Luca Campigotto, Gregory Crewdson, Franco Fontana, Richard Tuschman: quattro autori che attingono, ognuno a modo proprio, dall’opera visionaria di Edward Hopper. La mostra virtuale Hopperiana. Social distancing before Covid-19 di Photology Online Gallery dimostra come il capofila del realismo americano sia attuale, oggi più che mai.
Tra le caratteristiche che hanno reso Hopper un’icona dell’arte contemporanea figura, senza dubbio, il suo occhio fotografico. Le opere del pittore, come scatti rubati, ci invitano a penetrare l’intimità di perfetti sconosciuti colti in attimi di solitudine, silenzio e introspezione. Maestro del realismo americano, Edward Hopper (Nyack, 1882 – New York, 1867) riflette la disillusione dell’American Way of Life: in scena, luoghi chiusi o abbandonati e figure solitarie, espressione di tutta l’angoscia e l’incertezza che caratterizza l’essere umano. Una condizione con cui tutti, chi più chi meno, abbiamo (avuto) a che fare da quando il covid ha messo le nostre vite in stand by.
Tanti i fotografi che hanno attinto dall’opera del pittore riprendendone situazioni, luci, colori e atmosfere. Photology Online Gallery, che da quest’anno propone esclusivamente mostre fruibili sul web, ne ha riuniti quattro: Luca Campigotto, Gregory Crewdson, Franco Fontana, Richard Tuschman. La mostra, dal titolo Hopperiana. Social distancing before Covid-19 è visitabile fino al 28 febbraio 2021.
A dare il la a un viaggio 100% americano permeato di silenzi e malinconia è il maestro modenese Franco Fontana (Modena, 1933). In mostra, alcune immagini scattate negli anni ’90 tra New York e altre parti degli Stati Uniti. Si tratta di polaroid trasferite su cartoncino e rimaneggiate tramite collage che ritraggono sagome solitarie, quasi sempre di spalle, muoversi su paesaggi colorati. Ambienti cittadini puntellati di automobili in cui soggetti anonimi vagano, come persi, tra geometrie urbane misteriose e stranianti.
Rotaie invase dalla vegetazione, asfalti bagnati di pioggia e figure solitarie avvolte da luci artificiali sono al centro delle immagini di Gregory Crewdson (New York, 1962). Maestro della messa in scena, l’autore realizza fotografie cinematografiche che restituiscono la desolazione del paesaggio americano deturpato dall’uomo. Come Hopper, Crewdson insiste sul fallimento dell’American Dream, in equilibrio tra una potenza misteriosa e una lunga serie di dettagli minuziosi che si offrono all’analisi dello spettatore.
Dal canto suo, Luca Campigotto (Venezia, 1962) posa lo sguardo su una New York dalla patina artificiale, come un set cinematografico ricostruito in studio, tra scritte al neon e bar fiocamente illuminati. Non un’anima viva per strada, architetture fatiscenti o in cantiere, case scrostate e cartelloni pubblicitari. O ancora, una Chicago che sembra più Gotham City, la città di Batman che dà il titolo alle foto. La figura umana, in questo caso, non appare mai: tocca allo spettatore proseguire la trama di una narrazione immaginaria.
Con le sue Hopper meditation, l’americano Richard Tuschman (New York, 1956) omaggia in maniera quanto mai esplicita l’opera del pittore. Stessa atmosfera delicata, elegante e melanconica, e messe in scena che strizzano l’occhio a quelle hopperiane, talvolta ricalcandole per filo e per segno. Con l’utilizzo di Photoshop, il fotografo inserisce dettagli scenografici da lui stesso dipinti all’interno di fotografie scattate in studio con modelli e luci artificiali. In scena, personaggi che dimorano immersi nei loro pensieri, totalmente indifferenti allo sguardo del fotografo (o del pittore), come annegati in un mare di malinconia.