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Bruno Ceccobelli. L’era dell’Arte Elettrica

Bruno Ceccobelli a New York nel 1984 Bruno Ceccobelli a New York nel 1984
Bruno Ceccobelli a New York nel 1984
Bruno Ceccobelli a New York nel 1984

Riflessioni apocalittiche e (forse?) ironiche sul futuro dell’arte nell’era del trionfo della tecnologia e del virtuale

A.A.A. America cercasi. Smarrito il sogno a stelle e strisce, Coca-cola e soldi, hamburger e armi. Requisiti richiesti: no rivenditori cinesi, no fake new russe. Ricompensa offresi: Rifondazione Storica Individuale. Guia Soncini nel suo libro “L’Era della Suscettibilità”, ed. Marsilio 2021 (…e della perfidia del politcally correct), scrive che anche prestigiose università inglesi, come già da tempo quelle americane, hanno iniziato la cancellazione di avvenimenti storici, e delle opere di molti personaggi eccellenti del passato. O perché suprematisti, o perché maschilisti, o perché razzisti, omofobi. O semplicemente perché, colpa più grave, furono eurocentrici… escludendo nomi di geni dell’arte come quelli di Shakespeare, Mozart, Beethoven. In vista del prossimo Trans-umanesimo futuro, Medio-Medioevo elettronico, eccoci all’epocale rivoluzione telematica di bioingegneria: il Grande Reset umanoide dei temi significanti esistenziali occidentali, non solo economici…

Rivoluzione industrial-finanziaria antropologicamente e socialmente riversata dall’alto verso il basso, tra guerre epidemiologiche e false immunizzazioni. Tra crisi economiche e carestie, tra la schiavitù degli algoritmi hardware e la dittatura dell’emergenza sanitaria. Insomma è in atto una aggiustatina al ribasso alle filosofie ideali e al numero della popolazione mondiale. Per fare spazio ai robot, meccanismi economici, servizievoli e privi di tutti quei “perché”, dannosi al sistema suddetto.

“Ma non vedi che siamo entrati in un’altra dimensione?“. Sì, perché, era vera la predizione dei Maya, quella della fine del mondo nel 21-12-2012, ora è finito quel mondo arcaico, perché naturale, in cui eravamo cresciuti e del quale ci siamo fidati, non esiste più. E se credete che esista ancora, è perché voi siete rimasti nella vecchia dimensione e presto sarete dimenticati, come inutili ombre. Dal 2012 siamo traslocati in un’altra dimensione, in una nuova era tecno sostenibile: l’Era dell’Acquario. Un’era inventiva scientificamente perché ci collega, molto “inclusiva” perché ci sorveglia, spingendoci fino al caos: con pestilenze e carestie. E che è sì di “pace”, ma quella eterna! Almeno per me che sono “stupido come un pittore”.*

 

Simbolo astrologico dell’Acquario
Simbolo astrologico dell’Acquario

Da piccolo, negli anni Cinquanta del Novecento, figlio di mezzadri, volevo fare il prete. Perché nel mio ristretto circondario, di spoglia campagna Tuderte, quello era il personaggio più rispettato. Il mio prete poi, rispetto alla media, era alto e robusto, manesco, il suo dire, dal suono stentoreo, veniva comunque avvalorato dall’Alto, misterioso e potente. Poi, quando nel 1961 seppi che si poteva anche andare molto in “alto”, lassù nel cosmo, con dei missili russi o sulla luna con missili americani, ho preferito cambiare idea. Allora, per un po’, mi feci chiamare Gagarin**, mi sembrava più interessante.

A tredici anni fui cacciato dall’Eden, più precisamente dalla vallata del torrente Naia, a sud di Todi, e fui deportato a Roma. Lì mi accorsi che io e i miei eravamo degli schiavi servitori, allora assunsi un nuova personalità, ribelle al sistema; volli combattere nel Colosseo e diventai un gladiatore delle colonie contro i leoni e il pubblico vizioso… dell’Impero del male. Col tempo, non potendo arrivare a fare né il prete, né l’astronauta, ed essendo scarso come gladiatore, ho preferito divenire uno stupito pittore. E finalmente “volavo, volavo nel blu dipinto di blu”***, cercando anch’io il Sogno (del Nuovo Impero) Americano. Poi sono venuti gli anni Settanta e, per gli hippies dopati dalla New Age, il tempo dell’amore era possibile, come dice il brano della canzone Aquarius “mystic crystal revelation”, nel film Hair del 1979, e avrebbe dovuto portare pace e fratellanza.

