Print Friendly and PDF

Curare e valorizzare una collezione d’arte. Stefano Roffi e la Fondazione Magnani-Rocca

Claude Monet Falaises à Pourville soleil levant 1897 olio su tela Credit Archivio Fotografico Fondazione MagnaniRocca Claude Monet Falaises à Pourville soleil levant 1897 olio su tela Credit Archivio Fotografico Fondazione MagnaniRocca
Credit Archivio Fotografico Fondazione MagnaniRocca
Credit Archivio Fotografico Fondazione MagnaniRocca

Stefano Roffi è critico d’arte, direttore scientifico e coordinatore organizzativo della Fondazione Magnani-Rocca situata a Mamiano di Traversetolo, nel parmense. Da oltre trent’anni, Roffi collabora con la Fondazione che, fra le altre, ha contribuito a trasformare in casa-museo, seguendo da vicino tutte le fasi organizzative precedenti l’apertura al pubblico avvenuta nell’aprile 1990. Da subito la Fondazione affianca all’attività espositiva permanente l’organizzazione di mostre temporanee, spesso in dialogo con i capolavori della raccolta Luigi Magnani, attraverso la professionalità e la curatela di Stefano Roffi. Roffi è, inoltre, iscritto all’Ordine Nazionale dei Giornalisti e dal 2008 collabora in qualità di esperto e cultore della materia con le riviste StileArte e Il Mese (dove cura la rubrica “Il punto di vista” su eventi culturali), oltre che, occasionalmente, con altre riviste di settore.

Come nasce la sua passione per l’arte? Come si è avvicinato alla professione di curatore?

In prima elementare, primo giorno di scuola, chiesi alla maestra se ci poteva spiegare Raffaello. Non avendo ricevuto in famiglia particolari “indirizzi” artistici prima di allora, non c’è dubbio che si trattasse di una inclinazione innata. Ero bravino con i pennelli, mi divertivo a copiare van Gogh, Matisse, il Picasso blu e rosa, con risultati non disprezzabili. Un viaggio, ancora da bambino, a Parigi insieme a mio padre mi offrì la definitiva illuminazione; al Louvre scoprii i grandiosi dipinti di Rubens per Maria de’ Medici, regina di Francia, che mi affascinarono e mi fecero desiderare di poter lavorare in un museo, da grande. Così a chi mi chiedeva a cosa ambissi per il mio avvenire, puntualmente rivelavo il mio sogno. Il destino mi è stato favorevole: l’ingresso, giovanissimo, alla Fondazione Magnani-Rocca, quando il museo ancora non era aperto al pubblico, anni di formazione a tutto campo – anche nei musei esiste, fortunatamente, la gavetta – a conoscere e a contribuire al funzionamento della macchina museale, a seguire l’organizzazione delle mostre, la loro progettazione e curatela e l’importanza fondamentale delle relazioni e della comunicazione. La prima curatela autonoma è stata nel 2009 con una mostra dedicata al Futurismo, nel centenario nel manifesto fondativo del movimento d’avanguardia; poi una su Renato Guttuso, la prima in Italia per celebrare i cento anni dalla sua nascita, mostra di grande successo elogiata dallo stesso figlio dell’artista; subito dopo Toulouse-Lautrec, Sutherland e, ancora, grandi nomi dell’arte italiana del Novecento. Tutte opportunità che devo a due presidenti della Fondazione Magnani-Rocca, Manfredo Manfredi, già amministratore delegato del gruppo Barilla, e Giancarlo Forestieri, già Presidente della banca Cariparma.

La Villa dei Capolavori sede della Fondazione Magnani-Rocca Credit Archivio Fotografico Fondazione MagnaniRocca
La Villa dei Capolavori sede della Fondazione Magnani-Rocca Credit Archivio Fotografico Fondazione MagnaniRocca

La Fondazione Magnani-Rocca a Mamiano di Traversetolo (PR), custodisce i capolavori raccolti nel corso della vita da Luigi Magnani, grande intellettuale, appassionato collezionista e uomo d’arte. Cosa significa essere direttore scientifico e coordinatore organizzativo di una così importante collezione d’arte? Quali sono le sue principali mansioni?

