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Reynaldo Rivera rievoca la scena queer della Los Angeles anni ’80 e ’90

Reynaldo Rivera, “Ramona Ortega and Gia Hernandez, Dreams” (1995)

Per questa edizione della biennale Made in L.A. 2020, intitolata a version, gli artisti con le loro opere saranno presenti in due musei – l’Hammer Museum e il The Huntington Museum – creando un sorprendente effetto déjà vu. L’esposizione presenta nuove installazioni, video, film, sculture, performance, fotografie e dipinti, molti commissionati appositamente per l’occasione. Tra gli artisti: il messicano Reynaldo Rivera.

Tra i trenta artisti – tutti stabili a Los Angeles – c’è Reynaldo Rivera, classe 1964, di origini messicane. Egli ha saputo costruire un ampio archivio fotografico delle sottoculture queer degli anni ’80 e ’90, in gran parte trascurate a Los Angeles. In occasione della biennale Made L.A. 2020, Riviera riflette sulla ricerca dei suoi primi soggetti e ripercorre alcuni episodi della sua vita che hanno influenzato la direzione del suo lavoro.

Reynaldo Rivera migrò negli Stati Uniti, insieme al padre, il quale si guadagnava da vivere lavorando la terra. Un giorno si presentò al figlio con una macchina fotografica. Rivera iniziò presto a fotografare le donne delle pulizie degli hotel – che faceva mettere in posa come star in un silenzioso vecchio film – e tutto ciò che lo circondava, nel tentativo di fissare e congelare in uno scatto le cose e i momenti che siamo abituati a veder svanire, per continuare a riviverli. La fotografia, secondo l’artista, ha a che fare con il passato; il momento che catturi è già storia.

Reynaldo Rivera, “Montenegro, Silverlake Lounge” (1995)

Negli anni ottanta e novanta del Novecento, Reynaldo Rivera comincia a immortalare la Los Angeles che vive e conosce, fatta di affitti economici, feste in casa, moda sovversiva e soprattutto di bar e locali gay e di travestiti. La maggior parte di questi ormai da tempo sono chiusi e molti degli artisti e performer che si esibivano, morti. Tuttavia, le fotografie di Rivera ci restituiscono uomini e donne vive, avvolte da un glamour cinematografico improvvisato vecchio stile. Per la mostra il fotografo scava nel suo archivio e riscopre una comunità di donne trans e drag performer, spesso morte molto giovani e che rappresentano una Los Angeles quasi scomparsa – a ricordarci che è una città con una storia profonda, ma con una breve memoria.

Le parole del fotografo meglio sintetizzano il suo modo di procedere:

“The photos were part of something I was documenting. And so all my work looks — if you put it back to back, it doesn’t matter what the subject is, it’s like one big movie. Whether I was taking photos at fashion shoots, concerts, at home or the clubs in LA. They are all of the same kind of atmosphere. Usually dark.”

Caratteristico del lavoro di Reynaldo Rivera è il suo modo di relazionarsi con i soggetti che ritrae: li vede non tanto per come sono, quanto piuttosto per come vorrebbero essere visti, prestandosi ai loro sogni e alle loro illusioni più glamour. Li coglie nel loro spazio naturale, assorbiti dalla propria fantasia.

Reynaldo Rivera, “Vaginal Davis, Downtown” (1993)

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