Ma le cose andarono differentemente per i figli dei Figli dei Fiori. Che invece, attraverso università come Yale o Harvard, diventano Yuppies per una “rivoluzione democratica della Tecnologia”. Vatti a fidare dei figli dei Figli dei Fiori! Ma forse quelli erano solo i figli dei Fiorini (l’antica moneta): comunque, per me, figli di un dio minore. Guardate il loro programma favorito programmato fin dal 1984: TED, Technology Entertainment Design, e vedrete il loro subdolo programma di futuro robotizzato. L’uomo nuovo tecnologico che poi effettivamente ha vinto, così abbiamo perso i contenuti floreali e hanno vinto i contanti dei contabili edonisti… Il lusso degli spacconi, gli svaghi, la comodità, la droga e il porno: “fatti non foste a viver come bruti”.

 

TED A.I.
TED A.I.

Cy Twombly e il Far West archeologico

Alla fine degli anni Settanta, a Roma, alla Galleria Ugo Ferranti, ho incontrato un artista americano Cy Twombly. Lui il Far West archeologico lo venne a cercare in Italia e lo trovò presso l’antica aristocrazia veneta dei baroni Franchetti e nei miti pastorali ancestrali della nostra Magna Grecia mediterranea. Personaggio schivo, si palesava gentile e sempre sorridente, quasi timido, pacifico nel suo parlare lentamente e nel suo camminare solitario, un po’ ritagliato, così come nella sua arte; per me rimarrà l’artista più leggendario che abbia mai conosciuto. Per due fattori: il primo per l’enorme carica di vigore segnico-gestuale minimale che si sprigiona in ogni sua opera, sia pittorica che scultorea. Con quella evidenziata melancolia criptografica. Il secondo per la sua fortunatissima carriera artistica, a cominciare dall’incontro con il suo maestro Franz Kline e da quello con i suoi amici pittori come Robert Rauschenberg, Jasper Johns e colleghi come John Cage, Robert Motherwell, Jim Dine.

La sua storia fu la Storia dell’Arte Occidentale tra il New Dada e l’Espressionismo Astratto Americano. Cy, innamorato della cultura europea, iniziò a viaggiare lungo il mediterraneo dopo la metà degli anni Cinquanta.
Si stabilì in Italia nel 1957, e trovò aiuto e protezione accanto al barone Giorgio Franchetti, un vispo personaggio accigliato, grande affarista di immobili e appassionato di macchine d’epoca. Ma soprattutto accanito sostenitore e collezionista dell’Arte Contemporanea, e per mia fortuna anche mio acquirente. Cy sposò la sorella di Giorgio, Tatiana, ed ebbero un figlio, Alessandro, anche lui bravo scultore. Conobbi meglio questi noti campioni dell’arte internazionale romana durante le esposizioni alla Galleria Ugo Ferranti, fine anni Settanta; Cy nel crepuscolo serale, tra le sue passeggiate nell’antica capitale dell’impero, passava sovente alla galleria di Ugo, in Via di Tor Millina, accanto a Piazza Navona.

Amava parlare con noi giovani artisti di allora: Giuseppe Gallo, Gianni Dessì, Domenico Bianchi e me. Ci raccontava, spronato da Ugo, dei favolosi anni cinquanta a New York. Noi, appesi ai suoi aneddoti domestici intrecciati con quei suoi eccezionali colleghi e ai suoi rapporti con il loro aedo, lo storico gallerista Newyorkese Leo Castelli, già li consideravamo tutti degli dei, da ricalcare. Nel 1980, noi giovani “ferrantiani”, facemmo una collettiva dedicata ad Artemisia Gentileschi, pittrice del seicento, in quel periodo figura molto politicizzata dalle femministe. Nel catalogo c’era un testo di Achille Bonito Oliva, all’esposizione partecipò anche Luigi Ontani e Cy ci onorò facendo il manifesto e la copertina della mostra che poi passò anche a Parigi, alla galleria di Yvon Lambert.

 

Cy Twombly, copertina Artemisia Gentileschi, Galleria Ferranti, Roma, 1980
Cy Twombly, copertina Artemisia Gentileschi, Galleria Ferranti, Roma, 1980

Mi colpì la raffinatezza intellettuale di Cy, quando, saputo che ero un esperto copista, mi chiese se ero capace di riprodurre a grandezza originale il quadro di Rubens “Il ratto delle Sabine”. Discutemmo sui particolari di fattura e sulle citazioni che, nel dipinto del maestro, erano evidenti. Dalla “Battaglia di Anghiari” di Leonardo, a “Leda e il cigno” di Michelangiolo e ad altri spunti di Tiziano. Mi domandai come fosse possibile, per un pittore gestuale e intimo come lui, amare le pennellate così sensuali e lussuose come quelle del genio Fiammingo e per giunta barocco. Barocco in fondo è pure l’inconscio al quale Cy attingeva nella sua pittura segnica automatica, con tanti particolari intricati, ma tutti collegati da mini logiche da svelare, vitali poi per la logica quotidiana.