Luigi Magnani (1906 – 1984), fu uno dei massimi collezionisti di opere d’arte al mondo; nella sua casa delle meraviglie realizzò un vero e proprio Pantheon dei grandi artisti di ogni epoca, un tempio che si andò animando lentamente con l’acquisizione di dipinti e arredi unici, dai Morandi e i fondi oro degli inizi, poi il Tiziano, il Goya, fino al Monet, ai Renoir e al Canova degli ultimi anni della sua vita, in un processo di identificazione spirituale con le opere che giungevano ad abitare la sua dimora come la scena della sua vita intellettuale, dimora che per volontà di Magnani stesso divenne “casa-museo”. Un luogo dove l’arte si svela in tutta la sua ricchezza, estetica e morale, e, sebbene musealizzata, non risulta avulsa dalla vita ma ne rappresenta la linfa perenne per consentire a tutti l’incontro con la Bellezza; questo il lascito del Fondatore.

Cerco di contribuire a realizzare la volontà di Magnani, di mettere a disposizione della collettività un luogo dove l’arte e la cultura possano servire come fondamentali strumenti di crescita della società civile, anche attraverso gli eventi che vengono predisposti. Così la Fondazione Magnani-Rocca ha affiancato all’attività espositiva permanente l’organizzazione di mostre temporanee e in questo contesto mi sono occupato dell’organizzazione di tutte le mostre con attività di reperimento delle opere, contatti con i musei e i privati proprietari (alcune di queste hanno visto la collaborazione di prestigiosi musei italiani e internazionali come Musei Vaticani; Gallerie degli Uffizi; Musée du Louvre; BritishMuseum, Tate e National Gallery; Museo del Prado; Kunsthaus di Zurigo; MetropolitanMuseum of Art di New York; National Gallery of Art di Washington; Museum of Fine Arts di Boston; solo per citarne alcuni), pratiche ministeriali, preventivi, gestione budget, trasporti, assicurazioni, pubblicità, cerimonie inaugurali, aspetti editoriali e, dal 2009, la curatela delle mostre e dei relativi cataloghi (nel tempo, con le case editrici Silvana Editoriale, Mazzotta, Electa, Marsilio e Guanda), unita, dal 2016, all’incarico di direttore scientifico.

Come anticipato, opere di Burri, Canova, de Chirico, de Pisis, Ghirlandaio, Lippi, Morandi (grande amico di Magnani), Severini, Tiziano e ancora di Cézanne, van Dyck, Goya, Hartung, Matisse, Monet, Renoir, Rubens, trovano casa nella preziosa Villa dei Capolavori, tempio meraviglioso di bellezza e di storia. Come si prende cura di una collezione così varia per tipologia e periodo storico? Quali i metodi di promozione e di valorizzazione che adottate?

La collezione è davvero varia ed eclettica, rispecchia a pieno l’approccio di Luigi Magnani nei confronti delle opere d’arte: privo di barriere, con interessi per ogni periodo storico e per gli artisti che hanno saputo in qualche modo ricercare e ricreare la purezza formale, la sublimazione, il distacco dalle urgenze quotidiane che la grande arte consente, Cézanne e Morandi più di tutti. Magnani non fu soltanto raffinato nella scelta, ma sempre mosso dal desiderio di salvare e recuperare all’Italia capolavori minacciati da oscuri destini. Egli non volle mai definirsi collezionista: “Collezionista. Non dico che sia una parola che mi dispiace. Dico soltanto che studio, che leggo, che scrivo e improvvisamente non c’è chi non voglia regalarmi quest’immagine di mezzo-antiquario, che non mi corrisponde.”

Magnani si ribellava vivacemente a quest’etichetta di principe dei collezionisti, che veniva posata su di lui come un’aureola indesiderata. A differenza di altri intellettuali che apprezzano la pittura per il fascino letterario, per i messaggi cultural-libreschi, Magnani fu un intenditore che s’incantava solo ai valori della vera pittura. Accadde solo una volta che si pentì di un acquisto: “La tela di Füssli mi ha intrigato, mi ha stimolato a rileggere Shakespeare. Un fascino presto esaurito: mi basta Shakespeare, non ho bisogno delle fantasie scenografiche di Füssli.”

