Fino al 19 dicembre 2020 è possibile fare esperienza della Vita su Tralfamadore. La galleria The Flat – Massimo Carasi raccoglie le opere di quattro artisti così da suggerire una rappresentazione di Tralfamadore, pianeta immaginato da Kurt Vonnegut nei suoi romanzi.
Il compito della mostra Vita su Tralfamadore è esprimere ciò che è inesprimibile. O, ancora meglio, dare forma visibile a quel che non ne ha mai avuta una. Infatti, il pianeta immaginato dallo scrittore Kurt Vonnegut non ha mai avuto una descrizione precisa. In ogni romanzo – dal celebre Mattatoio n.5 a Le sirene di Titano – Tralfamadore è rappresentato in maniera differente. Non un difetto, quanto una caratteristica che aumenta il fascino di un universo totalmente slegato dalla concezione umana del mondo. The Flat – Massimo Carasi predilige la versione del pianeta descritta in Mattatoio n. 5. Non che nel capolavoro di Vonnegut vengano fornite indicazioni precise sulla sua conformazione, ma nell’opera i suoi abitanti esprimono una particolate concezione della vita su di esso. I Tralfamadoriani sono infatti creature eterne, che esistono contemporaneamente in tutti gli istanti del tempo e pertanto conoscono sia la creazione che la fine dell’universo.
La galleria milanese si ispira a questa visione dell’esistenza per raccogliere una serie di opere che diano un’idea, una suggestione, una visione immediata e istintivamente esaustiva della vita su Tralfamadore. Sali Muller (1981), Daniel Mullen (1985), Paolo Cavinato (1975) e Stefan Milosavljevic (1992) sono gli artisti protagonisti di questa ambiziosa esposizione. Se da una parte l’intento sembra chiaro – suggerire attraverso le opere una rappresentazione del pianeta senza volto – dall’altra è necessario passare da una più complessa soglia concettuale per comprendere appieno il processo.
Tale riferimento è da rintracciarsi nella concezione del tempo dei Tralfamadoriani, in grado di esperire passato, presente e futuro nella loro interezza. Al contrario di noi umani – che concepiamo il tempo in modo lineare e sequenziale, dove un evento è un nodo di una corda che scopriamo mano a mano – questi alieni percepiscono lo scorrere come un’esperienza circolare e sono perciò in grado di vedere sia quel che è già accaduto, sia quel che dovrà accadere. Ma in realtà anche questa trasposizione umana del loro percepire il mondo è inesatta: in tali circostanze non ha senso definire un prima e un poi, ogni cosa semplicemente è qui e ora. É un eterno qui e ora. “Tutto il tempo è tutto il tempo“, come leggiamo spesso in Mattatoio n.5.
Questa visione dovrebbe fungere allora da filtro per osservare le opere in mostra. Nessuna ha velleità di definire integralmente Tralfamadore – sia perché non sono state create direttamente pensando al pianeta, sia perché il pianeta stesso, come già detto, non è mai stato descritto nel dettaglio. Per questo gli specchi ruotanti di Muller o gli spazi geometrici e siderali di Mullen devono essere intesi come frammenti sparsi di Tralfamadore, schegge della sua essenza piovuti in galleria per darci un’idea.
Perdendoci tra le linee, i piani e le superfici che si intersecano nelle opere di Cavinato non dovremmo pensare “questo è Tralfamadore“, quanto piuttosto “anche questo è Tralfamadore“. Poniamoci al centro degli spazi bianchi e asettici di The Flat e proviamo a percepire le opere come sussurri lontani, sibili di un disegno eterno e indecifrabile, che in un istante ci colpiscono lasciandoci l’illusione di essere su Tralfamadore. La mostra può innescare uno stato mentale, indurci a percepire il tempo come quarta dimensione. In tale prospettiva spazio e tempo procedono unificati, miscelando i presupposti fisici con cui li conosciamo. Da un ragionamento sul tempo (la circolarità) possiamo trarre un’esperienza spaziale (immaginare Tralfamadore), da un suggerimento artistico (la mostra) possiamo afferrare un concetto filosofico (di nuovo la circolarità). Tutto torna, dunque.
Se esperita correttamente, l’esposizione potrebbe ridurre notevolmente l’idea che il visitatore si era fatto della sua conoscenza del mondo, innescando domande e considerazioni utili a stimolare umiltà e curiosità. La sensazione non è dissimile da quel che la biglia blu prova al cospetto della sfera di marmo nero che completa l’opera di Milosavljevic: lei, come tutti noi, giace sommersa da immensità che nemmeno riesce a comprendere. Eppure la sfiora. E per ora tanto basta.