Julian Schnabel, superuomo nietzschiano

All’insegna di “C’era una volta in America” (film di Sergio Leone del 1984), oltre a Cy, un suo antitetico artista è Julian Schnabel, ebreo di New York, nato a Brooklyn nel 1951. Sto procedendo da un verosimile dio Pan come Cy, ad un superuomo nietzschiano come Julian. Schnabel era l’artista per eccellenza che rappresentava meglio, in quegli anni, il mito culturale americano di frontiera. La sua fortunata carriera è piena di atti coraggiosi e di sfide, impresario di se stesso, prima pittore, poi scultore e infine attore, sceneggiatore e regista, tre mogli e cinque figli. Generoso e spaccone, iniziò spaccando piatti (si dice che abbia fatto per due anni il lavapiatti in un ristorante) e attaccandoli poi sui suoi quadri, alla Robert Rauschenberg, poi dipingendoci sopra figure espressioniste alla Georg Baselitz.

 

Julian Schnabel, ritratto di Gian Enzo Sperone, 1988, olio su piatti rotti
Julian Schnabel, ritratto di Gian Enzo Sperone, 1988, olio su piatti rotti

Amante dell’arte europea e soprattutto di quella italiana, dopo aver soggiornato a Firenze per studi, imparò bene l’italiano (parla anche lo spagnolo ed è talmente affezionato alla Spagna da chiamare una delle sue figlie Stella Madrid). Lo definirei “un vero cowboy del colore dell’arte contemporanea” dopo aver letto, su un vecchio Flash Art, una sua frase ad effetto, che riporto a memoria: “dipingo come si mangerebbe una bistecca con una mazza da baseball”. Lo incontrai varie volte negli anni Ottanta: nel 1983 venne alla mia prima mostra americana a New York, alla Galleria di Salvatore Ala; arrivò pochi minuti dopo l’inattesa visita di Ileana Sonnabend, verso l’ora di pranzo (per noi italiani), il sole splendeva forte, Salvatore era un suo amico e Julian era anche stato uno dei boy-friends di Carolina, la socia compagna e poi futura sposa di Salvatore.

Sentimmo un gran suono di clacson, ci affacciammo dalla finestra, dal terzo floor della galleria, era lui, stava lì sotto e continuava a strombazzare, nonostante noi lo salutassimo da un po’, allegri. Parcheggiato in seconda fila in una Cadillac Eldorado cabriolet bianca… con occhiali neri rivolti all’insù, capelli ricci al vento, abbronzato, vistoso foulard al collo, ci salutava ampiamente, con il sorriso e le mani. Visitò l’esposizione, incuriosito per tutte le sfumature delle mie opere, ma poco attento alle mie simbologie teosofiche; mi sorprese molto la sua cordialità “napoletana”, infatti era molto amico di Francesco Clemente, da poco americanizzato. Mi fece molto piacere discutere con lui su tutto, vi giuro che su ogni opera lui mi spiegava come certi miei particolari li avrebbe potuti dipingere anche lui, ma diversamente… Raro incontrare, in genere, negli artisti tale partecipazione pignola.

 

Opera di Bruno Ceccobelli nella mostra alla Galleria Salvatore Ala, N.Y., 1983
Opera di Bruno Ceccobelli nella mostra alla Galleria Salvatore Ala, N.Y., 1983

Nel 1985 espose per la prima volta a Roma, dal mio gallerista Gian Enzo Sperone; fece le opere soggiornando nella città eterna, finì dal restauratore Claudio Di Giambattista, fornitore ufficiale di tutti i consigli pratici dei quali tutti gli artisti più in voga di Roma o di passaggio avevano bisogno, me compreso. Claudio, da buon anfitrione, portò Julian a visitare siti storici e anche San Lorenzo, per vedere gli spazi degli artisti del Palazzo ex Pastificio Cerere.

