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Bruno Ceccobelli. La cura Apollinea

Bruno Ceccobelli con tre studenti, foto di Sandro Vannini, 1993, Accademia di Belle Arti Dakar, Senegal Bruno Ceccobelli con tre studenti, foto di Sandro Vannini, 1993, Accademia di Belle Arti Dakar, Senegal

 

Bruno Ceccobelli con tre studenti, foto di Sandro Vannini, 1993, Accademia di Belle Arti Dakar, Senegal
Bruno Ceccobelli con tre studenti, foto di Sandro Vannini, 1993, Accademia di Belle Arti Dakar, Senegal

 

Ceccobelli riflette sulla funzione terapeutica dell’arte e della bellezza. Evocando la pittura Apollinea di Piero Dorazio

Ci si può curare con l’arte o almeno tenerci in salute con il bello? Dedico queste gioiose riflessioni alla Divinità Lucente, a Elio, nume per eccellenza dell’Arte e della Poesia, della musica e della profezia. Cioè all’archeo Apollo, il quale, se non onorato a dovere dai popoli, mandava loro delle terribili “pestilenze”. Chissà se oggi ci ha inviato il “COVID-19” perché arrabbiato con la Poesia e con l’Arte Contemporanea degli ultimi tempi, poiché sono poco arte e poco contemporanee. “Ehi! Ma sei fuori di giri, ci sono i morti, che c’entra l’arte con il Covid”? Non esiste forse una insospettabile connessione tra Simboli-Archetipali e DNA-Sistema Immunitario, attraverso la Cimatica*?.

Lo so, tutto questo può risultare “arabo”, ma mettiamola così: in breve alcuni pensatori neuroscienziati** e psico-linguisti ipotizzano, e per me è logico, che il mondo e l’uomo non siano fatti né di materia organica, né inorganica. Ma che in fondo, il “veduto”, il “toccato” e il “sentito”, il mondo minerale, quelli vegetale e animale… siano concepiti esclusivamente da arcani lemmi: di vocali, di consonanti, strutture di una tela significante e onde sonore ideografiche che, a diverse frequenze o ritmo, si percepiscono come emozioni di luci, colori, sapori, sostanze. Insomma, quello che noi abitiamo, è un reale, è un precipitato grammaticale fittissimo universale, invisibile, ma alla fine concretissimo e significante.

 

Esempi di schemi della Cimatica
Esempi di schemi della Cimatica

Dunque un “verbo che si fa carne”, in sostanza l’intero spazio siderale è come un incalcolabile “linguaggio”, farcito di simboli per noi comunque astratti, ma intellegibili per gli artisti profeti. L’Apollo Olimpio ebbe più di un figlio da diversi “amori”… ma il più famoso fu Asclepio, allievo di Chirone, il centauro saggio, con questo maestro diventò talmente bravo in “medicina” che sapeva anche resuscitare i morti.

La visione Apollinea quindi comprende anche, per estensione, la funzione terapeutica genitrice svolta dal figlio Asclepio; nei secoli questa fu la metafora simbolica, concettuale e salvifica che ha definito l’Arte Spirituale. Mitologicamente parlando, l’arte Apollinea-Spirituale, in tutte le sue declinazioni artistico-filosofiche e in tutte le sue applicazioni sociali, è la sfolgorante cultura della creatività, dell’amore (quell’eros decifrato anche come ricerca estetica) e della speranza rigeneratrice; per questo ha una valenza di salute psicofisica oppure di malattia, quando si vive la sua assenza.

 

Apollo del Belvedere, scultura in marmo romana su copia bronzo greco, Musei Vaticani
Apollo del Belvedere, scultura in marmo romana su copia bronzo greco, Musei Vaticani

L’archetipo*** della salute si sprigiona da un segno luminoso che dà un’immagine positiva alla vita, immagine che dà un verbo benevolo, che imprime una fede ideale, che obbliga a un comandamento etico e ad una auspicabile conseguente legge parlamentare; alla fine è così che si può riattivare il proprio sistema immunitario, con un adeguato comportamento riattivato da un primo cambiamento archetipale luminoso. Beh! qualcuno non informato potrà dire: “ma noi siamo fatti così e basta”, è qui che arriva la fede: “no, no, si può cambiare il nostro DNA”. Come? Non certo con la microchirurgia.

Allora anche con un vaccino! “NO! Carissimi”, ci si può trasformare cambiando archetipo con un atto di fede (Io credo in questo e non in quello)! Lo grido alla Frankenstein Junior nel suo film: “Si! Può! Fare!”. Eh già, in realtà lo facciamo sempre, senza accorgercene, ma solo per le scelte convenienti all’occorrenza. Scelte, prese in fretta per l’alienazione del nostro sistema sociale, magari negative e banali, non ponderate per una visione a lungo termine; questi atti incoscienti e qualunquisti ci sembrano però del tutto naturali e non eccezionali, mondo cane!

