Solo grazie a materiale organico presente in alcuni nidi d’ape gli studiosi riescono a datare le più antiche pitture rupestri mai scoperte in Australia
Fotogrammetria, telerilevamento, magnetometri, radar, droni, tecnologie 3D? Sì, le tecnologie anche più avanzate entrano sempre più prepotentemente da protagoniste nella ricerca archeologica. Mandando progressivamente in pensione immagini patinate di signori ben vestiti armati di un pennello o al più di una piccola paletta, e una lampada a olio. Eppure, ci sono ancora casi nei quali la tecnologia si deve arrendere, ad esempio alla biologia. E allora gli studiosi devono escogitare sistemi diversi, a volte quasi empirici, per procedere con le loro indagini.
Qualcosa di simile è accaduto ora nel Nordovest dell’Australia, nella regione del Kimberley. Dove una locale équipe di ricercatori si trovava alle prese con alcune delle più antiche pitture rupestri eseguite dagli aborigeni australiani. Rappresentazioni di diversi animali, fra i quali un riconoscibile canguro. Giungendo però a una fase di stallo nella datazione delle raffigurazioni. Salvo rare eccezioni, infatti, il pigmento rimanente nei dipinti del periodo del Pleistocene (più antico di 11.500 anni) non contiene più materiali che possano essere datati direttamente al carbonio 14.
E qui entra in ballo la genialità umana che ancora supplisce alle rigidezze della tecnologia. Gli archeologi sono infatti riusciti ad aggirare la difficoltà grazie della presenza, commista ad alcune pitture rupestri, di resti di nidi d’ape, che invece contenevano ancora materiale organico. È stato così possibile stabilire che i numerosi dipinti e graffiti potevano essere datati fra i 13 mila e 17 mila anni addietro. Per uno di essi, quello più iconico, che raffigura un canguro, sono riusciti a proporre una forchetta che va da 17.100 a 17.500 anni, dati che ne fanno la più antica pittura rupestre mai scoperta in Australia.