La cura del grandioso patrimonio artistico lasciato da Magnani avviene con l’ausilio di professionisti della conservazione e con la grande attenzione all’idoneità degli ambienti dove le opere sono conservate ed esposte: da pochissimo tempo abbiamo rinnovato e adeguato ai migliori standard internazionali l’impianto di illuminazione e quello di climatizzazione. La promozione e la valorizzazione sono sempre collegate alla figura di Magnani: il luogo eletto che egli ha saputo creare animando di opere meravigliose la sua dimora, consente una comunicazione al pubblico ricca e al passo coi tempi. Da un lato, ci avvaliamo del lavoro di giornalisti e dei critici appassionati che si sono innamorati della Fondazione e dall’altro lato, dei social network che raggiungono un pubblico profilato.

Albrecht Dürer, Madonna col Bambino, 1495, olio su tavola Credit Archivio Fondazione MagnaniRocca
Albrecht Dürer, Madonna col Bambino, 1495, olio su tavola Credit Archivio Fondazione MagnaniRocca

Tra così tante bellezze appartenute ai più grandi maestri di ogni epoca, qual è il suo “pezzo del cuore” e perché?

La Madonna col Bambino di Albrecht Dürer, realizzata a fine Quattrocento, un’opera che Magnani amò particolarmente, riconoscendovi insieme la maestria somma e la poesia salvifica, l’incanto dell’infanzia divina quanto indifesa, protetta nella temporanea fortezza dell’amore della Madre che però non potrà scongiurare il destino di sacrificio e martirio, annunciato dal frutto rosso stretto nella manina del Bambino. Al tempo dell’acquisto del dipinto, Magnani è chiuso nel dolore per la malattia e la successiva morte, avvenuta nel 1967, dell’amatissima madre Eugenia, donna dalla profonda sensibilità morale e religiosa, che sempre lo aveva sostenuto nella scelta di vita volta agli interessi umanistici; Magnani peraltro aveva perso le sorelle giovanissime instaurando un rapporto di interdipendenza affettiva con la madre.

Si può pensare che nel volto soave e protettivo della Vergine dureriana egli avesse scorto un testamento di amore materno universale affidato idealmente dalla propria madre a quell’immagine sacra, che gli potesse forse alleviare sofferenze che gli parevano insostenibili. Recentemente abbiamo ripristinato la cornice voluta da Magnani per questo preziosissimo dipinto su tavola, documentata da una fotografia di inizio anni Ottanta, dotandola di climatizzazione interna e protezione antisfondamento.

Nel contempo il meraviglioso, enorme, misterioso dipinto di Francisco Goya La famiglia dell’infante Don Luis di Borbone, l’opera più importante dell’artista al di fuori dalla Spagna, e l’abbacinante Falaises à Pourville, soleil levant di Claude Monet, opera emblematica di tutto l’Impressionismo, non possono non suscitare ogni volta sussulti al cuore e incanto agli occhi, condivisi da tutto il pubblico della Fondazione.

Quali sono gli aspetti fondamentali per la buona gestione di una collezione d’arte? Quale sistema di ordinamento e informatico avete adottato?

La collezione d’arte e la dimora che la ospita, nel caso della Fondazione Magnani-Rocca, sono inscindibili. La Villa di Mamiano è l’esatto riflesso dell’anima di Magnani, uomo dalla cultura senza barriere, che raccolse capolavori d’arte nell’arco di un millennio, scegliendo autori fra loro molto diversi ma uniti dall’eccellenza qualitativa e dall’impeccabile personalità estetica, per creare quella casa-museo, oggi nota anche come “Villa dei Capolavori”, dove gli ambienti e le opere si legano mirabilmente e, appunto, inscindibilmente, come egli volle. Se esposte altrove, le opere smarrirebbero il filo conduttore che le unisce e che le rende gemme, ognuna unica, di una collana sontuosa; tolte dalla dimora di Magnani e allestite in un luogo diverso perderebbero l’anima, verrebbe meno il progetto di Magnani, la sua meravigliosa casa-museo dove ogni particolare e ogni accostamento rimandano al suo gusto così particolare nell’individuare dialoghi e corrispondenze fra le opere, gli arredi e gli ambienti, che trasudano memorie di una vita tanto speciale e rammentano gli incontri con le grandi personalità del Novecento che frequentarono la Villa, da Bernard Berenson a Margaret, sorella della regina d’Inghilterra, da Eugenio Montale allo stesso Giorgio Morandi.

