La Fondazione Memmo
Nel cuore di Roma, a metà della via di Fontanella Borghese, tra il Tevere e l’affollata via del Corso, si trova un piccolo luogo prezioso, uno dei gioielli romani dedicati all’arte contemporanea: la Fondazione Memmo. Venne fondata nel 1990 da Roberto Memmo, che ne assunse la carica di presidente, coadiuvato da tre vicepresidenti: Daniela Memmo d’Amelio, Patrizia Memmo Ruspoli e Claudio Strinati, ex Soprintendente ai Beni Culturali.
Lo spazio, al piano di Palazzo Ruspoli, nacque come Fondazione privata con lo scopo di promuovere la grande arte dei maestri del passato, in un momento storico in cui i musei attivi in questo senso non erano poi molti. Nel 1991, l’inaugurazione con la mostra Espressionismo-Da Van Gogh a Klee realizzata con la Fondazione Thyssen-Bornemisza di Lugano.
Le mostre di alto livello culturale che seguirono, furono possibili grazie alla lungimiranza del presidente Memmo e alla sua volontà di co-produrle con i più grandi musei di tutto il mondo: dal Getty Museum di Los Angeles al British Museum di Londra, fino al Museo Egizio del Cairo.
Nel 2012, grazie all’iniziativa di Fabiana Marenghi Vaselli Bond e Anna d’Amelio Carbone, si decise di ristrutturare lo spazio e di ‘attualizzare’ il programma espositivo. Per riorganizzare la Fondazione vennero ripristinati gli ambienti delle ex scuderie del Palazzo e il nuovo programma di mostre ed eventi culturalivenne interamente dedicato all’arte contemporanea.
Missione della Fondazione era di tracciare un nuovo tessuto culturale, attraverso una visione globale, promuovendo l’internazionalità e l’interazione tra gli artisti emergenti edil tessuto storico e sociale di Roma, con lo scopo di reinterpretare la tradizione del territorio in chiave dinamica e contemporanea.
Vernissage, eventi, performance, convegni e laboratori didattici hanno contribuito al successo di questa nuova missione.
Oltre alle varie mostre personali presentate, la Fondazione dal 2015 promuove un nuovo capitolo: Conversation Piece. Queste mostre collettive a cadenza annuale, prendono spunto tanto dal film Gruppo di Famiglia in un interno – Conversation Piece, del 1974 di Luchino Visconti, quanto dal genere pittorico diffuso tra XVII e XVIII secolo. Il Fil Rouge di queste nuove edizioni è incentrato sul dialogo tra nuove e vecchie generazioni, tra antico e moderno. I capitoli di Conversation Piece, curati dal critico Marcello Smarrelli, hanno l’intento di seguire questo grande filo conduttore, facendo il punto della situazione sul panorama internazionale delle nuove proposte in campo artistico (molti artisti coinvolti sono infatti ospiti presso le accademie e gli istituti di cultura straniera attivi nella Capitale), e mettendo in dialogo gli artisti con la città che li ospita.
La Mostra
Il VII capitolo di Conversation Piece, dal titolo verso Narragonia, è stato inaugurato l’8 febbraio 2021 e sarà visibile, decreti permettendo, fino al 1° luglio. Protagonisti della collettiva sono: Jos de Gruyter & Harald Thys (rispettivamente 1965 e 1966, duo di artisti belga), Benedikt Hipp (1977, attuale vincitore del Premio Roma presso l’Accademia Tedesca Roma Villa Massimo) e Apolonia Sokol (1988, attualmente borsista presso Villa Medici Accademia di Francia a Roma). Il tema centrale, ispirato al poema La Nave dei Folli (1494) del poeta alsaziano Sebastian Bran e alle incisioni di Albrecht Dürer in esso contenute, è quello della follia, rielaborata in chiavi diverse pur conservando quel filo diretto che lega gli artisti a Roma e alla tradizione del territorio.
Le teste riprodotte dagli artisti belga, rappresentano figure e personaggi della paura, della desolazione, della depravazione, tuttavia raffigurate senza alcuna gerarchia, scevre da ogni possibile giudizio morale. Sono testimoni muti ed inermi del nostro mondo e del nostro momento storico (memori, forse, di una tradizione iconografica vicina tanto ai volti ieratici di soggetti bizantini quanto ai più recenti manichini di De Chirico).
Le sculture e i dipinti inediti di Hipp, sono frammenti di parti anatomiche umane che richiamano l’immagine di un laboratorio alchemico e di un mondo terrifico e metafisico vicino alla lezione tardo quattrocentesca di Bosch. Reperti antropologici, realizzati con una tecnica di ‘deformazione’ dell’argilla, artigianale e piuttosto antica. Le sculture, presentate insieme ai dipinti, tracciano le linee di uno spazio che diventa magico e perturbante al contempo.
La Sokol, nella sua grande tela estroflessa di 5 metri di larghezza, muovendo dalla tradizione iconografica della barca (dalle incisioni di Dürer contenute nell’opera sopracitata, fino alla Zattera della Medusa di Géricault), si riallaccia al mondo dell’attualità e del contemporaneo presentando la sua personalissima visione della ‘Nave dei Folli’, tutta al femminile dove, padroni della scena, sono gli atteggiamenti e gli orientamenti sessuali ancora oggi al centro di aspri dibattiti.
In questo caso specifico Verso Narragonia assume delle pieghe diverse, assecondando più la rilettura storica del poema da parte di Foucault (1961), secondo cui la follia non assume una connotazione per forza negativa, piuttosto che quella moraleggiante dell’originario poema quattrocentesco.
Lo spazio della galleria diviene la ‘terra promessa’, il ‘paese di approdo’ di questi tre artisti che, lontani da giudizi di ogni sorta o da schemi preconcetti, tentano di dar vita e forma a tutte le accezioni possibili di follia e al loro estro creativo, folle per antonomasia.
La Fondazione Memmo si trasforma così, quasi per trasmutazione alchemica, in una Wunderkammer psicofisica in cui tutto può esistere ed avere una sua logica.