Siamo alla Galleria Mattia De Luca, nella cornice storica di Palazzo Albertoni Spinola in Piazza di Campitelli a Roma. Voltine e cornici seicentesche accompagnano il soffitto di Lucio Fontana. L’esposizione celebra due grandi maestri del Novecento italiano (Fontana per l’appunto, e Borsani) e ne delinea una specifica intenzione espressiva: quell’arte in equilibrio tra la figurazione e la decorazione, che ha abitato con intensità e irriverenza gli appartamenti borghesi della metà del secolo scorso.
La pungente contemporaneità di Fontana (1899-1968), viene ricordata e rappresentata in quest’occasione attraverso un sodalizio creativo, letto e interpretato da prospettive e angolazioni inedite. Il piglio innovativo e contemporaneo di Osvaldo Borsani (1911-1985) si intreccia con la visione avanguardista e irriverente di Fontana, generando una linea ideale comune pur nell’eterogeneità dei dispositivi artistici impiegati. Tra la fine degli anni Quaranta e gli anni Cinquanta, Fontana è tornato in Italia e instaura con Borsani una collaborazione, che si rivela in un certo senso una comunione di intenti e di idee.
I diversi risultati interessanti di questa fusione di linguaggi si susseguono al ritmo degli spazi, ciascuno vestito di una propria specificità e di un proprio spettro comunicativo. Un’idea di design illuminata e lungimirante quella di Borsani, che racconta, attraverso le testimonianze materiali esposte, di una Milano borghese nel tentativo di sintonizzarsi sull’ultima avanguardia e di ostentare unicità a un tempo. Un utilizzo della materia eclettico, eloquente e irriverente quello di Fontana, che si presenta in quest’occasione attraverso ceramiche figurative e barocche, animate da un effetto di movimento forte e attraente. Questo connotato, fra gli altri, rende difficile considerare le opere esposte semplici oggetti di decorazione o arredamento, esattamente come leggere le creazioni di Borsani solo nell’ottica della loro funzionalità risulterebbe banalizzante. Molti dei pezzi portati in mostra sono appartenenti al corpus di oggetti relativi alla realizzazione della Casa G. di Milano, con il fine di ricostruire integralmente nello spazio espositivo- da un punto di vista di disposizione e di arredamento ma anche di concetto e di atmosfera – uno dei rari contesti abitativi ideati da Osvaldo Borsani e Lucio Fontana.
Gli elementi esposti si relazionano in modo accurato e delicato alle sale che li ospitano. Valorizzano gli ambienti già profondamente determinati dalle caratterizzazioni storiche del luogo e infondono allo spazio un’energia nuova, sensata, equilibrata. La mostra, evidentemente frutto di una ricerca attenta e pensata, offre sensazioni e contenuti, coerenza e input a trecentosessanta gradi. Nella seconda grande sala, sorprende e avvolge il visitatore il celebre Soffitto del 1949, già consacrato alla Triennale di Milano e riallestito per intero in occasione dell’esposizione. Il prezioso esempio di un lessico scultoreo decorativo di Fontana conserva in se stesso entrambe le potenti anime della sua indagine artistica: dalla traccia di elementi tradizionali barocchi e voluttuosi, alla sperimentazione visionaria dello spazialismo nelle spirali essenziali e nei neon, vicinissimi predecessori dei più celebri Ambienti Spaziali.
Ogni opera presente – considerata la varietà di veicoli rappresentativi, di sapienza manuale e di obiettivo funzionale – diventa simbolo di un sodalizio artistico, della scelta fortunata e straordinaria di due grandi menti della creazione italiana di andare oltre le strutture della propria ricerca e della propria volontà creativa. Fontana e Borsani si legano verso un obiettivo comune e riescono a farlo sapientemente proprio mantenendo e sfruttando le peculiarità individuali, senza considerarle vincoli imbriglianti, ma piuttosto andando oltre le gabbie rigide dei compartimenti disciplinari. L’incontro e la fusione di conoscenze, ispirazioni e abilità tecniche hanno instillato un nuovo respiro di creatività, innestando una concezione più ampia e trasversale della produzione artistica e acquisendo forza proprio dalle spinte di diversità. I risultati sono ovviamente vari, da ceramiche di Fontana con i ritratti dei più stretti affetti di Borsani, a mobili di Borsani pensati per abitare gli itinerari spaziali e le linee di Fontana, dal trattamento espressionistico e materico della ceramica, all’ordine discreto e poetico dei pezzi di arredamento, dal concreto all’intangibile, dall’uso alla contemplazione. Quello che ne è emerso è una spinta parallela e complementare, di arte e di design, di decorazione e di concetto, attraverso la quale l’artista e l’architetto contribuiscono con modalità ed esiti differenti a un’armonia ambientale complessiva e d’impatto. I nodi concettuali dell’uno e i precetti tecnologici dell’altro si intersecano rendendo impercettibili le linee di confine, muovendosi contemporaneamente verso una rilettura condivisa degli ambienti, verso un rispetto mutuale della concezione dell’espressione, verso un’interazione imprescindibile tra le arti. Tra il 1947 e il 1956 vengono realizzate diverse progettazioni sperimentali d’interni a quattro mani. Gli effetti maturati dall’apertura allo scambio e alla contaminazione si traducono in ambienti nei quali le superfici e i volumi si dilatano e si armonizzano in una dirompente sintonia espressiva.
Nel Mobile Bar si osserva chiaramente una sintesi della concezione spaziale in qualche modo modulata dal sodalizio. In questo oggetto, di grande interesse formale e di profonda finezza estetica, gli elementi strutturali, funzionali e tecnici si trovano in un contatto aderente al linguaggio più classicista di Fontana. Più intimi ancora i frutti di una collaborazione che assume i tratti dell’amicizia: una serie di ritratti scultorei in terracotta, emblematici di una sezione meno nota della produzione dell’artista e di un’intimità particolare tra i due protagonisti della mostra. In una sala coperta a volta, distaccata dal resto dello spazio, termina il percorso espositivo con l’allestimento esteso dei disegni originali del 1956 per il progetto della facciata del Palazzo Tecno di Milano, voluto da Osvaldo Borsani.
Attraverso l’esposizione da un lato di elementi plastici ora figurati ora astratti, dall’altro di oggetti di design proiettati alla funzione e all’ottimizzazione estetica degli spazi, si rende una testimonianza forte e cruciale dello stesso fondamentale passaggio fra epoche, gusti, percezioni e visioni, compiuto dai due grandi artisti della contemporaneità su due binari distinti e paralleli ma in relazione continua.
La mostra LUCIO FONTANA | OSVALDO BORSANI é visitabile presso la Galleria Mattia De Luca fino al 23 gennaio 2021