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Un universo onirico saturo di poesia: la pittura di Joan Mirò alla Magnani-Rocca

Joan Miró, Le Chant de l’oiseau à la rosée de la lune, 1955, olio su cartone. Foto Joan Ramon Bonet. Archivo Successió Miró. © Successió Miró / ADAGP, Paris, by SIAE 2021

La Fondazione Magnani-Rocca dedica a Joan Mirò la mostra Mirò. Il colore dei sogni, visitabile fino al 12 dicembre 2021. Cinquanta opere si dispiegano nelle sale della Villa dei Capolavori e raccontano la produzione del maestro spagnolo dagli anni Trenta agli anni Settanta.

Pittura di sogno. Pittura di segno. Joan Mirò (1893-1983) è il pittore che cerca di fuggire dalla pittura accademica, concentrando in essa tutte le altre discipline: la musica, la poesia, la scrittura. Una lotta che si traduce, nell’opera di Mirò, in una sintesi di tutte le arti. Sono diverse le definizioni che cercano di spiegare l’opera del maestro spagnolo: una pittura difficile da capire, ma facile da sentire; onirica e anti-formale; una pittura automatica, non meditata; una pittura di passione. L’arte di Mirò è tutte queste cose. E soprattutto, ha un obbiettivo preciso: parlare della gioia, dell’allegria, della vita che si prende il suo posto sulla morte. Infatti, anche quando Mirò ci presenta nelle sue tele scenari terribili, oscuri e inquietanti, sono i colori – prevalentemente il giallo, il rosso e il blu – a ricordarci della forza della vita.

La mostra alla Fondazione Magnani-Rocca ripercorre la produzione artistica di Joan Mirò dagli anni Trenta fino agli anni Settanta del Novecento. Una produzione ricchissima, che si è lasciata influenzare dal surrealismo francese (dopo un viaggio di Mirò nel 1920 a Parigi) e dalla metafisica dechirichiana; che ha superato e rappresentato gli anni della guerra attraverso un grafismo accentuato, che ritroveremo nell’informale americano. E che, infine, ha saputo rinnovarsi, al punto da costringere l’artista a distruggere e bruciare quanto prodotto precedentemente, poiché già superato da nuove forme, sempre più sintetiche.

Un percorso espositivo attraverso cinquanta opere che svelano un nuovo Mirò. Impegnato a scegliere dipinti di seconda mano ai mercatini, sui quali poi interviene con il suo segno inconfondibile, come in Personnage dans un paysage près du village (6 luglio 1965); o artefice di Peinture (1973), una tela, poco conosciuta e parte di un gruppo di sette dipinti, in cui l’artista sembra rifarsi alle logiche dello spazialismo di Lucio Fontana, tagliando la tela, lacerandola con un gesto iconoclasta, alla ricerca della tridimensionalità.

Joan Miró, Peinture, 1973, olio su tela forata. Foto Joan Ramon Bonet. Archivo Successió Miró. © Successió Miró / ADAGP, Paris, by SIAE 2021

Questi esempi dimostrano quanto sia ambizioso circoscrivere l’arte di Joan Mirò in definizioni risolutive. Poiché esse rischierebbero di limitare il carattere rivoluzionario e passionale del maestro spagnolo, guidato dalla musica e dalla poesia. La vitalità di Mirò lo ha spinto a continuare a sperimentare, passando da una pittura più fluida e acquerellata, a una pittura materica – come nelle tele degli anni Settanta, in mostra. L’artista, racconta il nipote Joan Punyet Miró, amava circondarsi di centinaia di libri e altrettanti dischi. Prima di iniziare a lavorare a una nuova tela, Mirò apriva uno dei suoi libri di poesia surrealista, leggeva quella che casualmente si apriva sotto i suoi occhi e da qui cominciava il suo viaggio, attraverso i colori, i segni e i sogni.

Sono diversi i riferimenti culturali e artistici di Joan Mirò: Paul Cézanne, Vincent Van Gogh, Vasilij Kandinskij, Pablo Picasso e anche i primitivi di Altamira. È facile intuirne le assonanze e le analogie, anche con l’informale segnico e il dripping di Pollock. Miró, intenzionato da sempre a sfidare la pittura tradizionale, si affida a quegli automatismi propri del surrealismo, i quali lasciano che il colore faccia il suo corso una volta fatto cadere sulla tela. Ma anche la musica e la poesia condizionano il modo di procedere di Miró. Tuttavia, non è solo l’artista a intercettare suggestioni e suggerimenti dalla poesia, poiché essa, a sua volta, guarda all’opera pittorica del maestro spagnolo.

Joan Miró nell’atelier Sert, Palma di Maiorca 1957. Photographic Archive Francesc Català-Roca. Archivio Successió Miró

Mirò, seppur si affidi a una pittura non meditata e non figurativa, mostra una cura particolare per la sua firma, lavorata e costruita per tratti. Così come per i titoli: tutti rigorosamente in francese, nonostante il suo indissolubile legame con la Spagna. La ragione è la formazione intellettuale di Mirò avvenuta in Francia.

Il senso dell’arte di Mirò è ben riassunto nelle parole in catalogo di Stefano Roffi, il curatore della mostra:

Lo stupore di Mirò davanti alle meraviglie del mondo non venne mai meno; al suo sguardo limpido e ingenuo si palesò la bellezza insita nel reale, che egli cercava di investigare, semplificandola per catturarne l’essenza, facendone ogni volta il punto di partenza e non di approdo della sua arte. Creò così una pittura che è oltre il figurativo e l’astratto perché rappresenta la realtà, ma ridotta a forme primarie e trasfigurata attraverso i sogni, giungendo a dare vita a un nuovo universo ricco di poesia, pulsante all’interno della sua mente di pittore, a livello conscio e inconscio, prima che sulla tela.

Lo stesso stupore colpisce noi oggi, che abbiamo la possibilità di indagare e osservare da vicino cinquanta opere di Joan Mirò, grazie alla mostra Mirò. Il colore dei sogni alla Fondazione Magnani-Rocca fino al 12 dicembre 2021.

Joan Miró, Personnage et oiseaux devant le soleil, 1976, olio su tela. Foto Gabriel Ramon. Archivo Successió Miró. © Successió Miró / ADAGP, Paris, by SIAE 2021

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