Quanto (e come) la differenza di genere influenza abitudini e comportamenti dei collezionisti? Quanto può dirsi sanata la disparità tra artisti uomini e le loro colleghe donne? Ecco cosa sta cambiando (e cosa no) in un mondo storicamente “maschile” come quello dell’arte
Nonostante le tante novità di quest’anno (dalle aste online alle viewing room digitali), alcune cose sembrano essere rimaste inesorabilmente uguali. Una fra tutte, la scarsa presenza di donne all’interno del mondo dell’arte. Che si parli di artiste, collezioniste o battitrici, la percentuale femminile resta sempre drammaticamente bassa rispetto a quella dei loro corrispettivi maschili.
Basti pensare che il 90% dei lotti venduti quest’anno dalle maggiori case d’asta (Christie’s, Sotheby’s e Phillips) corrispondono a lavori realizzati da uomini. Una percentuale apparentemente troppo alta per essere dovuta soltanto a fattori estetici e qualitativi, ma che trova conferma nella classifica dei 100 artisti più venduti del 2020, dove i maschi battono le colleghe con uno schiacciante 85 a 15.
Una differenza che appare lampante anche analizzando la maggior parte delle collezioni museali, in cui la scarsa presenza femminile è, nella maggior parte dei casi, dovuta a una commissione di selezione formata in prevalenza da uomini.
Una differenza che si ripete quasi immutata quando si passa a considerare l’altra faccia della medaglia: i collezionisti. Ad acquistare da battitori (prevalentemente maschi) sono soprattutto uomini, genere statisticamente più attratto da settori ad alto rischio come per esempio il mondo della finanza o, appunto, quello dell’arte. Il brivido insito in un investimento incerto pare essere direttamente correlato all’accrescimento dell’ego dell’investitore, che quindi considera l’oggetto d’arte come un trofeo da esibire.
Secondo alcuni studi, l’elemento discriminante tra il collezionismo maschile e quello femminile potrebbe essere proprio la percezione del valore, che cambierebbe a seconda del genere. Sembra infatti che, al contrario degli uomini, le donne siano più interessate a creare valore dove prima non c’era rispetto che a collezionare semplicemente per il gusto di farlo.
Ipotesi confermata anche da diversi art advisors, secondo i quali gli uomini tendono a preferire opere ritenute di valore da altri uomini, mentre le scelte delle donne sono guidate da motivazioni ulteriori. Motivazioni che fanno sì che spesso le collezioniste preferiscano acquistare direttamente dagli artisti che vogliono sostenere piuttosto che in asta.
E anche se la natura privata delle vendite rende quasi impossibile conoscere il numero esatto di compratrici e compratori, si può comunque ipotizzare con una certa sicurezza che la disuguaglianza si mantenga inalterata anche all’intento delle auction rooms. Una sproporzione influenzata anche dalla diversa propensione ad assumersi dei rischi.
Alcune ricerche psicologiche sottolineano infatti come le donne siano meno propense a correre rischi nel momento in cui il livello di stress si fa più alto, proporzione che tendenzialmente si inverte nel caso degli uomini.
Va poi tenuto conto di alcuni fattori “culturali”. Tradizionalmente, le donne sono infatti meno incoraggiate a scendere in campo in prima persona nella gestione delle proprie finanze, lasciando le decisioni sulla gestione a lungo termine del proprio patrimonio in mano ai mariti. Si potrebbe dunque pensare che nel collezionismo “di coppia” sia soprattutto l’uomo an prendere le decisioni.
Ma la realtà è sempre più complessa e variegata di come appare nelle statistiche. Secondo gli specialisti di Christie’s, infatti, nella maggior parte dei casi sono le donne a prendere decisioni, dal momento che non sempre la “mente” corrisponde al braccio che stacca l’assegno.
Ma se quanto appena detto può in parte spiegare la minor presenza femminile all’interno dei meccanismi del mercato dell’arte, non basta comunque a giustificarla del tutto.
È ovvio che questo fenomeno affondi le proprie radici ben al di là del solo mondo delle case d’aste. Una possibile (e inquietante) analogia è per esempio quello tra i trend di acquisto in campo artistico e le assunzioni in America. Nonostante il numero di CEO donne nelle più grosse compagnie americane sia raddoppiato tra il 2019 e il 2020, queste aziende restano comunque pochissime (circa il 6% del totale). Passando poi ad analizzare il salario medio di lavoratori e lavoratrici, si nota che a ogni dollaro intascato dai primi corrispondono 85 centesimi guadagnati dalle seconde.
Situazione ulteriormente peggiorata dai tagli dei posti di lavoro indotti dal Coronavirus, che nella maggior parte dei casi hanno colpito lavoratrici donne.
Ma torniamo al mondo dell’arte. Osservando le statistiche più recenti, la situazione non sembra così pessima. Tra il 2019 e il 2020, il valore delle opere realizzate da artiste rispetto al totale battuto in asta si è alzato dal 6% al 10% (con un aumento dall’8% all’11% per volumi venduti), raggiungendo la percentuale più alta degli ultimi 10 anni.
A essere rimasto stabile è invece il gap salariale tra uomini (bianchi) e donne appartenenti a una qualsiasi minoranza (nere, ispaniche, indigene), le quali -da 15 anni a questa parte- ricevono tra i 54 e i 62 centesimi per ogni dollaro percepito dai primi.
In ogni caso, l’essenziale è saper interpretare i dati alla luce delle situazioni concrete e contingenti. Per esempio, bisognerebbe evitare di paragonare i risultati realizzati da artiste attive in periodi differenti. Cecily Brown e Tracy Emin si trovano a operare in un contesto totalmente diverso rispetto agli anni ’50 di Helen Frankenthaler o Grace Hartigan. Il progressivo assottigliamento del gender gap gioca sicuramente un ruolo cruciale nella fortuna critica delle artiste contemporanee.
Quello dell’arte è indubbiamente un mondo difficile in cui ottenere riconoscimento, e se questo vale soprattutto per le donne bisogna comunque riconoscere che spesso non sia una passeggiata neanche per gli uomini.
Questo mondo dell’arte però è stato plasmato grazie anche al contributo di grandi donne, da Gertrud Sten a Ileana Sonnabend, da Martha Jackson a Peggy Guggenheim.
Ma se le differenze sono ancora tante, è anche vero che mai come ora ci si sta rendendo conto con come questa disparità vada sanata, confinandola a essere soltanto parte di una storia remota. Così come dovrebbe essere già da tempo.