 

Opere di Schnabel fatte a Roma nel 1985, presso Claudio Di Giambattista.
Opere di Schnabel fatte a Roma nel 1985, presso Claudio Di Giambattista

Schnabel si comportò come “Un americano a Roma” (film di Steno del 1954), in parti rovesciate… Andò in giro per il quartiere popolare di San Lorenzo e raccattò finestre e porte dal marciapiede, cosa che io facevo settimanalmente… L’esposizione alla galleria Sperone fu senza tele e piatti rotti, c’erano invece lavori di sola pittura, su tavole di recupero e il catalogo aveva una copertina con un’immagine espropriata da una vecchia tipografia situata nel palazzo Cerere, dal titolo per lui profetico “Angelo d’oro”. Nel tempo, di Schnabel, apprezzai più i film drammatici, specialmente “Lo scafandro e la farfalla” del 2007; infatti nella sua carriera cinematografica ha realizzato sei film ed è stato apprezzato e premiato più volte internazionalmente nei vari Festival.

 

Julian Schnabel, copertina catalogo “Angelo d’oro”, 1985, Roma Galleria Gian Enzo Sperone, e foto di Schnabel e Ceccobelli
Julian Schnabel, copertina catalogo “Angelo d’oro”, 1985, Roma Galleria Gian Enzo Sperone, e foto di Schnabel e Ceccobelli

Dall’era dei Pesci all’Era dell’Acquario

Questi sono i vaghi ricordi di un’arte nell’Era dei Pesci, legati ad esperienze dirette concrete: un’arte fatta di colori e figure, o materiali, o supporti site specific secondo i diversi tempi e stili. Ora siamo di fronte all’apertura dell’avveniristico stravolgente Stargate temporale annunciato anche da Bill Gates, l’ingresso dell’Età dell’Acquario. E questo nostro nuovo mondo è nato dalla connessione di miliardi di dati informatici rubati che ci riguardano. Travolti da un insolito destino, un’onda frigida di un big tsunami di infiniti numeri matematici. Ed è così che è stata espropriata, espulsa, esclusa, la calda anima di una vetusta umanità ormai tralasciata a perdere.

Non è morto il mondo occidentale è solo entrato in un’altra dimensione, c’è stata l’attivazione del programma del Nuovo Ordine Mondiale, quella della selezione Draconiana demandata a insospettabili epidemiologi, futuri stregoni: “l’umanoide nasce malato (asintomatico) da una natura ‘infida’ e va allevato isolato, vaccinato a ogni stagione, e nutrito con antibiotici, diserbanti, ormoni, cortisone, e se resistente con trattamento TSO”.

 

Simbolo dell'elettricità e simbolo astrologico dell’Acquario su mascherina chirurgica
Simbolo dell’elettricità e simbolo astrologico dell’Acquario su mascherina chirurgica

Un’umanità in continua restrizione cautelare nell’Età Pandemica, Età del Pandemonio, per una Civiltà del Virus, dove non ti vendono il farmaco, ma la malattia! Un’umanità di individui bendati-banditi da banditi; ecco che il nuovo uomo distopico nasce per metà prodotto farmaceutico e per metà attrezzato con pezzi di ricambio in plastica fusa e stampata in 3d, fai da te. Ahi, ahi, ahi…, no! A.I. Artificial Intelligence, ecco, caro mio, il bello dell’algoritmo.

Se credavate che il film Blade Runner 2049 fosse solo una seconda serie di fiction, per intrattenerci sul futuro futuribile, vi siete sbagliati. Siamo già passati tra le quinte di quella “realtà aumentata”. E l’attuale mondo dell’arte ne fa parte come perfetto conglomerato servile: l’immaginazione cibernetica è cresciuta molto, come dimostrano le opere artistiche automatic virtual, denominate coscienza metaforica che, dal 2017 l’artista Refik Anadol, di origine Turca, ma di studi americani, realizza con sculture o pitture di dati.

Ecco cosa significherà una vita da Acquariano: si tratta di un periodo astrologico che durerà per i prossimi 1710 anni, determinato dalla precessione degli equinozi terrestri sul proprio asse, potenza fantascientifica: “sì !”. Dunque scordatevi tutto quello che sono state le nostre cessate necessità e i nostri sogni, come i sentimenti ideali del passato, la storia delle nazioni, l’arte delle varie civiltà. E il vostro lavoro o le vostre vacanze, i pranzi o le chiacchiere con gli amici al bar, un bicchiere di vino, un caffè o le torte. Le passeggiate in montagna o le nuotate al mare, moglie o mariti, figli, gli zii, i nipoti, i nonni, una bella casa, le macchine da corsa. Niente più, niente, niente più contatti diretti con la realtà ormai tutta contaminata, oramai solo esperienze assistite attraverso l’A.I..

