Uccidi l’unicorno, un’indagine interiore sui meccanismi di valore nell’arte contemporanea nell’esordio letterario di Gabriele Sassone
L’arte ai tempi dei social media. Cosa distingue nell’era della digitalizzazione un artista da una persona comune? Uccidi l’unicorno (edito da Il Saggiatore) è un viaggio alquanto curioso che parte da molti spunti, tutti diversi e – apparentemente – distanti tra di loro.
Trovarsi all’improvviso a essere l’ospite di un importante convegno, dover prepara in pochissimo tempo una presentazione sull’arte ai tempi dei social media; il protagonista – un insegnante d’arte – va nel panico. Inizia così un percorso interiore per dirimere le ombre che lo attanagliano dall’infanzia e di cui ancora non è riuscito a liberarsi.
Attraverso le immagini che lo hanno accompagnato nel corso degli anni ci imbarchiamo con lui in una passeggiata esistenziale che sottolinea i lati oscuri del sistema culturale e del lavoro culturale, con tutte le loro contraddizioni.
«Si fa pittura perché si vuole essere, per così dire, liberi», da questa riflessione di Marcel Duchamp parte il racconto di Gabriele Sassone, che si interroga sul valore estetico e formale delle opere dei grandi artisti e sugli aspetti pratici dell’esistenza dell’artista stesso all’interno di una società fondata sul capitale. Un’esistenza che dipende da fattori materiali, come il sostentamento o il problema di possedere uno studio tutto per sé, dove creare e far vedere le proprie opere – e quindi di venderle. Un tema centrale nella biografia di Van Gogh, per esempio, figura fondamentale per cercare di capire la natura dell’artista contemporaneo.
Slide dopo slide ci imbattiamo in riflessioni su Le mosche del Capitale di Paolo Volponi, dichiarazioni d’amore all’opera di Ruscio, note sull’isolamento che provoca il sistema dell’arte contemporanea, ricordi di scuola, l’ossessione per le classifiche e i ranking che permettono al mercato una semplificazione funzionale sulle dinamiche del valore, ricerche su Pollock e sulla pedagogia radicale di John Dewey, e molto (moltissimo) altro ancora. E l’unicorno del titolo? Certo, è iconograficamente simbolico (musicale, oltre che artistico) e – come da tradizione – rappresenta l’innocenza, la sacralità, la giovinezza, ma è anche psicanalitico. Ucciderlo significa – anche – sopravvivere a sé stessi.
Uccidi l’unicorno è un libro denso e multiforme: un saggio, un romanzo di formazione, un memoir, privato e immaginario si uniscono in questo percorso che analizza la natura delle immagini, il loro potere – la loro forza evocativa e critica – e le meccaniche che ne permettono la creazione. «Quello degli artisti attivi oggi e di come campano è un enigma che mi arrovella giorno e notte», scrive Sassone, e attorno a questo raccoglie citazioni e spunti, ricordi di viaggio e impressioni, nella costruzione di un discorso dalla duplice natura, sul rapporto tra artisti emergenti e sostentamento economico da una parte (e nella definizione del loro posizionamento nella società, di ieri e di oggi, con tutte le diversità del caso), dall’altra un’introspezione personale, più profonda e fuggevole.