L’ordinamento delle opere nelle sale espositive vuole così raccontare Luigi Magnani, rappresenta il suo autoritratto; la sua dimora, una delle rarissime meraviglie che siano apparse nella triste Italia senza bellezza degli ultimi decenni, va quindi conservata il più possibile come la lasciò il sublime intellettuale che seppe percepire con magistrale acutezza il rifrangersi dei gusti e degli echi nella letteratura, nella musica e nell’arte, riuscendo a raccontare se stesso. Un racconto che resta ben leggibile per il visitatore della Fondazione e che garantisce la personalità così forte di questo luogo davvero unico.

Nel 2018 è stato realizzato il nuovo Catalogo generale dell’intera collezione, cartaceo ma anche informatico, per offrire al pubblico e agli studiosi uno strumento aggiornato per accostarsi alla raccolta d’arte.

Fondazione Magnani Rocca. La Sala Van Dyck col tappeto fine Settecento Archivio Fotografico Fondazione MagnaniRocca
Fondazione Magnani Rocca. La Sala Van Dyck col tappeto fine Settecento Archivio Fotografico Fondazione MagnaniRocca

La Fondazione Magnani-Rocca nel corso degli anni ha curato numerose mostre temporanee di grande qualità e rilevanza artistica in collaborazione con i principali musei del mondo. Quale, secondo lei, è l’esposizione meglio riuscita e perché?

I capolavori della collezione permanente e il grande fascino della Fondazione Magnani-Rocca hanno consentito negli anni di attrarre l’interesse di grandi istituzioni museali internazionali e italiani, con cui sono stati attivati rapporti di collaborazione che hanno portato a esporre a Mamiano di Traversetolo opere notissime come ospiti illustri o a organizzare mostre di rilievo, molto apprezzate dal pubblico e dalla critica. I filoni principali di indagine delle nostre mostre riguardano la grande arte italiana del Novecento e la Pubblicità, che nel Novecento è stata forse la forma espressiva più significativa. Difficile individuare una mostra meglio riuscita delle altre perché tutte, o quasi, si sono inquadrate in un percorso di studio preciso e in proposte per il pubblico spesso collegate fra loro. Così del Novecento italiano sono stati presentati autori celeberrimi e molto amati e collezionati da Luigi Magnani, quali Guttuso, de Pisis, Severini, Burri, Manzù accostato a Marino Marini, de Chirico accostato al fratello Savinio, l’amico Morandi a confronto col nume tutelare Cézanne, ma anche Balla, Campigli, Ligabue, a esprimere la complessità di un’epoca incredibilmente ricca in qualità artistica in Italia. Poi la Pubblicità, in primis con la mostra dedicata a Henri de Toulouse-Lautrec che, oltre a essere stato un grande pittore, fu uno dei padri della comunicazione pubblicitaria del Novecento; e ancora mostre storiche sulla pubblicità dei primi cinquant’anni del XX secolo e sul periodo in cui imperversava l’indimenticato Carosello, amatissimo dal pubblico, a cui si sono aggiunte ricognizioni legate a movimenti e ad artisti che hanno posto la pubblicità al centro del loro lavoro, mi riferisco alle esposizioni dedicate alla Pop Art italiana e americana, e agli artisti Depero, Warhol e Lichtenstein.

Nell’ambito delle iniziative di Parma Capitale Italiana della Cultura 2020, ha curato la mostra L’ultimo romantico– la cui riapertura è prevista per il 4 dicembre, salvo nuove disposizioni governative – presso la Villa dei Capolavori. Com’è nata l’idea del progetto espositivo, quali le opere esposte e il fil rouge che le lega?