La vita nella precedente Era era irrazionale, instabile, imprevedibile, dunque pericolosa. Il più risoluto pensiero raziocinante vincente ha deciso di sostituire più adeguatamente l’anziano deus ex machina e tutte le religioni, con la nuova religione della “machina deus” che risolve al meglio tutto, per i sopravvissuti. Cioè a dire: vivremo in un mondo di dati già scorporati… Cioè senza più un nostro corpo, spogliati della parte mortale, e che rimarrà di noi? Solo la misera materia grigia e tutto il resto del nostro fisico sarà un’infinità di puntini numerati che un’impeccabile scienza meccatronica, con un’intricata matassa di conduttori di bioingegneria retroattiva, ci riconfigurerà, per apparire “più belli che pria”.

Tutta la nostra vita e civiltà da remoto, il che significa che tutta la memoria del nostro recente passato, quella di cui sopra, sarà ibernata e cryobytezzata. Processata da algoritmi, divisa in bit, compattata nei chip di silicio e riprodotta virtualmente in punti luce. Ologrammi viandanti in una quarta dimensione, proiettati da computer quantistici con cristalli stellari. Tutto sembrerà come prima, ma con nessuna realtà diretta da sperimentare e nessun pericoloso virus… forse. Ce lo hanno già fatto metabolizzare negli anni, attraverso i vari film: Matrix, Il mondo dei replicanti, Inception, Transcendence… e i videogiochi dell’xbox.

Saremo tutti cloni di cloni e però vivremo le vite di chi vorremo noi. Per esempio di una qualsiasi storia passata di un qualsiasi eroe, o di una divinità, o del personaggio di un film, di qualsiasi genere sessuale, o animale. Ma solo come avatar, in corpi di luce colorata… Stentate a credermi? Pazienza, vi abituerete ad essere un Megabyte di serie.

Gli schiavi e gli operai di una volta saranno simpatici robot che ci assisteranno fin dalla nascita che poi durerà per sempre… Ah! dimenticavo… Con le pandemie il problema della sovrappopolazione sarà risolto e non ci saranno più tante nascite, solo quelle di qualche “ape regina” autorizzata da A.I.. E viaggeremo molto nel cosmo, da una terra ad un’altra, sfruttando e distruggendo il meglio. Nel frattempo, tutte le banche saranno fallite. E le criptovalute ridistribuite in un Reddito Universale, poi ci sarà la cancellazione dei debiti e dei crediti, perché… quei pochi automi superstiti avranno tutto a sufficienza.

Ah! E l’Arte Acquariana? Beh, semplice, non sarà più prevista la creatività… Non ci sarà più bisogno di quell’arte dell’era dei Pesci, non ci saranno più artisti di serie A, perché non ci sarà più il mercato dell’arte, tutta le problematiche estetiche delle mode saranno un falso ricordo, nel cyberspazio avremo un rimescolamento di videoclip del nostro conscio e del subconscio post-culturale. Useremo dunque un collages, un déjà vu, un remake, una falsa copia digitale artificiale di tutta la vecchia storia dell’arte, quella dell’era prima, che ormai riapparirà solo tutta plagiata e neutrale.

L’8K e Internet, con il 5G, a tutt’oggi nell’America first, hanno già favorito le gallerie digitali per un’arte virtual tour, art tech, artpod, crypto art, attraverso la meccatronica e Avatar realistici. Come in Florida nel Museo di Salvador Dalì, che ha già il “Dalí lives (via artificial intelligence)”. E incontrerete e parlerete con il vostro genio favorito, addirittura vi potrà scattare un selfie insieme a lui e potrete ricevere la foto, come e meglio che da vivo. Instancabile, perché non crede nella sua morte! Grazie all’Illuminismo, tutti noi, saremo dei veri splendidi, durevoli, economici, docili, androidi teletrasportati… Ecco laggiù “le pecore elettriche”****, vedete, ci sono anche i tramonti virtuali… Applaudiamo, siamo mezzi ibridi, mezzi vivi.

Bruno Ceccobelli

Note
* ”stupido come un pittore”: frase riferita a un proverbio francese dell’ottocento, ripresa da Marcel Duchamp a proposito della sua scelta artistica decisiva di esporre solo oggetti già fatti dall’industria, i ready made.
** Jurij Gagarin cosmonauta russo che il 12 aprile del 1961, a bordo della navicella Vostok 1, ha volato nello spazio per 2 ore.
*** “volavo, volavo nel blu dipinto di blu” brano della canzone dal titolo “Nel Blu Dipinto Di Blu (Volare)” di Domenico Modugno del 1958, ispirata ad una mostra di Yves Klein vista nel 1957 a Milano alla Galleria Apollinaire.
**** “Ma gli androidi sognano le pecore elettriche?” titolo originario del romanzo “Il cacciatore di Androidi” del 1968 di Philip K. Dick, autore Cyberpunk da cui è originata la serie filmica di Blade Runner.

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