i tratti di una bellezza pudica, priva di quel fascino inquietante che diverrà tipico dei suoi ritratti femminili successivi.
Sarà proprio sul modello delle ultime opere di Rossetti che i simbolisti di fine Ottocento daranno una nuova interpretazione al nudo femminile, da leggere questa volta in chiave negativa. Schiavi di una mentalità misogina figlia del tempo, questi artisti arrivarono a considerare la donna come una creatura mostruosa capace di soggiogare l’uomo grazie ad un fascino diabolico. Da qui prese forma l’iconografia della femme fatale, già protagonista della letteratura ottocentesca, che avrà notevole fortuna nella pittura simbolista.
Nella postura sensuale della Madonna (1894-95) ritratta a mezzo busto da Edvard Munch (1863-1944) si può riscontrare, ad esempio, il tipico atteggiamento narcisista della femme fatale, sottolineato dalla fierezza del portamento della fanciulla che, consapevole e fiera della propria bellezza, sembra offrirsi senza imbarazzo alla vista dello spettatore. Alimentato da un costante sentimento di amore-odio verso le donne a causa della travagliata ed esasperante relazione avuta con Tulla Larsen, Munch sviluppò più volte il tema del nudo femminile nei suoi quadri, vedendo nella donna la duplice natura di amante e peccatrice insieme. Ognuno dei suoi nudi femminili, anche i più innocenti come quello di Pubertà (1895), riflette il dramma universale della solitudine umana, acutizzato da pennellate ampie e violente che anticipano la maniera espressionista. Circondati da atmosfere inquietanti in cui vita e morte si mescolano inesorabilmente come in un vero e proprio incubo, i corpi dipinti da Munch esprimono la disperazione di un uomo (Munch) sempre più schiacciato dalle proprie paure.
Sulle orme del norvegese Munch, il tedesco Ernst Ludwig Kirchner (1880-1938) sviluppò il tema del nudo femminile con un linguaggio più cruento caratterizzato da corpi pesantemente deformati, pesanti linee di contorno, forme angolose e un tratto incisivo derivato dalla tradizione della xilografia. I colori sono accesi e i contrasti cromatici risultano spesso stridenti, mentre le pennellate ampie e veloci acutizzano il senso di drammaticità delle scene. Ragazza negra sdraiata (1910), come molti altri nudi di Kirchner, riflette tutta la durezza formale ed espressiva tipica dell’espressionismo tedesco, oltre che un marcato interesse per l’arte primitiva ravvisabile nel volto angoloso della donna che richiama alla memoria le maschere lignee africane. Anche in quest’opera, come in tutte quelle del gruppo espressionista Die Brücke, è presente l’intento di colpire, con provocazione, la falsa morale della società borghese, ancora ancorata a principi e valori che, secondo i giovani artisti del gruppo, il nuovo secolo avrebbe dovuto spazzare via. È proprio partendo da queste considerazioni che fu scelto il nome Die Brücke, letteralmente Il Ponte, proprio per rimarcare l’idea di un passaggio tra la tradizione accademica ottocentesca e una nuova, caratterizzata da una pittura espressionista e antinaturalista.
Di ambito espressionista sono anche gli inconfondibili nudi dell’austriaco Egon Schiele (1890-1918), artista singolare dalla personalità complessa, che in meno di un ventennio produsse uno numero smisurato di opere, perlopiù acquarelli, incentrate sullo studio della figura umana. Lontano dalla raffinatezza formale del suo più illustre maestro Gustav Klimt, lo stile di Schiele disgustò profondamente il pubblico per l’inedita violenza carnale ed espressiva dei suoi corpi scheletrici, caratterizzati da un’espressione malinconica e definiti da una linea di contorno dal tratto sottile e nervoso. Sono corpi di donne ritratte da più punti di vista, con pose innaturali, colte in un momento di autoerotismo o durante un rapporto sessuale, anche lesbico, come in Due donne abbracciate (1911). Con ogni evidenza siamo di fronte alla rappresentazione di un erotismo senza veli nel quale la sessualità è esaltata in ogni sua forma, superando i tabù imposti dalla tradizione accademica. Anche qui, come in Kirchner, emerge l’intento di Schiele di colpire la falsa morale borghese del tempo e tutti quei valori antiquati che già la Secessione viennese del 1897 aveva messo in discussione.