La mostra e il catalogo che l’accompagna raccontano la figura di Luigi Magnani, che nella sua casa delle meraviglie – la citata Villa dei Capolavori – realizzò, in un’impresa degna di un eroe romantico, un vero Pantheon dei grandi artisti di ogni epoca. L’amore congiunto di Magnani, uomo di cultura tra i grandi della sua epoca, per la pittura, la musica, la letteratura, viene narrato in mostra attraverso tanti capolavori, provenienti da celebri musei e prestigiose collezioni, che si affiancano a quelli di Magnani stesso, a testimoniare i suoi interessi e gli incontri con le grandi personalità di ogni tempo che egli frequentò o alle quali si appassionò intellettualmente. Magnani può essere così legittimamente assunto a testimone di “Parma Capitale Italiana della Cultura 2020”, sotto la cui egida la mostra si svolge.

Il progetto espositivo è nato proprio in relazione all’investitura di Parma quale Capitale della Cultura, in quanto Magnani, per la sua levatura intellettuale e per la sua impresa collezionistica, può essere affiancato alle grandi personalità, per le quali Parma è nota nel mondo, quali Parmigianino, Giuseppe Verdi, Arturo Toscanini. Il percorso della Fondazione Magnani-Rocca era stato avviato con la sua istituzione da parte di Magnani nel 1977, nel disegno di destinare i suoi tesori d’arte al godimento di tutti, nel ricordo dei propri genitori, donando a Parma e all’Italia una piccola Versailles. L’apertura al pubblico della Villa avvenne trenta anni fa, nel 1990. Venivano così svelate le opere di una raccolta quasi leggendaria appartenuta a una delle più eclettiche personalità culturali del XX secolo: Magnani fu infatti scrittore, saggista, storico dell’arte, compositore, critico musicale e, con le sue ricerche e i suoi scritti su Correggio, Morandi, Mozart, Beethoven, Goethe, Stendhal, Proust, seppe – come pochi – ricongiungere le ragioni del sentimento e quelle dell’intelletto.

La mostra realizzerà anche sogni irrealizzati di Magnani, esponendo capolavori assoluti da lui inseguiti ma mai conquistati, che in occasione dell’esposizione raggiungeranno la Villa e verranno svelati. Il primo grande sogno realizzato è sicuramente il celeberrimo dipinto Il cavaliere in rosa di Giovan Battista Moroni, capolavoro cinquecentesco, gemma di Palazzo Moroni a Bergamo, che, dopo la Frick Collection di New York, viene esposto alla Fondazione Magnani-Rocca per la durata della mostra.

Antonio Canova Tersicore col dipinto di Julien de Parme e la console con orologio carillon appartenuta a Napoleone I Credit Archivio Fotografico Fondazione MagnaniRocca
Antonio Canova Tersicore col dipinto di Julien de Parme e la console con orologio carillon appartenuta a Napoleone I Credit Archivio Fotografico Fondazione MagnaniRocca

Al giorno d’oggi il mondo dell’arte sta subendo un duro colpo, la pandemia da Covid-19 imperversa e blocca interi paesi, costringendo musei, gallerie, archivi e fondazioni a fermarsi e le fiere al posticipo o addirittura all’annullamento dei propri appuntamenti. Il momento di trasformazione e di incertezza economica che stiamo vivendo impone un brusco cambiamento alle nostre abitudini e un ripensamento del proprio lavoro. Quali, dunque, i suoi pensieri sul prossimo futuro, attualizzati anche al suo ruolo di direttore e curatore di una delle più importanti istituzioni culturali in Italia?

Le sale della Fondazione restano chiuse fino al 3 dicembre – come da disposizioni governative – ed è ora suggestivo vedere nella semioscurità i capolavori di Goya, Tiziano, Monet, Morandi e immaginare che, così, in privilegio solitario, li vedeva Magnani nelle lunghe serate in cui dialogava con loro accompagnato dalle musiche degli amati Mozart e Beethoven. Come tutti noi, anche questi capolavori, come quelli della mostra in preparazione, ora celati e custoditi dalle possenti mura della Villa, attendono di poter ritrovare i volti e i commenti del pubblico.