 

Mondo Cane oggi l'orrore continua, Stelvio Massi, 1985
Mondo Cane oggi l’orrore continua, Stelvio Massi, 1985

Mia madre Franca, santa donna, andava per le spicce: per fermare il mio argento vivo oscurò la mia infanzia con la paura dell’uomo nero. “Stai buono se no ‘l’uomo nero’ ti porta via!”. Ora, se pur comprensibile in lei questo ricorrente coacervo di paure, più tardi confessatomi, vissute nel corso della sua giovinezza, per i soldati di colore, utilizzati durante l’avanzata del fronte di liberazione americana, nell’ultima guerra mondiale, che a volte si divertivano, a modo loro, con le sprovvedute giovanette di campagna, per me bambino era uno shock, anche se quell’uomo nero non aveva forma, né dimensioni, né una fisionomia particolare, era astratto. Il pensarlo mi spaventava comunque e ovunque, mi incantavo timidamente ad ascoltarlo, aspettarlo, scorgendolo dietro agli alberi, o presso una montagnola, alla svolta degli angoli, ne udivo perfino i passi muti, nelle lame di buio della nostra cantina.

Questo fantasmagorico “golem” divenne, per i ripetuti richiami materni, ossessivo ed estenuante, un’angoscia mi assaliva in crescendo, nell’attesa del prossimo rapimento immaginavo le grandi mani a tenaglia dell’orrido. Lungo la vita questo archetipo rimase in me, come un groppo repulsivo nel sottoscala del mio conscio, una remora insoddisfatta, apprensiva e irrisolta… la prima macchia nera. Quelle iniziali complesse paure, se pur innominabili, fluirono in me, da quel diktat di mia madre, fino al sistema sociale dominante con una dubbia ricomposta stabilità emotiva, ricomparvero nella particolarissima idea di avere spavento per il brutto artistico e per l’ingiustizia sociale.

Sì, il brutto mi ripugna, mi abbassa, mi sconforta, mi fa arrabbiare: ma cosa intendo per “brutto”? Dunque per me idealista, il bello, il bene, il giusto e il buono sono identificabili con il dio lucente apollineo, cioè con la natura; mentre il brutto, il male, l’imparziale, il cattivo, afferiscono al destino dell’uomo mortale. Nello specifico, l’istintiva “superficialità” che dipende dall’ignoranza e che deriva dalla non voglia di approfondire nei minimi particolari o dalla non attenzione alle concause dell’universale, della non concentrazione per le conclusioni o sintesi, delle non assunzioni di responsabilità verso gli altri e soprattutto verso il “creato”, questo per me è il brutto. Per esempio il brutto, in arte, è l’artificio, la finzione solamente decorativa, l’incongruo della moda, la stilizzazione, l’effettaccio piacione: più un’opera è complessa e bizzarra più è kitsch, induce in noi delle reazioni ridondanti, è un artigianato che si pavoneggia ad arte.

 

Gino De Dominicis, Schermo 1970 fotografia in bianco e nero cm 39 x 52
Gino De Dominicis, Schermo, 1970 fotografia in bianco e nero, cm 39 x 52

Gino De Dominicis diceva: “pizzette al taglio o quadrucci in brodo”. L’estetismo puro fa tanto vetrina, cioè quell’arte fredda, distaccata, lucida; brutto è qualsiasi razzismo o di classe o di colore… il brutto morale; Platone raccomandava di evitare di rappresentare il brutto perché macchiava gli animi e offendeva gli uomini. Chi ha detto che il bello è veramente bello e il brutto non sia bello? Oppure che tutto è una questione di gusto? Allora parliamo del gusto (non però, come alimento per la gola). Dei gusti personali, piaceri come soddisfazione e contentezza, di quel tabù materialistico, più caro della proprietà privata. Quando qualcuno mi parla di gusti personali, io mi vergogno e taccio, comprendendo e perdonando la poca dimestichezza dell’interlocutore con l’oggettività, cioè con la Cultura.

