Tra le mura antiche e cangianti di Palazzo Rhinoceros a Roma (Fondazione Alda Fendi) si susseguono, per la prima volta in Italia, le opere di Sultan bin Fahad. Il poliedrico artista saudita offre una peculiare e personale visione di spiritualità e lo fa relazionando la cultura materiale e immateriale araba agli spazi ridisegnati da Jean Nouvel, in un palazzo del Seicento nel cuore della città.
La location è un Art Hub, voluto da Alda Fendi, ed è già di per sé una prova tangibile di dialogo tra antico e contemporaneo: un’antica dimora storica di edilizia popolare trasformata dal famoso architetto francese in uno dei centri culturali più interessanti della Capitale. Il palazzo, attraverso le stratificazioni storiche di Roma e delle sue fondamenta, diventa un luogo di scambio e di creatività, di memoria e di slancio visionario. Sultan bin Fahad considera l’arte come un’oscillazione costante tra tangibile e intangibile, come una lente per osservare l’essenza delle cose, per leggere nei cardini del passato il senso di oggi e le prospettive di domani. Nelle sue opere, fulcro di interesse e di ispirazione rimane la cultura materiale nella nativa Arabia Saudita, costantemente riletta e rideterminata a più livelli attraverso media contemporanei.
In sintonia con le forme dell’architettura che le ospita, le sei installazioni site specific di bin Fahad costruiscono un ponte tra oggetti nobilitati dalla storia e intuizioni nuove, aperte e trasversali. La ricerca artistica di Sultan fa spaziare la sua produzione dall’antiquariato religioso alle nuove tecnologie, dalle tracce della scrittura arcaica all’odore di incenso arso, dal confronto con il divino alla comprensione della propria interiorità. Dalla prima sala l’intento immersivo si concretizza in un’atmosfera soffusa, dove grate metalliche provenienti dalla Mekkah sembrano sprigionare una luce endogena. Da subito l’impatto sinestetico avvolge il visitatore, che sarà accompagnato lungo tutto il percorso dagli aromi del medioriente e da suoni eterogenei. I divisori raccontano di un culto lontano e si appoggiano oggi sulle pareti portanti della galleria, come a volersi interfacciare con una nuova spiritualità, quella di un’altra Terra Santa. Interessanti e potenti nel design e nel valore narrativo, danno misura del passaggio indefinito tra le cose e costituiscono testimonianze di oggetti d’uso reali, rivestiti di nuove simbologie. Le griglie, sintesi di apertura e chiusura a un tempo, nonostante vedano compromesso il loro attributo di trasparenza, diventano qui dispositivi di accesso a una visione ulteriore. Nei visori, immagini di preghiera danno la misura della chiave universale di un messaggio spirituale onnicomprensivo.
“Frequency” il titolo della mostra, a evocare la frequenza su cui gli esseri umani si sintonizzano, spinti alla ricerca del Superiore. Le gestualità semplici, i rituali arcaici, i sincretismi religiosi sono scelti come veicoli di significato, con il fine di ricreare un luogo di culto ulteriore, dove l’uomo incontri se stesso in profondità. Passando oltre si incontrano iscrizioni arcaiche, tracce concrete di un vissuto religioso, dove i caratteri di un arabo antico diventano la rappresentazione scolpita e permanente di una relazione tra materiale e spirituale. Al visitatore è lasciata la possibilità di imprimere una propria traccia contemporanea, di raccontare la propria esperienza individuale di passaggio e di ricerca. I marmi antichi disposti in rottura con le geometrie prestabilite, ricordano la volontà di Sultan di conferire a oggetti di un valore antico nuovi sensi e nuovi attributi, e si trasformano in questa sala, nella tela bianca su cui si poggiano effimere proiezioni di uomini e donne in preghiera. La casualità labile delle immagini confonde e assorbe generando un intensità di coinvolgimento crescente. Le mani dei pellegrini che toccano gli oggetti del culto islamico producono un effetto magico proiettate su teli di lino. L’archivio digitale del cellulare dell’artista racconta in Possessionil tentativo eloquente ma effimero di possedere le cose attraverso il tocco, che sembra progressivamente svanire fino a diventare quasi impercettibile all’occhio.
Come per gli altri esperimenti espositivi ospitati dalla Rhinoceros Gallery, le opere invadono gli spazi senza soluzione di continuità e interagiscono in modo fluido con le caratterizzazioni evidenti del luogo. Nel Cavedio Nero, proiezioni degli atteggiamenti ripetuti di pellegrini e fedeli mussulmani mostrano un’idea di religione che definisce la quotidianità e l’habitus di chi la pratica, attraverso un rapporto pervasivo non mediato con la divinità. Al primo piano un versetto del corano troneggia su ciotole d’argento, dense di significati e rimandi. Qui l’acqua, elemento purificatore per eccellenza, è il medium con cui l’uomo tenta di raggiungere una sfera altra, che sia divina o interiore. Alcune tra le più preziose parole del Corano sono scelte dall’artista per rievocare la circolarità e la forza vivificatrice dell’acqua, elemento costante delle principali confessioni religiose. Le frequenze potenti ma impercettibili degli uomini generano il White Noise, il senso complessivo che completa e raccoglie le idee elaborate in mostra. Il suono bianco è la voce corale delle preghiere e uno spazio-tempo indefinito, generato dalla tensione della ricerca dell’Io. Il suono nell’assenza stessa di suono è una sintesi, un azzeramento voluto, un lessico neutro, finalizzato a una successiva determinazione, a un avvicinamento alla verità.
Il sentimento del contatto con se stessi viene filtrato nell’indagine artistica di Sultan da un’inevitabile declinazione islamica, che ha il pregio e la raffinatezza di non escludere i legami e i rimandi ad altre devozioni. L’acqua, il tatto, i profumi, la luce permettono di generare visioni casuali e inedite oltre a rappresentare per l’essere umano un momento di raccoglimento e intensità potenziate che privilegiano l’esperienza di contatto con una dimensione altra. La ricerca del divino dei pellegrini che percorrono le strade verso i luoghi del culto islamico diventa la spinta a ricongiungersi con radici e sostrati profondi, intimi e universali. La narrazione della tensione verso Dio è parallelamente l’itinerario verso la propria personale scoperta. La mostra, fortemente esperienziale, aspira a innestare coinvolgimento e sensazioni reali, raccontando di reperti materiali, rituali antichi e gestualità semplici, come possibili codici e linguaggi dello spirituale. Tutti i sensi sono sollecitati e le percezioni si sovrappongono in modo ritmico, scandite dalle connotazioni plurali degli ambienti. Il viaggio intimo dell’artista è quello dell’essere umano che fa esperienza del sacro, in equilibrio tra culture ed epoche lontane, tra tangibile e invisibile, tra superficie e interiore, tra umano e divino, tra terra e cielo.
“Frequency” di Sultan bin Fahad, con la direzione artistica della Fondazione Alda Fendi – Esperimenti, è visitabile presso il Palazzo Rhinoceros dal 16 Ottobre al 10 Dicembre 2020.