Diversi dai nudi visti sino ad ora sono quelli del livornese Amedeo Modigliani (1884-1920), riconoscibili per le forme stilizzate e allungate dei corpi, incorniciati da linee di contorno sottili. Il corpo della donna, raffigurato frontalmente o di spalle, sdraiato o seduto, costituisce sempre il centro focale dei suoi quadri, con la particolarità che, molto spesso, mani e gambe sono tagliate dalla scena per dare maggior risalto agli attributi femminili, così come si vede nel famoso Nudo sdraiato (1917). Corpi di donne dalla perfetta silhouette, con vita sottilissima, ventre leggermente arrotondato e volti dai delicati lineamenti, con occhi e bocca innaturalmente allungati, spesso messi in risalto da un trucco omogeneo. Lontani dalle violente pennellate di Kirchner, dall’atmosfera inquietante dei quadri di Munch oltre che dal tratto nervoso di Schiele, i nudi di Modigliani coniugano in modo armonioso erotismo e pacata compostezza, ottenendo un elegante risultato d’insieme.
Nudi femminili ricorrono spesso anche nelle opere surrealiste dove realtà e sogno si fondono insieme dando libero sfogo ai desideri più nascosti dell’inconscio. Diverse sono le opere surrealiste che esplorano la sfera della sessualità mostrando una conturbante visione della donna, il cui corpo nudo è spesso accostato ad oggetti in modo così insolito e apparentemente casuale da rendere difficile la comprensione dell’opera. Ne Lo stupro (1945), ad esempio, René Magritte (1898-1967) stravolge in modo originale l’iconografia del nudo femminile conservandone solo gli attributi femminili (seni e vagina), che nell’opera diventano gli occhi e la bocca della gigantesca faccia incorniciata da una chioma bionda che da sola occupa l’intera scena. Un’opera di difficile lettura questa, nella quale è però evidente che Magritte abbia dato libero sfogo alle pulsioni erotiche maschili, riducendo la donna ad un mero oggetto del desiderio sessuale.
Negli anni Sessanta, il fenomeno inglese della Pop Art si era diffuso a macchia d’olio anche negli Stati Uniti, divenuti dal Secondo Dopoguerra il principale centro artistico di riferimento sul piano internazionale. Legata al mondo della pubblicità e alla produzione industriale, la Pop Art americana adottò un linguaggio nuovo, semplice e d’immediata comprensione, adatto alla moderna società dei consumi. Tra gli esponenti più importanti della Pop Art americana, Tom Wesselmann (1931-2004) è noto al grande pubblico per aver realizzato una serie di opere ad esplicito contenuto erotico aventi ad oggetto donne nude o seminude con indosso sexy autoreggenti o giarrettiere, ritratte sdraiate o sedute su divani e morbidi letti nelle più svariate posizioni. Immagini piatte e prive di profondità come in Sunset nude. Two legs up (2003), dove le forme dei corpi sono definite da un colori accesi e luminosi, completamente artificiosi. L’effetto complessivo è quello di un miscuglio tra figurazione e astrazione, dove il focus rimane fisso sull’erotismo del corpo femminile. Non è un caso che, in tutte le sue riproduzioni, Wesselmann abbia tenuto ad evidenziare infatti solo gli attributi della femminilità che più stimolano la libido maschile, come seni e, soprattutto, la bocca, la cui carnosità viene rimarcata sempre da un rosso acceso che enfatizza ancora di più l’idea della passione erotica.