Arte e musei sono elementi chiave per resistere alla dittatura tecnologica. Come insegna la serie “Il Trono di spade”. E le Guerrilla Girls
“Ciò che è morto non muoia mai”. Così inizia la storia di una delle famiglie più incredibili degli ultimi tempi, quella dei Greyjoy ne “Il Trono di spade”. Chi crede che la serie sia solo un prodotto di merchandising sdoganato dalla nostra società è in errore. George Martin non solo è uno degli intellettuali più raffinati di questo secolo, ma è anche attento antropologo. Che è riuscito a inquadrare casate, status sociale e giochi di potere tipici del nostro mondo. Ed è proprio questo motto che risuona più attuale che mai nel campo culturale contemporaneo. All’indomani della dichiarazione dello stato di emergenza le prime teste a cadere nella serie, oltre a quella di Ned Stark, a cui hanno tagliato la testa nella prima stagione, sono state quelle degli addetti ai lavori. Scuole chiuse e Chiese aperte.
Si converrà che non è una questione di priorità, ma di semplici valutazioni di potere. Si, perché chiudere una chiesa significa mettere in discussione un certo equilibrio mantenuto dall’epoca di Mussolini, che bei tempi! E c’è davvero chi gridava al Medioevo all’indomani della privazione delle libertà individuali, lo scorso marzo. E verrebbe da rispondere: MA MAGARI! Almeno nel Medioevo l’atteggiamento era meno passivo e aggressivo, e se ti dovevano fustigare lo facevano in piazza, sul rogo davanti a tutti!
Tornando alla situazione odierna, ci sarebbe da sottolineare che il primo sintomo di una dittatura è la censura. Il secondo, Covid insegna, è il delirio da febbre di onnipotenza, il terzo beh… speriamo davvero di non arrivarci. Quello che invece non va dimenticato è che l’arte è quel fenomeno capace di intuire e reinterpretare il disagio dell’opinione pubblica all’interno di un contesto che è un museo. Eh NO! Il museo non è proprio quel contenitore impolverato che qualcuno vuole farci credere; tutt’altro, è spesso, troppo spesso, veicolo di messaggi politici ben definiti.
Questa storia delle chiusure fa pensare a un periodo non troppo lontano da noi. Ci troviamo a metà del Novecento, e una giovanissima Margherita Sarfatti diventa corrispondente estera del programma artistico politico di Mussolini. Benito lo sapeva bene che per poter allacciare rapporti solidi con le altre nazioni, doveva accettare delle condizioni. La Venere bellissima dai capelli biondi venne spostata all’interno di uno dei suoi uffici e per ordine del duce, ogni giorno veniva posto davanti ad essa un giglio bianco! Non lontano è il parallelismo con la giovanissima Chiara Ferragni, che nel tentativo di guadagnare il pane da portare a casa in realtà ha accettato inconsapevolmente di essere strumentalizzata proprio da quel gioco di potere che è la Politica, facendosi ritrarre davanti alla Venere all’interno di un contenitore chiuso.
Una sorta di gabbia dorata sotto gli occhi di tutti. Certo la Ferragni non poteva saperlo, di fatti è da sottolineare il suo impegno sociale, il tentativo di lanciare messaggi positivi tramite la piattaforma Instagram. È ai Ferragnez che dobbiamo l’ospedale in Fiera a Milano. Però anche Daenerys Targaryen, la madre dei draghi, figlia di un’ideologia liberista, ne “Il Trono di spade” alla fine si trasforma nella tiranna assassinata dal suo stesso popolo. George Martin l’aveva previsto nell’analisi del New Medioevo. E allora la Rete? La DAD e non la MUM? E allora questa cultura convergente nella transmedialità?
Anche questo fa pensare alla dittatura tecnologica. Questa metodologia non è così democratica in realtà. Anzi! Potrebbe essere direttamente collegata a quel regime della sorveglianza di cui siamo tutti vittime. È proprio il regime di sorveglianza digitale, che sta assumendo tratti totalitari, a seppellire l’idea liberale della libertà d’espressione. Dell’arte. La persona viene degradata a una congerie di dati che portano guadagni. Oggi il Capitalismo si sviluppa diventando il Capitalismo della sorveglianza. La sorveglianza genera capitale e dittatura. Siamo continuamente sorvegliati e influenzati dalle piattaforme digitali. I nostri pensieri, sentimenti, azioni e obiettivi vengono selezionati e sfruttati, come è successo a Chiara la reginetta di Instagram, strumentalizzata dal quel mercato da lei generato.
