L’ultimo giorno del 1869 vedeva la luce uno dei più grandi artisti di sempre, alla cui gloria e genio si sono confrontati i massimi pittori del XX° secolo. Il Centre Pompidou di Parigi celebra questo anniversario con la retrospettiva Matisse, comme un roman : 230 opere disposte in un percorso cronologico in nove capitoli, come fosse un romanzo. Sospesa a causa delle nuove misure volte ad arrestare la pandemia, la mostra è in programma fino al 22 febbraio 2021.
Ha avuto appena il tempo di inaugurare e accogliere il fitto flusso di visitatori per una settimana, ma ora le porte dei musei francesi sono chiuse (almeno) fino al prossimo 1° dicembre. Curata da Aurélie Verdier, Matisse, comme un roman rappresenta la più grande mostra che la Francia dedica al capofila del fauvisme dopo quella organizzata al Grand Palais nel 1970. 230 le opere esposte, insieme a 70 documenti: per la prima volta, l’esposizione dispiega un centinaio di manufatti provenienti dalla collezione dello stesso Musée national d’art moderne, una delle raccolte più significative che racchiude l’insieme delle tecniche sperimentate dall’artista nel corso della carriera. Tanti e importanti sono anche i prestiti da parte dei due musei dedicati all’artista a Nizza e a Cateau-Cambrébis e dal museo di Grenbole, tra cui l’imponente Intérieur aux aubergines (1911).
Attraverso un percorso cronologico suddiviso in nove capitoli, l’esposizione ripercorre la carriera di Henri Matisse (Cateau-Cambrébis, 31 dicembre 1869 – Nice, 3 novembre 1954) dai primi approcci con la pittura fino alla completa liberazione di linee e colore nelle gouaches découpées realizzate negli ultimi anni di vita. Riprendendo il titolo dell’opera del poeta e scrittore francese Louis Aragon, Henri Matisse, roman (1971), si propone come una passeggiata nell’opera del genio che tenta, come in un romanzo, di cogliere i momenti clou della vicenda artistica e professionale del genio.
Ognuno dei nove capitoli in cui si divide la mostra, infatti, racchiude lo sguardo che altri autori (scrittori, critici e poeti) posano sull’opera di Matisse: Louis Aragon, Georges Duthuit, Dominique Fourcade, Clement Greenberg, Charles Lewis Hind, Pierre Schneider, Jean Clay e lo stesso Henri Matisse. A guidare la mostra, la ricerca della relazione tra l’artista e tutti i tipi di scrittura, dal segno alla parola perché, proprio come affermava egli stesso l’importanza di un artista si misura con la quantità di nuovi segni che ha introdotto nel linguaggio dell’arte.
Si parte quindi dagli anni ’90 dell’800, momento in cui Matisse dà il la alla sua sperimentazione artistica. Pittore, scultore, disegnatore e incisore, l’artista a tutto tondo voleva trovare una scrittura per ogni oggetto. Frequenta prima William Bouguereau presso l’académie Julian, dove si avvicina al nudo e impara il rigore. Ma è nell’atelier di Gustave Moreau all’École Nationale des beaux-arts che trova la bramata libertà di espressione. In seguito viaggia in Bretagna e in Corsica, dedicandosi alla pittura en plein air, avviando una ricerca incessante di una propria personale visione. Nei primi anni del 1900, l’artista si reca a Collioure, in Occitania, insieme ad André Derain. È qui che lascia che non siano più le linee a delimitare i contorni delle figure, ma soltanto i colori a strutturare le composizioni. Le opere nate in questo periodo, insieme a quelle, tra gli altri, di Charles Camoin, Henri Manguin e Georges Rouault saranno definite fauvisme al Salon d’Automne de 1905.
Proseguendo il percorso si incontrano quelle opere in cui le caratteristiche “primitive” rimandano alle origini dell’arte, occidentale e non: è il periodo in cui nascono i dipinti ispirati ai tessuti orientali, alla scultura africana, ai mosaici bizantini. Al sopraggiungere della guerra, che Matisse trascorre circondato da amici e familiari, risponde imponendo il colore nero nei suoi dipinti in contatto con l’avant-garde parigina, in particolare al cubismo. Sul finire del conflitto, l’artista si isola a Nizza, dove riprende a sperimentare: nelle figure e nei paesaggi si fa via via più evidente un’adesione al reale. In seguito colpito da un momento di sfiducia, Matisse va alla ricerca di una nuova luce viaggiando cinque mesi tra Stati Uniti e Oceania. Da due commissioni per il Dr Albert C. Barnes di Merion e per lei Poésies di Mallarmé, l’artista introduce il segno e attinge dalla pittura architettonica. Nel 1941, da una grave operazione che lo porta a sfiorare la morte trae nuova linfa vitale per tornare a sperimentare in libertà. Abbandona qualsiasi riferimento spaziale in nome di una prospettiva sentimentale, che lo porta fino all’invenzione delle gouaches découpées.
A quasi ottant’anni, Matisse realizza infine quello che considererà egli stesso il suo capolavoro, la cappella dominicana del Rosaire de Vence, da egli interamente progettata e decorata: il risultato di una vita intera alla ricerca di un equilibrio tra colore e disegno. È con un filmato che lo ritrae intento a lavorare alle sue gouaches, del tutto indifferente alla presenza della telecamera, che si conclude questo viaggio letterario nella carriera, e nella vita, di un genio assoluto.
In attesa di poter tornare a visitare la mostra in carne e ossa, il museo propone visite virtuali qui.