Crude ma poetiche, le fotografie di Ren Hang sono in mostra alla Fondazione Sozzani di Milano fino al 29 novembre. Considerato amorale e sovversivo dal governo cinese, l’artista è riuscito, prima di togliersi la vita, a sviluppare una nuova e personale forma della rappresentazione del nudo.
La vita non sarà mai quella che vorresti. Proprio come quando vuoi fumare ma non hai sigarette. Quando hai le sigarette non hai l’accendino. Quando hai l’accendino non hai il fuoco. Quando hai il fuoco non vuoi fumare
Ren Hang
Non offensive, forse erotiche, sicuramente magnetiche. Le immagini crude e spoglie di Ren Hang abitano provvisoriamente le pareti bianche e pure della Fondazione Sozzani di Milano. Sgusciando su insieme alla vegetazione illusoriamente ribelle del numero 10 di Corso Como ci si imbatte presto nei nudi, anch’essi involontariamente ribelli, dell’artista cinese. «La politica delle mie immagini», ha dichiarato l’artista, «non ha niente a che fare con la Cina. È la politica cinese che interferisce con la mia arte».
Non sforziamoci allora di allargare in modo ingiustificato l’azione eversiva della sua fotografia: è un grimaldello per l’anima e niente più. Come se fosse poco. Non lo era certamente per lui, che in queste perturbanti serie di ritratti ha sfibrato il corpo della sua naturalezza, congelandolo in pose così artificiose da stimolare inevitabilmente una riflessione. Quale relazione vedesse esattamente tra la fotografia e la depressione non lo sappiamo, ma osservando quei corpi abbandonati e soli e irrisolti e inquieti di certo le dimensioni non dovevano essere poi così distanti.
Le ipotesi di contatto sono numerose – forse voleva rigirare i corpi per svelarne i meccanismi, oppure provava a portarli al limite, senza veli e protezioni, per coglierne la natura intima – ma nessuna può prescindere da un tragico dato di fatto: Ren Hang si è tolto la vita nel 2017 a soli 29 anni. Per cui risulta ancora più cupa e grottesca la passeggiata in mostra, disseminata di corpi snelli e totalmente esposti, i quali sfidano il visitatore a osservarli attentamente. Perché tra tappeti di pelle e grovigli di carne interviene puntale un elemento deviante – come un animale, una ciliegia, sigarette, fiori, specchi; oppure una scenografia desolata, tetti solitari, bagni asettici – che alterano la portata semantica della composizione, intrappolando l’occhio.ù
Riscatto giocoso di un’innocenza perduta o tetra leva verso un’esistenza insensata? Propendendo più per la seconda opzione, è sicuramente indubbio che proprio questi innesti – insieme allo stile asciutto, illuminato da flash crudissimi – hanno fatto sì che Ren Hang emergesse con una rivisitazione estetica del tutto personale del tema del nudo. Ne è certamente causa e sintomo l’intreccio di braccia, cosce, capelli, mani e seni che insieme vorticano fino a confondersi, per poi riunirsi in forme nuove. Non si riconosce più a quale dei modelli appartenga questa o quella parte del corpo. E nemmeno riusciamo a comprendere se quel che osserviamo è colmo di grazia o di oscenità, di morte o desiderio, di libertà o eterna condanna.
E così le sue opere confondono i piani del gioco e del dramma, della purezza e dell’inquietudine. Perché se qualcosa nelle sue fotografie ci minaccia, dall’altra parte ci sentiamo partecipi di un evento sacro. Come se in queste scene ai confini del mondo avanzasse una presenza trascendente, un segreto soggetto aggiunto che non vediamo, ma pare improvvisamente di percepire. Come quando si ha voglia di fumare, la sigaretta è già in bocca e, rovistando nella tasca, spunta pure un accendino.