Video e fotografie di Alighiero Boetti in mostra alla GAM di Torino. Continua la collaborazione tra il museo e l’Archivio Storico della Biennale di Venezia, che come terzo appuntamento propongono un approfondimento sul tema del doppio attraverso le opere dell’artista.
Fin da quando il video è entrato a far parte dei linguaggi artistici, il parallelismo tra monitor e specchio è stato centrale nella pratica di coloro che si sono confrontati con questo nuovo mezzo. Quello del doppio era in realtà un tema già da tempo al centro degli interessi artistici e letterari europei, basti pensare al surrealismo o alla poetica ottocentesca.
Quando il gallerista Gerry Schum, alla fine degli anni Sessanta, invita Alighiero Boetti a cimentarsi in questa pratica, l’artista aveva già affrontato la duplicità con Gemelli, un lavoro fotografico del 1968 diventato poi fondamentali per gli sviluppi successivi della sua arte.
Un ulteriore passo in questo senso fu l’aggiunta di una lettera a separare le due componenti del proprio nome. La trasformazione di Alighiero Boetti in Alighiero e Boetti non segna solo un’identità duplicata, ma anche uno scarto rispetto a una tautologia concettuale preconfezionata.
Così come la celebre frase “io sono io”, con la sua semplice simmetria sintattica, assume al tempo stesso il significato opposto di “io sono un altro”. Un cambiamento quasi impercettibile che comporta però un raddoppiamento dell’identità ogni volta che questa si afferma.
Nel primo video portato in mostra (Senza titolo, 1970) la figura di Boetti, di spalle, si staglia esattamente al centro dell’inquadratura, immobile segno nero contro uno sfondo bianco. Ma ecco che il movimento irrompe sulla scena quando l’artista alza le mani davanti a sé e inizia a scrivere contemporaneamente con entrambe. Sia verso destra che verso sinistra le lettere si susseguono in un’elencazione dei giorni della settimana (a partire dal giovedì) che va avanti finché l’apertura delle braccia lo consente.
Alighiero Boetti, oltre a dar vita alle parole, diventa l’asse dello spazio che va aprendosi al tempo che si esplica nella sequenza di lettere, nel susseguirsi dei giorni e nello scorrere dei secondi del video.
5 anni dopo il primo video, Boetti ritorna sul tema con Ciò che sempre parla in silenzio è il corpo, opera parte delle raccolte dell’Archivio Storico della Biennale di Venezia il cui titolo è tratto dalla nuova frase che scaturisce dalle mani dell’artista.
Agli stessi anni risalgono anche degli altri lavori che approfondiscono lo stesso tema. Due mani e una matita è una fotografia scattata dall’altro in cui le braccia tese dell’artista stringono una matita a formare un triangolo, forma simbolica dell’origine del tutto. Questo soggetto, traslato e duplicato, da poi vita ad ulteriori opere, dove due triangoli orientati in direzioni opposte diventano allegorie di apertura e chiusura di uno spazio che va ben al di là di quello limitato del foglio.
Per Boetti infatti il pensiero che si fa gesto non riguarda solo l’universo visibile, ma va a toccare il suono non meno che le immagini, motivo per cui arte e parole non sono mai separate, ma si legano attraverso l’universo delle immagini.
Perfetta esplicazione di questa concezione è Strumento musicale, ritratto fotografico scattato nel 1970 da Paolo Mussat Sartor, in cui i due manici simmetrici di uno strano banjo si incontrano in un ideale ombelico sonoro da cui si immagina possano scaturire due musiche speculari, due flussi di suoni che si dipartono dall’abisso del tempo.
Informazioni utili
Alighiero Boetti
22 ottobre 2020 – 21 febbraio 2021
Videoteca GAM, Torino
Ingresso libero