Nel frattempo, la Fondazione propone attraverso i propri canali social alcuni approfondimenti sulle opere della collezione permanente per ricordare il valore anche consolatorio dell’Arte per l’umanità, l’energia reattiva e costruttiva che essa trasmette; l’Arte, collegamento fra terra e cielo, anche in appoggio alla fede, rammenta alle persone la forza, l’ingegno, la creatività, l’anelito di bellezza, la sfida, la ricerca, la fiducia, la consapevolezza, l’amore, tutte le armi di cui ognuno dispone in un confronto, nei fatti impari, con la Natura che da sempre, dalle origini del mondo, all’uomo riserva un trattamento da ospite provvisorio e non tanto desiderato.

Ha una “mostra nel cassetto” che le piacerebbe curare e organizzare con la collezione d’arte della Fondazione Magnani-Rocca?

Dopo anni di valorizzazione in particolare delle opere novecentesche della collezione attraverso mostre dedicate ai grandi maestri del secolo scorso collezionati e frequentati da Luigi Magnani, mi piacerebbe organizzare una mostra che ponga in dialogo tre celeberrimi artisti antichi presenti nella collezione stessa con opere capitali: Tiziano, Rubens, van Dyck. Tiziano fu una fonte di ispirazione importantissima dei due fiamminghi, il più grande maestro della scuola veneta di pittura e una leggenda già a quel tempo. Il suo stile pittorico, la straordinaria tavolozza dei colori e il grande virtuosismo nella costruzione delle scene dipinte avevano fornito un’inesauribile fonte di ispirazione per Rubens e van Dyck, in particolare nell’ambito della ritrattistica. Tiziano era stato il primo artista a imprimere movimento ai suoi ritratti e a infondere il senso della personalità nei soggetti dei suoi dipinti, grazie all’uso del colore tipico dei veneti, che sopravanzava i valori disegnativi. Elementi che furono emulati e superati da Rubens e van Dyck, che in Italia vissero e lavorarono a lungo. Occorrerebbe però un budget molto importante per realizzare la mostra, difficile di questi tempi.

Claude Monet Falaises à Pourville soleil levant 1897 olio su tela Credit Archivio Fotografico Fondazione MagnaniRocca
Claude Monet Falaises à Pourville soleil levant 1897 olio su tela Credit Archivio Fotografico Fondazione MagnaniRocca

Per concludere, Tips&Tricks, tre consigli che si sente di dare a un (neo)curatore che si sta approcciando per la prima volta alla professione.

Ricordare che il destinatario delle mostre è il pubblico e che il pubblico è variegato; vanno, quindi, usati linguaggi e strumenti di comunicazione idonei per rendere ben comprensibile e interessante il contenuto del progetto espositivo alle diverse tipologie di visitatori, dagli studenti agli studiosi, e questo senza inficiare la qualità scientifica della mostra.

Avere presente che la curatela di una mostra richiede preparazione anche in ambito organizzativo; occorre, infatti, conoscere le regole in materia dettate dalle Soprintendenze e dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, conoscere i temi legali e contrattuali, quelli della gestione del budget. La figura del curatore puro e semplice, in qualche modo distaccato e noncurante degli aspetti organizzativi ed economici, è ormai desueta, anche perché le risorse per organizzare le mostre sono sempre più contenute e si rende pertanto necessario almeno orientarsi in tutti gli ambiti che riguardano la realizzazione e la valorizzazione di una mostra.

Infine, essere tenace, appassionato e saper trasferire la propria passione al pubblico, saper essere convincente con i proprietari delle opere selezionate per la mostra, saper curare le relazioni, offrire una visione generale della tematica scelta e nel contempo individuare possibili approfondimenti o addirittura scoperte che possano impreziosire la mostra stessa.

Si tratta di un lavoro speciale, le soddisfazioni possono essere notevoli; richiede però anche tantissimo impegno e una dedizione quasi totale ma mai lamentarsi, è un privilegio.

Commenta con Facebook