L’Internet delle cose estende la sorveglianza alla vita reale. Big Data quale strumento psicopolitico che rende il comportamento umano pronosticabile e influenzabile. La psicopolitica digitale ci fa precipitare in una crisi di libertà. E allora come si fa? La soluzione c’è. Si aggira il sistema tramite dei cripto messaggi da inviare senza il tasto invio. Come accade in un supermercato di Napoli, con il progetto intitolato Aggiungi al Carrello. Un’iniziativa con la quale l’arte entra nel supermercato, un’azione-incursione ideata e organizzata dal gallerista Luigi Solito e dalla curatrice d’arte Carla Travierso, e realizzata da Antonella Polito, socia di Gourmeet, nella sede di via Alabardieri. “Un invito a riflettere sull’attuale condizione dell’arte nel contesto pandemico che vede coinvolti principalmente gli artisti ma anche l’intera filiera”.
Fotografie, sculture di chewing-gum rosa, gesso e brandelli di stoffa, cubi sospesi sulla testa dei clienti. Gi artisti Christian Leperino, Francesca Matarazzo, Ryan Mendoza, Laura Niola e Maurizio Savini offrono al pubblico le loro opere esposte tra i banchi della frutta, del pane e della carne. “Opere da ‘consumare’ proprio come il cibo, bene primario. Opere che, recuperando la propria dimensione rituale, metaforicamente possiamo aggiungere alla nostra spesa e portare a casa come esperienza corporea e sociologica dandoci gli strumenti per contrastare questo senso di impotenza e smarrimento che pervade ognuno di noi, a generare positivi cambiamenti e stimolare nuove proiezioni per il futuro”, spiega Carla Travierso. Di grande valore anche l’azione del Museo Madre: che apre le sue sale al bene comune, ci si può vaccinare e successivamente visitare la collezione gratuitamente.
Lo stesso accade nei centri Gucci e Armani, che hanno trasformato i propri spazi in centri vaccinali. Il Museo è un luogo di opportunità di attivismo e di crescita. Era il 1985 quando un gruppo di anonime attiviste femministe fondarono a New York il Collettivo “Guerrilla Girls”. Con l’intento di denunciare all’intero mondo dell’arte comportamenti di discriminazione sessuale e razziale, e allo stesso tempo di promuovere la presenza di donne e persone di colore nel circuito del contemporaneo. Ma la questione era emersa già da qualche tempo.
Su uno dei siti ufficiali, le Guerrilla raccontano che “il 14 giugno 1984 partecipammo a una protesta davanti al Museo d’Arte Moderna, dove c’era una retrospettiva di 169 artisti, con solo 13 donne e ancor meno artisti di colore. Lì avemmo l’idea di fare dei poster polemici. Formammo il gruppo circa 9 mesi dopo, e ci chiamammo Guerrilla Girls. Quei primi manifesti hanno dato avvio ad una discussione pubblica che è ancora in corso, nell’arte ma anche nel cinema, politica e cultura pop. Il nostro tipo di attivismo pazzo è diventato un modello per centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo che vogliono usare la loro creatività per combattere per le questioni a cui tengono”.
ll poster più famoso del gruppo poneva la domanda: “Le donne devono essere nude per entrare nel museo?”. Questo discorso prende in considerazione il mutare della posizione delle donne nella storia dell’arte, ed esamina esempi di artiste che hanno spinto i confini di questa disciplina dominata dagli uomini. Così cambiano gli scenari, e così cambiano le operazioni artistiche. Il ruolo delle artiste si fortifica e determina un’evoluzione tale da mettere un punto ad una pagina di storia. Il modo per aggirare il sistema esiste e risiede nella naturale capacità di esseri umani di agire in funzione della società. La sfida è semplice: rispondere alla chiamata della natura e fare sistema. Il nostro. Un sistema fatto di opinioni comuni, di riflessioni e di cultura.