Il premier incaricato Mario Draghi mette ovviamente in primo piano le misure organizzative, sanitarie ed economiche anti-pandemia. Ma si dimentica l’identità dell’Italia…
Chiariamo subito le basi: siamo tutti consapevoli che quello attuale è un momento eccezionale, nel quale le esigenze legate alla sconfitta della pandemia e ad essa collegate sono assolutamente primarie. E siamo anche consapevoli che un discorso di insediamento necessariamente si limita a tratteggiare linee di indirizzo che saranno poi strutturate e organizzate. Tuttavia, qualche “sentiment” è lecito distillare, pur ampiamente scontando queste premesse. Con questo approccio abbiamo seguito il discorso al Senato del premier incaricato Mario Draghi: che – pur visibilmente emozionato, cosa un po’ inattesa per chi vanta esperienze vaste quanto le sue – ha delineato campi d’azione e priorità della sua possibile – probabile – azione di governo.
Inevitabilmente, diremmo auspicabilmente, l’attenzione si è concentrata sulle misure organizzative, sanitarie ed economiche richieste da questo momento storico. Molte energie, e questo era stato anticipato, Draghi ha dedicato alle questioni ambientali, contestualizzate in un quadro storico e geopolitico. Si è parlato molto di scuola ed educazione, molto di donne e questioni di genere, molto di riforme, con l’annuncio di provvedimenti in materia fiscale e di pubblica amministrazione. L’ex presidente della BCE non ha dedicato in questa sede parole per rassicurare cittadini e imprese attanagliati dalla crisi economica, ma magari non riteneva necessario farlo nel suo discorso. Ed ha evitato alcuni temi scottanti e potenzialmente divisivi come quello dell’immigrazione, che tratterà nelle dinamiche governative.
La nostra è una rivista culturale, per cui è ovvio che noi ascoltassimo le parole di Draghi anche cercandovi riferimenti alla nostra specifica area di interesse. Siamo consapevoli che le questioni culturali non possono essere definite “urgenti” in un momento come l’attuale. Eppure, anche le inflessioni, in un discorso durato qualcosa come 40 minuti, possono suggerire approcci che poi ci si aspetta di riscontrare nella pratica politica. E su questo non ci si può certo ritenere soddisfatti.
Perché il futuro premier è sembrato del tutto ignorare di apprestarsi a guidare il Paese con la storia culturale più vasta e articolata del mondo. Il Paese – un refrain ricorrente – che ospita il 50% del patrimonio artistico globale. Assente dal discorso come punto da sviluppare, anche lateralmente, la parola “cultura” è risuonata un paio di volte. Associata ai giovani e all’impegno per migliorare scuola ed educazione. E solo in un passaggio si è ammiccato al valore del nostro patrimonio artistico, specificatamente alle città d’arte. Citate soltanto con funzione strumentale per attrarre turismo, lette come una “vetrina”, svuotate della propria identità e del proprio potenziale umano e storico. Cambiano i premier, non cambia questa miopia: ed una potenziale risorsa, che ovunque nel mondo sarebbe in testa alle priorità della politica, resta abbandonata…