Il gusto è sempre brutto, perché non è oggettivo… tutto quello che non riporta allo spirituale universale è brutto. L’abitudine a vedere le architetture brutte non fa il bello… la ricchezza non fa il bello… come la fame non fa una buona digestione. Viviamo nei brutti incubi di una società apoditticamente Apocalittica, dentro uno “strisciante” suicidio di massa, che distilla virus e veleni a dosi sempre più micidiali. Mangiamo cibi ai pesticidi, respiriamo aria alle polveri sottili dell’amianto, beviamo acqua d’atrazina, ascoltiamo rumori (notizie e pensieri) da brivido, abbiamo tecnici al governo, tecnici alla finanza, tecnici alla salute, tecnici migliori dei tecnici (i politici) che ci dicono come sdraiarci. Beh! Non è che stiamo tecnicamente morendo?

Viviamo in un capitalismo tossicodipendente, ed essendo questo per i più un dolore cronico, lo si cura con democrazie al metadone. Perché come diceva nei suoi scritti Enrico Castellani già nel 1969: “… eccoci qua superstiti… esistere non è assistere…”.

 

Enrico Castellani, estroflessione con superficie nera
Enrico Castellani, estroflessione con superficie nera

In arte, da un cinquantennio, si vivono le mode, e non la vera “cultura filosofica”. “Sono contro tutti gli artisti ZTL del mondo”, perché? Non si è “creativi” quando si è troppo vicini ai poteri e troppo lontani dal proprio centro di gravità esistenziale. Plotino diceva che il vero essere è l’intelletto e che si manifesta come luce, in natura il sole, quest’entità eterea che è il “bene” “…rende visibile nel far vedere…”. Ecco, l’Arte Metafisica ci insegna: non è quel che vedi, ma vedere è una forma di estasi, ti porta fuori e ti mostra addirittura il Tutto nel particolare.

Nel lungo pellegrinaggio verso la luce della pittura, ho incontrato insigni cultori che ho avuto l’onore di frequentare anche come amici, il più piacevole fu Piero Dorazio (Roma 1927- Todi 2005). Fortunatamente me lo sono ritrovato sotto casa, a Todi. Piero, un artista riconosciuto in tutto il mondo come uno dei maggiori esponenti della pittura luminosa retinica, dell’astrattismo italiano, carattere sulfureo, giornalista, intellettuale e agitatore politico (vicino al Partito Radicale)…****

Firmò a Roma, nel 1947, con gli amici artisti Consagra, Attardi, Perilli, Accardi, San Filippo, Guerrini, Turcato, la rivista che portò al manifesto “Forma 1”. Avviarono in seguito, nel 1951, la galleria Art Club; partecipò poi alla “Fondazione Origine”, con Colla, Prampolini, Mannucci, Perilli e altri. E in particolare con lo scultore Colla fondò la rivista “Arti Visive”. Nel 1955 scrisse un pregevole libro di Storia dell’Arte, molto aggiornato sull’astrattismo, dal titolo romantico: “La fantasia dell’arte nella vita moderna”. Innovativo per le numerose immagini inedite, così come per la maggior parte degli autori che sono rappresentati; io ne conservo gelosamente una copia con dedica.

 

Da sinistra fra gli altri Bruno Ceccobelli, Agapito Miniucchi, Carla Accardi, Piero Dorazio, Enrico Castellani, Claudio Verna, Mauro Salvi, esposizione Giotto 1994, Todi, Galleria Extra Moenia, foto courtesy Aurelio Amendola
Da sinistra fra gli altri Bruno Ceccobelli, Agapito Miniucchi, Carla Accardi, Piero Dorazio, Enrico Castellani, Claudio Verna, Mauro Salvi, esposizione Giotto 1994, Todi, Galleria Extra Moenia, foto courtesy Aurelio Amendola

La sua storica magione era un piccolo museo, molto frequentato dalla scena dell’arte internazionale e ben difeso da “Ego”, un cane bassotto che sovente mordeva gli stinchi agli ospiti. Oltre ai propri lavori, collezionava opere di suoi conoscenti come Franz Kline, Burri, Turcato, Sam Francis, Balla, Severini, Sanfilippo, Accardi, Perilli, Consagra, Savelli. E tanta arte tribale africana, e ancora antichi attrezzi da cucina; gli piaceva molto la cucina umbra, e aveva una cuoca autoctona, la signora Lina, che lavorava anche nel suo ristorante preferito, dal nome evocativo: Cibocchi. Con sapienza, per un periodo, si mise pure a coltivare le uve. Fece lo “Scacciadiavoli”, un rosso, e vide che il vino era buono e gli piacque e ci omaggiò.

