Lockdown, lavoratori in stand by, crollo dei guadagni legati al turismo, minaccia di saccheggi: gli operatori dei siti culturali di tutto il mondo stanno vivendo un momento di crisi senza precedenti.
Tanto che molti di loro, da soli, non riescono a farcela. Tra le associazioni internazionali che si sono mobilitate in loro aiuto ci sono Aliph (The International Alliance for the Protection of Heritage in Conflict Areas) – che ha stanziato 2 milioni di dollari per supportare più di 100 siti in 34 paesi – e il World Monuments Fund (WMF) – che ha istituito un fondo di soccorso di 160.000 dollari per aiutare a coprire i salari delle persone che sono state licenziate durante la pandemia.
Tra i destinatari degli aiuti dell’Aliph troviamo il sito archeologico di Djenné Djenno, Mali, dove le forti piogge stanno erodendo le pareti dell’edificio preislamico risalente al 250 a.C. Una sovvenzione di $ 11.114 è stata destinata agli stipendi e alla nuova protezione sanitaria necessaria ai lavoratori impiegati nel rafforzamento delle barriere di pietra e nella costruzione di nuove dighe. A Sana, nello Yemen, Aliph ha destinato una sovvenzione di $ 14.950 per l’equipaggiamento protettivo e altro supporto ai 65 dipendenti della Yemeni Manuscripts House, dove sono conservati documenti secolari. Altre sovvenzioni Aliph sono state destinate agli aggiornamenti digitali: $ 15.000 per il Dipartimento delle Antichità in Libia per consentire il lavoro a distanza e la formazione online durante la pandemia; $ 10.000 per il Museo palestinese a Birzeit in Cisgiordania per aggiornare il suo sito web e sviluppare portale commerciale. Con il supporto del Musée du Louvre e dello Smithsonian Institution, Aliph ha inoltre contribuito a formare i lavoratori coinvolti nella riabilitazione del Museo Mosul in Iraq, ripetutamente assediato, che ha riaperto a fine novembre.
Nel frattempo, il World Monuments Fund (WMF) ha istituito un fondo di soccorso di 160.000 dollari per aiutare a coprire i salari delle persone che sono state licenziate durante la pandemia. Ne hanno giovato, per esempio, i 62 tecnici del fatiscente Osmania Women’s College di Hyderabad, per cui i lavori di ristrutturazione sono stati interrotti per mesi e solo ultimamente riavviati. Un caso analogo si è verificato ai Qianlong Garden, nella Città Proibita di Pechino, dove i lavori si sono interrotti per mesi. Situazione analoga per il porto di Beirut, devastato da un’esplosione. Il lavoro di conservazione, nel frattempo, è proseguito ad Aleppo, in Siria, dove il WMF è riuscito a completare la riabilitazione del souk centrale medievale della città vecchia, danneggiato dal conflitto siriano. Il fondo si sta ora preparando ad avviare i lavori per la ristrutturazione di un minareto cadente del XV secolo nel complesso Musallah della città afgana di Herat.
L’impatto della pandemia sui 1.121 siti Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco è stato profondo.
Ad aprile il 71% era chiuso e il 18% solo parzialmente aperto; a novembre i dati riportano il 26% di siti chiusi e il 30% di aperture parziali.
Molti siti soffrono costantemente per insufficienza di finanziamenti, situazione ora esacerbata dalla mancanza di entrate dallo stato, dai progetti e dalle attività turistiche. L’International Council on Monuments and Sites (Icomos), una rete di esperti sulla conservazione del patrimonio, riferisce che il forte calo delle entrate dei visitatori ha reso impossibile finanziare la manutenzione e la gestione del Complesso archeologico di Ingapirca in Ecuador. In Nigeria, la pandemia ha provocato la sospensione della manutenzione e dei servizi di sicurezza presso le antiche mura della città di Kano. Il Getty Conservation Institute (GCI), segnala battute d’arresto nella città malese di Penang, dove il crollo del turismo internazionale ha inibito gli sforzi di conservazione urbana.
Allo stesso tempo, la minaccia di saccheggi in siti culturali scarsamente attrezzati rimane onnipresente.
L’Antiquities Trafficking and Heritage Anthropology Research Project (Athar) riferisce che il commercio illecito online di oggetti saccheggiati è aumentato dopo la pandemia. Le autorità che sorvegliano i siti sono stati “intralciati” dalla necessità di applicare misure pandemiche restrittive e hanno visto i loro ranghi impoveriti dalla perdita di posti di lavoro legata alla recessione economica.
Questo, in paesi come l’Egitto, è un il fenomeno incontrollabile, con molti siti che rischiano il collasso.
Eppure in alcuni casi la pandemia ha avuto un risvolto positivo.
Il forte calo del turismo, ad Angkor Wat in Cambogia, ha consentito ai tecnici di intensificare il lavoro di conservazione in assenza di folla. Senza alcun segno che il turismo internazionale riprenderà presto, molte organizzazioni stanno ripensando i loro modelli per la protezione dei siti culturali in futuro. Ora riconoscono che l’overtourism stava causando un grave sovraffollamento in molti siti e minacciando la stabilità a lungo termine dei loro beni culturali. Si sono intensificati, inoltre, i rapporti con gli enti locali e nazionali.
Un esempio è Machu Picchu, in Perù, che ha riaperto a novembre dopo otto mesi di chiusura a causa della pandemia. Ora nell’antico sito Inca sono ammessi solo 675 turisti ogni giorno: il 30% di ciò che era consentito prima che Covid-19 costringesse il sito a chiudere.