Sempre fuori degli “schemi”, Piero, un vero anarchico, nel dopoguerra fu uomo di mondo. Viaggiava, scriveva e polemizzava contro politici e critici poco aggiornati sulle ultime novità. Attaccava soprattutto la pittura narrativa, il realismo socialista e il partito comunista (riuscì, ventunenne, a intervistare a Parigi Joan Mirò, Henri Matisse e Georges Braque per il Giornale della Sera, di Roma), amava oltre modo i piaceri della vita e le donne muse… Le sue “feste”, nell’ameno eremo Camaldolese (fondato nel 1260), acquistato nel 1973, a Sant’Angelo di Canonica, nella campagna di Todi, erano, per il contesto, a dir poco faraoniche: invitava amici, artisti, intellettuali, politici, e tutti gli americani “Beverly Hills”*****, tutti personaggi colti, all’epoca la corte migliore che potesse esistere nell’Italia centrale…

 

Piero Dorazio ritratto da Aurelio Amendola
Piero Dorazio ritratto da Aurelio Amendola

Le feste serali erano condite da tavoli luculliani e immancabilmente, in contemporanea, due orchestre: una di Jazz (la sua musica preferita), alla batteria il suo sodale in politica e in pittura Lucio Manisco, l’altra di liscio, Piero instancabile ballerino. Il Professore, così veniva chiamato dai Tuderti perché prima che si trasferisse in Umbria aveva fatto il professore a Filadelfia, all’Università della Pennsylvania, per dieci anni, ebbe nella sua intimità tre periodi famigliari, scanditi da tre spose e altresì frequentati da tre gruppi di amici differenti. La prima e l’ultima erano americane, io facevo parte del periodo di mezzo, quando era legato alla dolcissima Giuliana Soprani, e quando insieme alle figlie Angela e Allegra mi apparivano come “la coppia più bella del mondo”.

Giuliana, alla fine degli anni ottanta, già gallerista a Milano della Galleria l’Ariete, aprì a Todi, nel 1991, un’ottima galleria internazionale, Extra Moenia, presente anche alle maggiori fiere d’arte. Piero, uomo di grande successo rispetto agli altri artisti italiani del secolo scorso, aveva esposto nei migliori musei e nelle migliori gallerie internazionali: dalla Galleria Marlborough di N.Y. alla Galleria Kodama di Osaka, dalla Galleria Springer di Berlino alla Im Erker di Saint Gallen, dalla Galleria Lorenzelli di Milano alla Galleria Artcurial di Parigi, fino alle Gallerie Studio Angeletti o Ulisse di Roma. Piero era anche molto generoso e nobile con tutti, soprattutto se artisti, io ero trattato come un collega da proteggere disinteressatamente, ma non sopportava i torti dei soliti furbi… per questo aveva, per vendicarsi, a disposizione un super avvocato romano, Fabrizio Lemme, un grande collezionista di arte classica e moderna, al quale affidava decine di cause…

Piero Dorazio, Acquaforte, Museo JAC Jacopone Art Collection,Todi ceccobelli
Piero Dorazio, Acquaforte, Museo JAC Jacopone Art Collection,Todi

Nelle opere di Dorazio si poteva ravvisare una verosimile rappresentazione grafica della Teoria Astrofisica delle Stringhe: interlinee si intrecciano e spuntano da ogni dove, pennellate radianti come segni di frequenze di onde gravitazionali… e-metteva i colori sulla tela come una stella Pulsar ad intervalli regolarissimi. Sovrapponeva colori puri e primari, con maestria, mischiava i caldi ai freddi, come in un alfabeto morse divino. Sospeso da tratti di luce bianca, che a volte aumentavano la distanza tra di loro e altre la diminuivano, come gli umori del suo carattere. Una pittura Apollinea per eccellenza: ricostituente curativo, immunizzo di buonumore, lenitivo emotivo, riappacificatore sentimentale. Quello che ci univa con Piero era la pulizia mentale concettuale del suo raffigurare, lui amava la pittura aniconica, inoggettiva, non figurativa, concreta e non oggettivante, geometrizzante, che partiva da lontano, dal Divisionismo al Costruttivismo, dal Cubismo all’Action Painting, in sostanza dall’Arte Pura di Malevic.

Nell’arte, come nella vita, ho ricercato tutti i giorni l’assoluto. Perché, se guardo l’assoluto, vedo il bello, anche se preferisco ispezionarlo nei reconditi meandri dei grandi e piccoli misteri; per esempio della luce solare preferisco cogliere quel pizzico di “grazia nera” delle sue macchie. Così il colore nero era sì, simbolo di cose nefaste, ma se reso distillato e trasceso dallo spirito del fuoco (in alchimia il passaggio dalla testa di corvo al capo bianco), che si può anche definire “l’operare della curiosità celestiale”, allora poteva diventare materia culturale dalle mille tinte. Intorno al 1977 avevo scelto di avere uno pseudonimo in arte… “Uccello Nero”, ne feci una sigla e così iniziai a firmarmi; non lo avessi mai fatto! Tutti mi si ribellarono contro: famigliari, amici, colleghi e soprattutto galleristi… desistetti.

In tutti gli anni Ottanta non ebbi più paura di me stesso e feci opere nere a base di materiali come cere, oli neri e bitume. Non tutti tra critici, galleristi e collezionisti le apprezzarono, in tempi di Transavanguardia… Poi, agli inizi degli anni Novanta, sono tornato a Todi dopo venticinque anni di cosmopoliti travagli, unica altra esplorazione nel 1993 il Senegal… ho insegnato per due settimane all’Accademia di Belle Arti di Dakar, finalmente un continente tutto nero “misterioso” per me, ne ebbi paura! Scoprii con stupore che la Transavanguardia andava di moda anche lì, la maggior parte degli studenti dipingeva con dei simboli alla Mimmo Paladino; riflettendoci era facile capirlo… alcuni elementi iconici dei “Tre o quattro artisti secchi”****** erano picassiani, e poiché Picasso copiò sculture votive africane…

 

Mimmo Paladino, Il visitatore della sera (ritratto di G.F.), 1985 ceccobelli
Mimmo Paladino, Il visitatore della sera (ritratto di G.F.), 1985

Nella mia maturità, piano piano, mi sono accorto che sia nello stile artistico che nei sentimenti e negli ideali esoterici, era riaffiorato in me come un alien, quel baluginato estraniamento infantile, oh sì! quell’uomo nero ero io… per di più con un nome adatto, Bruno. Dagli anni 2010 in poi, ricominciai convintamente ad occuparmi di sperimentazioni sul colore “nero” inteso poeticamente come una “doppia luce”, una “energia oscura”, facendo delle opere con bitume dal titolo: Pupille e Iridi. Anch’io, in un altro modo, mi curo “omeopaticamente” con l’Arte Spirituale Apollinea. Non con quei colori visibili all’occhio degli artisti del Novecento, ma con una cromoterapia oscura, alterata, di una invisibile bellezza.

Mi sono ritrovato con una luce “maggiore”, lontana dal suo senso comune. Una luce nera, vale a dire elettromagnetica, emessa da tutti quei corpi celesti di più intenso calore, con più amore, intuito nel Reale Tutto del fondo cosmico. Contro la retorica del “successo” del capitalismo della sorveglianza e delle nostre beneplacite ecumeniche società finanziarie, in questo momento e sempre, occorre combattere, più forte che mai, l’archetipo del pensiero materialista; dall’unione di tutti i poeti e dei creativi facciamo sbocciare nuovi archetipi per il cambiamento. Onoreremo ancora una volta il Deus Sol Invictus Apollo, con più vigore vitale, creeremo nuove opere d’arte purificatrici che ci saneranno la psiche, il corpo e il cuore, rendendoci “invulnerabili”, altrimenti saremo più fragili rispetto alle nuove epidemie “scientifiche” che questa volta ci invierà.

 

Bruno Ceccobelli, Gran Pupilla, bitume su tavola, 2014, 213 cm diam.
Bruno Ceccobelli, Gran Pupilla, bitume su tavola, 2014, 213 cm diam.

Bruno Ceccobelli

http://www.brunoceccobelli.com/

 

Note:

* Cimatica: scienza che studia le onde e le forme del suono: esperimenti iniziati da Galileo Galilei, perfezionati da Ernst Chladni 1787. Definiti da Hans Jenny, antroposofo, nel 1967, vi consiglio un video semplificato, ma esaustivo: https://youtu.be/rYrdiQckGhw

** Neuroscienziati: vi farò l’esempio di quello che più mi ha affascinato: Masaru Emoto, (1943-2014) giapponese che ha dimostrato con foto e video la memoria dell’acqua e l’influenza delle parole su di essa.

*** Archetipo: un primo segno tipologico, il più antico e radicato, come indicato nella concezione generale della teoria dell’inconscio collettivo da Carl Gustav Jung.

**** Tutto raccolto nel bel libro di Piero Dorazio “Rigando dritto. Piero Dorazio Scritti 1945-2004”, a cura di Massimo Mattioli, Silvia Editrice, del 2005.

***** Beverly Hills: Scherzosa denominazione data dal New York Times per un zona paesaggistica periferica di Todi sud, abitata da personaggi americani del mondo della cultura democratica, famosi e ricchi… riferendosi in particolare alla più nota tra loro, la scultrice, Beverly Pepper.

****** “Tre o quarto artisti secchi”: primo libro di Achille Bonito Oliva che si occupa della Transavanguardia, 1978, Emilio Mazzoli Editore, Modena.

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